Eresie primeve e medievali - riproposizioni moderniste di tesi antiche - 4

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Dopo aver esaminato le tesi di alcuni filosofi riprese dai modernisti della prima ora (debellati da San Pio X), della seconda ondata (gli esponenti della Nouvelle Théologie condannati da Pio XII ma riabilitati da Giovanni XXIII) e quelli attuali, nemici della Chiesa bimillenaria in nome di un’ingiustificata idolatria del Vaticano II, passiamo a vedere come anche alcune tesi di antiche eresie siano presenti nei discorsi ellittici dei teologi pseudo-cattolici ormai egemoni.

In questo articolo prenderemo in esame le eresie precedenti la Riforma, limitatamente a quelle che conservano qualche apparentamento col Cristianesimo, riservando ad una prossima trattazione i sistemi gnostico-cabalistici, che sono di tutt’altra natura ed origine.

Primi secoli 

Nel primo periodo spiccano i nomi di Montano, Pelagio, Ario. Mentre Montano e Pelagio sono portatori di un pensiero originale, Ario è il rappresentante di maggior successo di una corrente antitrinataria (e perciò giudaizzante) che accompagnerà la Religione Cattolica come un’ombra lungo tutta la sua storia.

Montano e l'avventismo

Montano, vissuto nel II secolo in Asia Minore, univa in sé due elementi, millenarismo e spiritualismo panteista (la pretesa di essere mossi da un soffio divino), che saranno tipici di non pochi movimenti ereticali.

Montano annunciò una seconda Pentecoste, grazie alla quale lo Spirito Santo – con la sua discesa su di lui – si sarebbe manifestato in pienezza[1], per condurre la Chiesa alla Verità tutta intera.

Pretendendo che lo Spirito Santo stesso parlasse per mezzo suo e delle due profetesse che lo accompagnavano, M. annunciò il prossimo avvento della Gerusalemme celeste cui sarebbe seguito un regno di pace millenario. Egli predicò la necessità di prepararsi alla nuova epoca attraverso un’etica rigorosa e austere penitenze.

Dalla Nuova Pentecoste sarebbe sorta una terza ed ultima fase dell’economia della salvezza, una Chiesa rinnovata, più spirituale di quella petrina.
A guidare i fedeli, al posto dei successori degli Apostoli, vi saranno i “Nuovi Profeti” (il montanismo è anche chiamato “Nuova Profezia”). Essi governeranno la Chiesa non in modo gerarchico e giuridico, ma pneumaticamente mossi dal soffio (pneuma) dello spirito.

Abile comunicatore, M. sedusse – oltre ad alcuni vescovi – numerosissimi fedeli. Era sua prassi riunire i seguaci in eventi di massa, durante i quali era normale che alcuni cadessero in estasi per profetizzare.

Il movimento sopravvisse tra tolleranza e condanne fino al secolo VIII.

Il montanismo, che più che una dottrina fu una prassi rigoristica, incarna un primo rigetto della gerarchia romana (elemento comune col progressismo novecentesco), anche se poi la sostituisce con un’altra (il democratismo non era ancora nelle corde).

Altro elemento comune col modernismo attuale è il rigetto del giuridicismo, considerato oggi incompatibile con la nuova Chiesa della Misericordia.

Terzo elemento comune col modernismo attuale è il ruolo della donna, la quale poteva predicare, oltre che fare delle profezie o presenziare ai riti.

Evidenti le parentele del profetismo esasperato di M. col carismatismo sia protestante che cattolico.

Il tema di una nuova Pentecoste era caro al patriarca Roncalli ed in realtà la attendeva dal successore di Pio XII ("l’animo si conforta – scrive a Giuseppe Piazzi vescovo di Bergamo il 23 ottobre 1958 – nella fiducia della nuova Pentecoste che potrà dare alla S. Chiesa nel rinnovamento del capo … nuovo vigore).

Il tema nuova Pentecoste attraversa tutto il Concilio Vaticano II; dal “secondo Cenacolo” evocato al momento dell’annuncio da Giovanni XXIII (Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962), agli interventi durante i lavori, in particolare di Helder Camara e di Leo Suenens, fino alla rievocazione (8 dicembre 1985) di Giovanni Paolo II nel ventesimo anniversario della sua conclusione in cui si ricorda “il clima di quella nuova Pentecoste che ci animò durante la celebrazione del Concilio”.

Anche in questi giorni i vescovi deviati cercano di giustificare teologicamente il loro distacco dalle parole di Cristo appellandosi ad un nuovo soffio dello spirito (sicuramente si tratta di uno spirito tutt’altro che santo).

Significativa anche l’invenzione montanista dell’evento di massa, una pratica riecheggiata nelle Woodstock religiose del secondo novecento.

Infine il montanismo, nell’affermare che l’esperienza religiosa dello Spirito (coi relativi carismi) è propria di pochi “eletti”, apre la via ad una religiosità di tipo individuale. Col pericolo che la persona, credendosi ispirata direttamente dalla divinità, si senta autorizzata ad andare oltre i vincoli dottrinali.

Pelagio e l'autoredenzione

Pelagio, nato in Britannia intorno al 354, è noto per aver esplicitamente combattuto la teoria del peccato originale. Egli riteneva il peccato di Adamo solo un peccato personale senza influenza sullo stato spirituale dei discendenti oscurandone e corrompendone ragione e coscienza.

Dal fatto che l'anima di ogni uomo appena creata è dotata di una "santità naturale" derivò per la prima volta il disprezzo per il battesimo dei bambini e l’idea che l'uomo, se vuole, può salvarsi da se stesso evitando il peccato, senza l’aiuto della Grazia e senza il bisogno di ricorrere alla preghiera.
La Redenzione di Cristo, secondo P., è sì necessaria ma solo per la salvezza dei peccatori.

Non si creda queste siano idee bizzarre di un antico monaco: il rifiuto di credere alla colpa originale, che va a braccetto col rigetto dell’Immacolata Concezione, è tipico dei chierici della chiesa post-cattolica, i quali spregiano il soprannaturale cercando il riscatto economico-sociale dei poveri. Vi sono vicari episcopali che ritengono il racconto della Genesi un mito non ricevibile da un uomo che non sia rimasto fermo al medievo.

Prima del clero perennemente ritardatario, fu Rousseau a basare Rivoluzione e democrazia sull’assunto irreale di una bontà naturale dell’uomo (Rousseau opera così il rovesciamento per diametrum delle tesi vichiane).

Ario e gli antitrinitari

L’antitrinitarismo raccoglie una serie di eresie, alcune di tipo monistico, altre pericolosamente vicine al politeismo.

Il monismo ha origine all'inizio del II secolo con la setta degli "alogi" e quella successiva dei monarchiani.
Erano così chiamati in quanto per preservare la monarchia di Dio, rigettavano la divinità del Figlio e dello Spirito Santo.

In entrambi i movimenti si distinguono due tipi di approccio, quello modalitico e quello adozionista.

L’interpretazione modalista del mistero trinitario, per conservare l’unicità divina, affermava che il Verbo non è una persona, ma solo un nuovo nome per indicare il Padre. In Gesù Cristo per i modalisti sono uniti e coesistono due elementi; Gesù, il Figlio, è l’elemento umano, mentre Cristo è l'incarnazione dell'unico Padre, il quale patì e resuscitò in Lui (di qui il nome di patripassiani).

Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre modalità con cui Dio si manifesta (e non tre Persone) per – rispettivamente – creare redimere e santificare. Si tratta di una triade solo nominale e formale e non della Trinità reale.

Il modalismo fu la versione adottata dal popolino in quanto eliminava le difficoltà poste dal mistero della Ss.ma Trinità, ma salvando la divinità di Gesù Cristo e la Redenzione, senza fare del Figlio un dio subordinato, come gli adozionisti.

Le tesi modaliste, condannate dal Concilio di Alessandria nel 261, sono state riproposte da Rahner, modernista dell’era conciliare, secondo il quale le persone divine non sono persone, ma relazioni.

Secondo la scuola di pensiero adozionista invece Gesù era un uomo nato da Maria e dal Padre senza però averne ereditato la natura divina. Solo in un secondo tempo, nel giorno del battesimo avrebbe ricevute la forza di Dio, venendo "adottato" come Figlio. Cristo diventò Dio per i meriti da Lui acquisiti solo dopo la resurrezione.

Una forma attenuata della dottrina adozionista meno in contrasto con l'insegnamento della Chiesa fu insegnata da Paolo di Samosata, che fu vescovo di Antiochia.

All’opposto dei monismi si situa il subordinazionismo.

I subordinazionisti non negavano del tutto la natura divina del Figlio, semplicemente non ne riconoscevano l’uguaglianza con Dio. Il Logos è per loro un essere intermedio tra Dio e il mondo, superiore all'uomo, ma subordinato al Padre e quindi non propriamente Dio, ma solo partecipe della deitas.

Si tratta di una dottrina evidentemente suscettibile di derive triteiste e gnostiche.

Uno dei dotti presbiteri vicini al subordinazionismo fu Luciano d'Antiochia, capofila della locale scuola teologica [2], che ebbe come allievi Paolo di Samosata e Ario. Luciano subì il martirio e per questo è stato canonizzato.

Ario (256-336), originario della Libia, dopo aver studiato teologia ad Antiochia, fu ordinato ad Alessandria, città in cui era fiorente una scuola esegetica che privilegiava l’interpretazione allegorica delle Sacre Scritture.

Ario riteneva la natura divina eterna e indivisibile. Di conseguenza negava che il Logos, in quanto “generato”, fosse Dio allo stesso modo del Padre. Il Figlio, secondo Ario, è sì una creatura divina, ma inferiore al Padre, perché ha avuto un inizio e non esiste dall'eternità: il Figlio, dice Ario è una creatura “in grado di accogliere il bene e il male secondo il suo libero arbitrio”.

In tal modo egli non negava la Trinità, ma la considerava costituita da tre diverse ipostasi caratterizzate da nature diverse.

Il vescovo Alessandro di Alessandria nel 321 indisse un sinodo per valutare le tesi di Ario. Recepito il giudizio negativo del sinodo, davanti al rifiuto di Ario di recedere dalle sue tesi, il presule ne decretò l’espulsione dalla città.

Le tesi ariane, definitivamente condannate nel 325dal primo concilio di Nicea, riappaiono nell’ecumenismo latitudinario che abbassa Gesù Cristo a uno dei tanti leader religiosi.

Medieve

Annunciatori dell'era dello Spirito

Non poche sette eretiche e messianismi sociali furono influenzate dallo pneumatismo storicista di Gioacchino da Fiore (XIII sec.). Secondo questo pio monaco, rimasto sempre fedele alla Chiesa Cattolica, la storia andrebbe divisa in tre grandi fasi: l'era del Padre o della sottomissione, l'era del Figlio o dell'obbedienza ed infine l'era dello Spirito Santo o della libertà, con un tertio statu mundi iniziato nell’anno 1260, in cui si vedrà l’instaurazione della Ecclesia spiritualis .
G. previde guerre e la comparsa dell'Anticristo che sarebbe riuscito a farsi eleggere papa. Al termine di queste vicende, la storia si concluderà con il raggiungimento di uno stato di perfezione, quando tutta l'umanità si riconoscerà nel cristianesimo.

Amalrico (Amaury de Bène, XII secolo), professore di teologia a Parigi, si ricollega alla dottrina delle tre età di Gioacchino da Fiore, con la differenza che nella terza rivelazione lo Spirito Santo s'incarnerebbe in lui stesso e nei suoi seguaci (detti Amalriciani) grazie ad un'illuminazione interiore [3]. Ognuno degli adepti diventava un nuovo Cristo che con l'estasi poteva arrivare a identificarsi con Dio.

Di matrice gnostica era la loro fiducia nella conoscenza: il paradiso consisterebbe nel possedere le verità acquisite con l'illuminazione, l'inferno coinciderebbe con l'ignoranza delle stesse.

In questo quadro i sacramenti sono rigettati come inutili, di conseguenza rifiutata la dottrina della transustanziazione.
Si tratta di due atteggiamenti ritornati in auge nella temperie attuale: il clero più avanzato della chiesa conciliare ritiene la vecchia religione troppo sacramentale (o magico-sacrale); la parola transustanziazione è scomparsa dal Magistero (ordinario e straordinario, infallibile e fallibile) ed è oggetto di ironia per i chierici, seguaci in ritardo di alcuni secoli del terribile monaco Lutero.

Nonostante Amalrico non avesse rese pubbliche le sue tesi estreme, di stampo panteista (“Dio è tutto e tutto è uno”) e antinomico (“Chi segue la legge dell'amore è al di sopra del peccato e della legge”: l’uomo cristificato non può peccare, perché in lui agisce la volontà stessa di Dio) non salvò il suo sistema dalla condanna papale, né se stesso dalla perdita della cattedra.

Proto protestanti

Molto prima della Riforma sono sorti gruppi eretici portatori di tesi simili a quelle del protestantesimo vero e proprio. Solitamente sono conosciuti con il nome del capo degli adepti.

Nel XII secolo il mercante Valdo di Lione, come reazione alla dilagante corruzione ecclesiastica predicò un ritorno alle origini evangeliche. I suoi seguaci costituirono una confraternita di predicatori erranti, i valdesi, caratterizzati dal voto di povertà e dalle vesti monacali.

Inizialmente cristiani ortodossi, a seguito della persecuzione scatenatasi nei loro confronti si accostarono agli eretici adottando alcune dottrine catare e alimentando così un circolo vizioso di ulteriori persecuzioni ed ulteriori divaricazioni dal cattolicesimo.

Dal 1532 i valdesi aderirono alla Riforma (nella versione calvinista), adesione confermata nel 1655.

Gli ortlibiani (da Hartlib / Ortlib di Strasburgo, sec. XIII) propugnavano un Cristianesimo individualista ritenendo che i fedeli dovessero seguire solo la coscienza dentro di sé, rigettando ogni comando o legge esterna. Questo primato della coscienza individuale sulla Verità fu condannato come eretico (curiosamente oggi invece viene vigorosamente sostenuto dal vescovo di Roma nel corso dei suoi colloqui con atei per nulla devoti).

Teologo senza una conventicola al suo seguito fu il britannico John Wyclif (1320 – 1384).

W., pur essendo filosoficamente della buona scuola realista, era però istintivamente ostile alla Chiesa del tempo avendo in gran dispregio sia i presuli ricchi sia i mendicanti delle "sette nuove".

Si mise allora ad accumulare nei suoi scritti una serie di argomentazioni volte a nientificare il ruolo spirituale e giuridico della Chiesa.

Col paragonare la Chiesa allora operante ad un archetipo eterno in mente dei, egli arriva alla conclusione che quella visibile si palesava essere una "Sinagoga di Satana" del tutto divergente dalla volontà di Dio.

Un secondo argomento presentato da W. è che Cristo non ha concesso alcun potere agli Apostoli, limitandosi a chieder loro povertà, umiltà e carità.

Anche il suo predestinazionismo è volto contro la Chiesa esistente. Sulla base che l'autorità della Chiesa deriva unicamente dalla grazia, la vera Chiesa è per Wyclif solo quella dei predestinati da Dio ab aeterno ed è invisibile; papa e vescovi possono essere dannati e non appartenervi, ne segue che non hanno alcun potere.

Molte le conseguenze di tali premesse. W. infatti 

-nega il primato del vescovo di Roma addebitandone a Costantino l’invenzione (tendenza oggi condivisa da alcuni teologi cattolici)

-dichiara preferibile il regime collegiale (un pensiero ormai vincente nella chiesa conciliare)

-rifiuta l’interpretazione e il magistero della Chiesa e proclama la Bibbia unica autorità in campo teologico. Pur senza arrivare al sola scriptura di Lutero (egli ammetteva l'interpretazione dei Padri e dei Dottori) W. pensava che Scrittura e Tradizione devono essere recepite individualmente (soggettivismo ermeneutico, preludio ad una fede individuale).

-non riconosce la funzione mediatrice della Chiesa visibile nell’economia della salvezza

-del pari rigetta il potere giurisdizionale della Chiesa (oggi vituperato come giuridicismo, parola che magicamente degrada a vizio un compito che fu Cristo a dare alla Sua Chiesa)

-riteneva che il clero, se non si fosse mantenuto integro, poteva essere privato del diritto dei propri beni per ordine del potere civile.

A conclusione, annullato il valore della Chiesa Cattolica, l'unico potere valido visibile restava quello dello Stato. Wyclif attribuisce al re – come Marsilio da Padova (1275 – 1342) attribuiva all’imperatore – tutti i poteri in ambito ecclesiastico, sia di governo che di giurisdizione.

W. negò il dogma della transustanziazione [4], rigettò la cresima come inessenziale, rifiutò le pratiche delle indulgenze, dei suffragi, dei pellegrinaggi, del culto dei santi e la venerazione delle loro reliquie.

Nel 1382 l'arcivescovo di Canterbury condannò alcune sue tesi come ereticali, altre come erronee.

L’importanza di Wyclif è dovuta principalmente al boemo Jan Hus (1369- 1415). Hus condivise e diffuse gli scritti di Wyclif nonostante 45 sue tesi fossero state condannate dall'università di Praga, distanzindosene solo sul tema della transustanziazione, mai messa in dubbio, e su quello delle indulgenze, di cui si limitò a deplorare gli abusi.

Attorno a Hus, a differenza del teologo inglese che non lasciò seguaci diretti, si formò un consistente e composito movimento di contestatori della Chiesa Cattolica, gli hussiti, che furono protagonisti sia della storia politica che di quella religiosa della Boemia.

Il motivo di questo moto anti-cattolico più che nella volontà del teologo boemo è dovuto alle tempestose e tragiche vicende politico-religiose che lo videro protagonista. Hus, che era sacerdote cattolico, iniziò a predicare in una cappella sede di una comunità nostalgica di un ritorno alla Chiesa delle origini (tema ripreso dai modernisti di prima e seconda ondata) riuscendo ad attirare gran parte della popolazione di Praga.

L'arcivescovo reagì proibendo la diffusione degli scritti di Wyclif e vietando a Hus di predicare.

Riabilitato da un collegio arbitrale indetto dal re, H. aprì una contestazione della vendita delle indulgenze praticata da Giovanni XXIII [5]. Scomunicato si recò al Concilio di Costanza per chiarire le sue tesi. Qui giunto venne proditoriamente arrestato e deprecabilmente condannato al rogo.

Filosoficamente, al pari di Wyclif ed in contrasto con l’orientamento nominalista dell’università praghese, H. era realista. Egli aveva una concezione della verità completamente non relativistica: per H. la verità corrisponde ad una realtà indipendente dall'uomo, esistente nelle Scritture, attingibile dalla retta ragione ed incarnabile nella esperienza personale. La mancanza di verità non è solo un errore, ma uno sfregio gravissimo a ciò che è vero e giusto; la verità va dunque difesa anche con la vita.

Hus indicò, tra i segni che mostrano l'indegnità del papa a ricoprire la carica, quello di dimenticare la legge di Dio per far posto a concezioni umane e quello di privare delle parole di salvezza le anime a lui affidate.

Il teologo boemo è stato riabilitato da Giovanni Paolo II a Praga nel 1997.

Dopo la sua morte, i suoi seguaci pretesero dalla Chiesa cattolica una riforma profonda, i cui punti principali erano la povertà del clero (con conseguente esproprio dei beni ecclesiastici) e l’imposizione di sanzioni contro i chierici colpevoli di peccato mortale. Scomunicati da Roma, gli hussiti, appoggiati dai nobili boemi e moravi, sconfissero ripetutamente nel 1420-21 i tentativi del re cattolico Sigismondo di impadronirsi del trono con le armi. Identico esito ebbe un'ulteriore invasione nel 1430, promossa questa volta dal papa stesso. Alla fine, con reciproche concessioni, si arrivò ad un’intesa tra il re, la Chiesa e la nobiltà che riconosceva agli hussiti moderati il potere di formare una Chiesa boema indipendente in comunione con Roma.

La fazione radicale nel 1457 si staccò per dar vita alla unione dei fratelli boemi, una chiesa di impostazione gnostica nella quale dieci anni dopo confluirono anche i valdesi di Boemia e Moravia. Di Lutero e della sua rivoluzione religiosa gli hussiti furono i precursori, dato che furono primi a separarsi dalla Chiesa Cattolica non in modo individuale ma come organizzazione ecclesiale. Nel 1547 li troviamo combattere a fianco dei luterani e con loro venire sconfitti.

Nel 1620 all’inizio della Guerra dei Trent'anni vennero debellati nella battaglia della Montagna Bianca. Tra i fratelli boemi che nella circostanza emigrarono in Ungheria e Polonia troviamo il vescovo Jan Amos Komensky (Comenio). Come ricordato altrove (⇒ qui), Comenio, alto iniziato dei Rosa-Croce, ha posto le basi culturali e cospiratorie per unificare l’istruzione, la politica e le chiese secondo un programma mondialista plurisecolare, per il quale all’inizio operarono i rivoluzionari, mentre oggi sono impegnati alla sua realizzazione i grandi leader della finanza e della politica, fiancheggiati da alcuni capi religiosi.

Oreste Sartore

 

 ⇒Alle origini del modernismo - 1

⇒Ascendenze filosofiche del modernismo - 2

⇒Ascendenze filosofiche del modernismo - 3

 


NOTE 

[1] la sostituzione dei termini della logica aletica (vero/falso, salvezza/dannazione, cattolico/eretico) con le infinite gradazioni della pienezza, è una delle frodi moderniste rilevabile nei testi conciliari

[2] scuola razionalista, che sosteneva la comprensione in senso letterale delle Scritture; antitetica alla scuola teologica alessandrina, favorevole all’interpretazione allegorica

[3] in questo furono precursori dell’illuminatismo seicentesco

[4] nella chiesa post-cattolica di oggi Wyclif farebbe parte del main-stream, anzi dell’élite esegetico-teologica

[5] in quel momento nero per la Chiesa al papa romano Gregorio XII (che successivamente abdicò) si contrapponevano un antipapa abbarbicato alla ormai abbandonata sede avignonese (Benedetto XIII) e un antipapa (Alessandro V, alla cui morte subentrò Giovanni XXIII ) eletto da uno pseudo-concilio, convocato per superare la diatriba tra i due pretendenti




Documento stampato il 15/10/2024