Home / Archivio articoli ex sezione "Attualità" / Archivio anno 2014 / Alle origini del modernismo - 1

Alle origini del modernismo - 1

La lotta contro la fede, iniziata da subito a Gerusalemme, non ha avuto requie. Pur nella diversità dei nemici e degli attacchi, alcuni temi ed idee sono ricorrenti, ad esempio il primato del soggetto rispetto all’istituzione, il primato dell’esperienza individuale del divino rispetto all’adesione alla Rivelazione, l’accoglimento selettivo delle verità di fede.

Anche quest’ultima fase dell’assalto al Cattolicesimo avviene in nome di istanze concettuali e teologiche più volte utilizzate nel corso della storia. Rispetto al passato la differenza è che oggi sono gli stessi uomini di Chiesa a farsi portatori e promotori di tali istanze e a farlo restando ben saldi entro il recinto di Pietro [1].

Poiché il movimento modernista è diventato istituzione e col potere acquisito sta traghettando i fedeli - a loro insaputa - verso una nuova religione, sembra a noi utile rivisitare le circostanze in cui sono sorte le principali concezioni incompatibili con la Rivelazione e le formalizzazioni storicamente più significative del pensiero irreligioso.

Per andare con ordine, divideremo l’argomento in tre parti: negazioni e antitesi filosofiche (palesi e celate), rotture e furori eterodossi, obiettivi ed operazioni massoniche.

Ascendenza filosofiche - Parte I 

La reazione al Cristianesimo medievale, ritenuto rozzo e responsabile della fine della civiltà antica, si manifestò secondo due modalità:

- come movimento di filosofi che, mentre elaboravano concezioni che, in quanto a contenuti si distaccavano dal Cristianesimo, per ragioni di cautela e convenienza, affiancavano a queste una filosofia religiosa convenzionale (accampando così la pretesa di non essersi allontanati dall’ortodossia). In tale linea si situano gli umanisti moderati (riformatori)e tutti i grandi filosofi, da Cartesio ad Hegel

- quale antitesi palese, come nel caso degli umanisti atei o neopagani

Il nominalismo  

Uno dei punti di snodo è costituito dal nominalismo, il cui primo esponente ed anche il più estremo fu il monaco francese Roscellino (1050 – 1120). 

Egli sosteneva che solo le cose esistenti sono reali (nihil est praeter individuum), mentre i concetti universali (“uomo”, “cavallo”, ecc.) sono semplici parole (flatus vocis), alle quali non corrisponde alcuna realtà. 

Di conseguenza Roscellino negò l’unità delle tre persone della SS.ma Trinità (le tre persone divine – esistenti e reali - non possono costituire l’essenza – astratta - di un’entità altra) arrivando a concepire un Cristianesimo triteista.

L'empirismo antimetafisico di Occam 

Duecento anni dopo il francescano Guglielmo di Occam (1280– 1349) diede del nominalismo una versione attenuata: i concetti universali non sono puri suoni, ma segni naturali che rimandano a più cose. Così “uomo” non è una entità universale ma solo un termine per designare Socrate, Platone e gli altri individui umani. 

Incandescenti sono i riverberi di tali concezioni in campo teologico, gnoseologico, ecclesiale e politico. 

Il nominalismo in questa sua forma oxoniense (Occam studiò e insegnò ad Oxford), nega l’unità tra Dio-persona e le idee di Bene, Giusto, Vero, ecc. che costituiscono la Sua essenza. In una concezione del divino che dà la vertigini, Dio può tutto, compreso 

- stabilire ciò che è bene e ciò che è male: nessuno dei comandamenti ha validità in sé, ma solo perché Dio così ha stabilito

- cambiare le regole morali (ed anche quelle fisiche) a suo insindacabile volere

- concedere liberamente la sua grazia a chi vuole 

È una concezione (volontarismo) analoga a quella di un altro francescano, Duns Scoto (1265 – 1308). 

Occam nega che l'intelletto umano possa avere conoscenza delle verità teologiche; sarebbero dunque indimostrabili tutti gli attributi di Dio, quali l'onnipotenza o l'infinità.
Ne segue che la fede non ha nulla a che vedere con la ragione, ragione e fede sono vie distinte senza alcun rapporto tra loro, verità filosofica e verità rivelata non sono conciliabili (origine del fideismo, in auge ancor oggi in ambiente evangelico). 

Dove il nominalismo rivela tutta la sua virulenza è nella negazione che vi sia una struttura - insita nella realtà -che Dio abbia progettato e che l’uomo possa conoscere: per i nominalisti esistono solo uomini, animali e cose singole.
Siamo noi che - con i nomi - imponiamo sulla realtà una nostra sistematica, dando dunque un’interpretazione del tutto soggettiva. 

Perduta la fiducia in un ordine intrinseco alla natura, la verità diventa ancella della sola esperienza (empirismo), quindi destinata a rimanere nello spazio dell’opinabile e del variabile. Se il nominalismo empirista favorisce la conoscenza puramente scientifica della natura di tipo, ad esso sono riconducibili l’individualismo, che rivendica l’autonomia assoluta del singolo e l’anarchismo refrattario ad ogni autorità. 

Col nominalismo una scure si abbatte sulla metafisica, annientandola, e una barriera si frappone tra l’uomo e la trascendenza. 

Le conseguenze in campo ecclesiologico sono devastanti. 

Se Dio dà liberamente la sua grazia a chi vuole, la funzione mediatrice della Chiesa risulta superflua per la salvezza dell’anima. 

Per il monaco oxoniano la Chiesa è l'insieme di tutti i fedeli. Il papa non è infallibile: al di sopra di lui vi sono il concilio, la Scrittura e la Chiesa (uno dei leit-motiv della contestazione clericale ora divenuta istituzione). Secondo Occam il popolo cristiano ha facoltà di intervenire nelle definizioni papali, anche in quelle riguardanti la fede o la morale. 

Dal punto di vista politico, Occam, che si era rifugiato a Monaco al seguito dell’imperatore Ludovico il Bavaro, sosteneva che il potere imperiale non necessita di ricevere legittimazione altra che dagli elettori ed è indipendente dal potere papale e che anzi all’’imperatore, capo politico del popolo cristiano, spettava il diritto di controllo sulle eventuali ingerenze ecclesiastiche. 

Ancor più ghibellino di Occam era Marsilio da Padova (1280 – 1342), anche lui alla corte di Ludovico il Bavaro, di cui era consigliere politico. 

Fautore di una secolarizzazione brutale, Marsilio negava al clero qualsiasi potestà, temporale ma anche spirituale, avocando all’apparato civile tutte le funzioni ecclesiastiche, compresa la pena della scomunica. All’’imperatore assegnava la facoltà di nominare e destituire vescovi, prelati e il papa stesso.

La Chiesa, spogliata di ogni valenza politica, secondo Marsilio è solo una comunità (civium fidelium universitas), il popolo cristiano (il “popolo di Dio” del Concilio Vaticano II). 

Occam ed ancor più Marsilio aprono la via ai regimi assolutistici che pretendono la sottomissione della Chiesa al potere mondano. 

Umanisti 

L’umanesimo è un movimento di rifiuto della filosofia aristotelico-tomista (rappresentata dalla Scolastica), cui contrappone, rivalutandola, la classicità greco-romana (in particolare il platonismo e l’epicureismo). Si caratterizza anche per una riscoperta dell’esoterismo e della magia e per l’atteggiamento morale libertino. 

Dal suo centro, la Firenze di Lorenzo il Magnifico e di Cosimo I, l’umanesimo si estese a Roma sede di tre papi medicei, fino alla Francia dove regnava Caterina. 

Nel movimento sono presenti atei come Machiavelli (1469 –1527) escettici radicali come Rabelais (1494 – 1553) e Montaigne (1533 –1592). 

Sono umanisti ancheesponenti di ispirazione esoterica; ne menzioniamo i principali:

- Marsilio Ficino (1433 –1499), filosofo e astrologo

- Andrea Cesalpino (1524 - 1603), botanico, medico e anatomista, criticato per il suo monismo naturalistico (panteismo)

- Angelo Poliziano(1454 - 1494), poeta

- Pietro Pomponazzi (1462 - Bologna 1525), filosofo

- Pico della Mirandola (1463 –1494), cabala, filosofo aderente al neo-platonismo monista (perciò stesso antitrinitario)

- Girolamo Cardano (1501 – 1576), matematico, medico, astrologo, dedito alla magia

- Giordano Bruno (1548 – 1600), filosofo e avventuriero; condannato al rogo

- Giulio Cesare Vanini (1585 – 1619), filosofo, medico, naturalista, fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo (condannato al rogo dal Parlamento di Tolosa) 

La Massoneria si riconosce nel pensiero ed azione di costoro, tanto che ad ognuno di essi in Italia è intitolata (almeno) una loggia. In particolare dalla Massoneria viene celebrato Giordano Bruno “panteista mistico, [...] grande martire del dogma e della scienza” […] venuto “a contrapporre la verità a tutte le fedi” [2].

Riformatori 

Una scuola umanista parimenti avversa al cristianesimo medievale, ma più moderata e soprattutto ben attenta a non inimicarsi la Chiesa di Roma è quella dei riformatori. Due presbiteri umanisti, uno discepolo dell’altro, ne sono gli alfieri. 

Lorenzo Valla (1407 – 1457), latinista insigne, era contrario all'ascetismo medievale e non credeva nella vita monastica. Ridicolizzò la traduzione in latino della Bibbia fatta da San Girolamo (la cosiddetta Vulgata) e combatté la Scolastica, Aristotele e la sua logica (guerra condotta poi da tutti i modernisti) . Giunse a recuperare il pensiero di Epicuro e Lucrezio sostenendo che perseguire il piacere non è affatto peccaminoso. Per velare questa sua simpatia verso il paganesimo affermò che anche per la Chiesa il premio finale dei salvati è il godimento [3]. 

Il discepolo Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536) lo seguì nella polemica antimonastica, nell’attacco alle sottigliezze della teologia Scolastica cui egli contrappose il recupero della riflessione teologica dei Padri della Chiesa (il ritorno alle fonti di De Lubac). In aggiunta ripudiò 

come inutili orpelli le cerimonie rituali cristiane, come superstizioni le forme di pietà popolare (una tesi ripresa dai modernisti) e come propaganda fanatica l’apologetica (una tesi ripresa dai teologi di Tubinga). Alla stregua di Lutero (e di tutti i movimenti antiromani), Erasmo si scagliò, contro l’immoralità del clero, ma, ordinato prete, si mantenne prudentemente neutrale nella diatriba tra Riforma e Chiesa di Roma. 

In campo religioso era favorevole ad una religiosità laica basata sull’etica [4]; in campo politico pose, in anticipo sul liberalismo, la tolleranza come base per la convivenza sociale. 

Nella linea dei riformatori moderati si situa anche Tommaso Campanella (1568 – 1639), frate domenicano, filosofo, teologo e poeta, cui pure è intitolata una loggia massonica.

Cartesio 

La rivoluzione filosofica intravista in Occam, trova la sua istituzionalizzazione in René Descartes (1596 – 1650). 

Cartesio, questo il suo nome italianizzato, fu per 8 anni allievo dei gesuiti di La Flèche, nell’Angiò, per poi frequentare l'Università di Poitiers, dove conseguì il baccellierato in diritto canonico e civile. Abile spadaccino, a 22 anni si arruolò nell’esercito olandese, successivamente fu al seguito dell’esercito cattolico di Massimiliano di Baviera.
Nel 1629 venne a stabilirsi nell’Olanda protestante, dove dimorò per venti anni.
Nel 1633, colpito dalla condanna di Galileo, per timore dell’Inquisizione

- pensò di bruciare tutti i suoi scritti o almeno di nasconderli.

- rinunciò a pubblicare Il Mondo ovvero Il Trattato della Luce, testo in cui espone la sua filosofia della natura (meccanicistica), limitandosi a dare alle stampe alcune parti

- iniziò un continuo girovagare stabilendosi in piccoli villaggi o nei quartieri periferici delle città. Il suo recapito era noto soltanto al frate minorita Marin Mersenne, suo compagno di studi a La Flèche, che fungeva da tramite per i contatti filosofici e scientifici. 

La sua relazione col calvinismo olandese non fu affatto tranquilla.
Il teologo Gisbert Voet (Voetius), rettore dell'Università di Utrecht, pubblicò un libello in cui lo accusò di ateismo e di gesuitismo, oltre che di appartenenza ai Rosa-Croce.
Nel 1643 subì la censura del senato accademico di Utrecht che gli vietò l'insegnamento e lo allontanò dall’ateneo.
Nel contempo, per decreto del Consiglio municipale rischiò l'espulsione dall’Olanda e il rogo di tutti i suoi libri. Gli interventi del principe d’Orange e dell’ambasciatore francese sventarono provvidenzialmente la minaccia.
Anche all'Università di Leyda, città dove si trasferì, incontrò l'ostilità dei teologi che lo accusarono di essere "più che pelagiano e blasfemo". 

Questi conflitti lo spinsero nel 1649 ad accogliere l’invito in Svezia della regina Cristina (1626-1689). A Stoccolma ben presto si ammalò di polmonite e morì. 

I suoi timori e le sue cautele erano fondati: la Santa Sede, ritenendo le sue opere contrarie all'ortodossia, nel 1663 le mise all'indice.

Filosofia 

Nel momento della lacerazione dell'unità religiosa dell'Occidente nel dilagare dei conflitti religiosi, da tempo era sorta un’insofferenza verso il sapere tradizionale che era fondato sul principio di autorità (in primo luogo su Aristotele). 

Per Cartesio (come per Bacone) il sapere insegnato negli atenei e nelle accademie sembrava “un accumulo e congerie di opinioni”, prive di certezza acquisite una volte per tutte; solo l'assuefazione 

e l'abitudine avevano loro assicurato una parvenza di evidenza, ingenerando una plausibilità difficile da scalfire.
Una seconda fonte fallibile di conoscenza sono i sensi, la fonte più infida del sapere: il solo fatto che alcune volte ci ingannano significa che sonocapaci di darci delle immagini distorte o farci credere una realtà non esistente. 

Da queste due constatazioni Cartesio deduce che c’è un divario tra il pensiero e la realtà [5]: è necessario mettersi alla ricerca di un pensiero capace di portare ad una certezza che non somigli a nessuna di quelle precedenti [6]. 

Per distruggere e disfarsi del vecchio sapere tradizionale e per distaccare lo spirito dall’inganno dei sensi, Cartesio sceglie la via breve, quella di considerare falso tutto quello di cui si possa avere il minimo dubbio [7]. È questo il dubbio detto iperbolico, sforzo mentale di fare tabula rasa di tutte le certezze acquisite, ombra gettata su tutto ciò che non è incontrovertibilmente evidente.
Ma il dubbio cartesiano non è fine a se stesso, è un dubbio metodico, valido come passo preliminare per trovare la verità prima e incontrovertibile: si dubita fino a strappare al dubbio stesso la certezza assoluta da porre a fondamento del sapere. 

Potrebbero le certezze prime essere quelle matematiche, incontrovertibili ed innegabili? 2 + 3 infatti fa sempre cinque. Ma Cartesio non si fida: potrebbe darsi che Dio (poi corretto in: un genio maligno) ci abbia ingannato non solo dandoci delle immagini di una realtà fittizia, ma anche dandoci delle verità che tali non sono anche se sembrano evidenti ed immediate.
Una cosa però l’ipotetico genio maligno non è in alcun modo in grado di fare: impedirmi di sospendere il mio assenso alle realtà sensibili o alle idee innate: “mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa” [8].
La condizione del dubbio induce alla conoscenza, detta da Cartesio “ferma e sicura, prima e certissima”, del “ego cogito, ergo sum” (se penso significa che esisto) [9] [10]. 

Come prima deduzione Descartes identifica nella mente la componente essenziale dell’uomo. Per Cartesio la funzione del pensiero è nobile e nettamente distinta dai sensi e dalla corporeità: nella sua intima essenza il soggetto è una sostanza immateriale la cui natura è di essere soltanto pensante [11]. La mente è la fonte delle certezze, in grado da sola, indipendentemente da ciò che la precede o la trascende, di valutare la veridicità dei concetti. È una sostanza creata direttamente da Dio - res cogitans -, indipendentemente dal corpo; ne deriva che è sottratta al determinismo delle leggi naturali ed è quindi immortale. È ciò che viene chiamato anima. 

Il corpo fa parte della realtà materiale ed è sottoposto a leggi puramente meccaniche.
Le due sostanze - corpo e anima - sono disgiunte e tra loro irriducibili (dualismo mente-corpo). 

Dalla distinzione tra mente e corpo discende la distinzione tra res cogitans e res extensa. 

La res extensa indica la realtà fisica, che è l’altro da sé, materia priva di consapevolezza.
In essa, una volte sottratte le qualità legate ai sensi [12], come colore, odore, sapore, suono ecc., si distinguono chiaramente e distintamente solo le proprietà oggettive, quella di occupare una determinata estensione di spazio e di essere suscettibile di movimento. In ultima analisi la realtà fisica si riduce ad una spazialità, misurabile e infinitamente divisibile (non esistono né gli atomi né il vuoto), in cui avvengono movimenti regolati dalle leggi della meccanica.
Cartesio nega infatti l’esistenza di una vita fisica non automatica: anche gli organismi viventi sono meri congegni meccanici (le macchine-piante e le macchine-animali di La Mettrie). Il mondo è assimilabile ad una mega macchina, di cui fanno parte gli esseri viventi (incluso l'uomo, per la componente corporea) e le cose inanimate, tutti omologati nell’indistinta categoria di sostanza corporea estesa. 

Per quanto concerne l’origine della res extensa, Cartesio immagina che Dio abbia creato nell’universo una quantità di materia che si conserva costante. In questa realtà fisica inerte Dio ha impresso un movimento iniziale (con una quantità di moto che, per sua volontà, si mantiene inalterata nel tempo) il cui dispiegarsi causa l’evoluzione del tutto meccanica del mondo. 

La ragione invece non fa parte della grande macchina costitutiva della natura: il linguaggio e il comportamento umano dimostrano di non essere risposte predeterminate agli stimoli esterni e di non ascrivibili alla sola conformazione fisiologica.

Perdita del reale e suo recupero - il dio di Descardes 

Se il Cogito dà al soggetto la certezza del proprio io, l’esistenza o meno delle cose esterne rimane dubbia (potrebbero essere frutto dell’immaginazione): nel mondo di Cartesio, ad un tempo meccanico e fantasmatico, gli enti non esistono più come forme sostanziali, sono presenti unicamente a livello di rappresentazione come contenuti della coscienza. 

È l’esistenza di Dio che permette di recuperare la realtà esterna [13]. 

Se Dio è infinità bontà e perfezione (quindi non ingannatore) significa che le idee delle cose materiali presenti nella nostra mente derivano effettivamente da realtà esterne [14]. 

Il dio del filosofo francese è garante ultimo delle verità perché è lui a determinarle. Le verità sono totalmente dipendenti dalla volontà divina, in quanto create mediante un suo atto libero: se avesse voluto, avrebbe potuto ad esempio creare assiomi matematici diversi da quelli noti.
La verità è sì immutabile, ma non assoluta (e neppure il bene lo è). È la riproposizione del volontarismo di Duns Scoto (e di Occam). 

Metodo

L’auto certezza di sé è la pietra angolare del nuovo edificio del sapere, ad un tempo filosofico e scientifico.
Strumento basilare per la scoperta di verità ulteriori, anch’esse indubitabiliè il metodo [15], per l’assioma cartesiano che la conoscenza della metodologia deve precedere tutte le altre.
Il metodo, basato solo e interamente sulla ragione, “facoltà di giudicar bene e distinguere il vero dal falso”, ha dimostrato la sua efficacia nei più vari campi applicativi (in ultimo nell’informatica).
Esso si articola in quattro regole, la prima delle quali dice che vanno accolte come vere solo le affermazioni su cui non si può formulare il benché minimo dubbio, la seconda regola è la scomposizione di un problema complesso in parti semplici, la terza consiste nel rimettere assieme le parti del problema ripercorrendo il cammino in senso inverso, la quarta è la verifica finale. 

Si osserva che, in antitesi alla via aristotelico-tomistica, la conoscenza non deriva dall’esperienza, sicché la ragione non si rapporta più all’essere ma solo al “fenomeno” di essere: il reale viene a coincidere con l’idea soggettiva che di esso si forma l’io. “Con Cartesio il pensiero si rifugia in se stesso nella sua nuda esistenza individuale, nel nudo fatto del suo pensare e da questo fatto si leva alla concezione di tutta la realtà. Tutta la realtà nasce dal fatto del pensare e l'essere sparisce di fronte al pensare. La mente dell'uomo fa la realtà”[16].
Criterio di verità non è la corrispondenza tra affermazioni e realtà oggettiva, bensì la chiarezza e distinzione delle evidenze intellettive: fondamento e contenuto della verità vengono trasferiti dalla realtà all’interiorità.
Il sacrificio della verità oggettiva è compensato dalla precisione della rappresentazione e dalla conseguente facilitazione nello sviluppo di applicazioni pratiche.

Rifondazioni

Tutte le credenze del passato devono essere vagliate alla luce del metodo allo scopo di eliminare come conoscenze fittizie tutti gli aspetti non dimostrabili razionalmente. 

Tra i saperi, solo la logica, la geometria e l’algebra sopravvivono all’azione della falce cartesiana.

 Le scienze si devono rideterminare liberandole da ingerenze estrinseche.

In particolarela fisica può essere rifondata ricavando le leggi della meccanica dalle verità geometriche. 

Anche la metafisica è rifondabile su basi scientifiche, secondo argomentazioni logiche non dipendenti dalla teologia. 

La religione non sfugge all’imperio della ragione.
La resurrezione dei corpi sembra incompatibile con una filosofia dualista, che contrappone alla mente-anima (immortale, unica costituente dell’unità della persona) la materia-corpo soggetta al mutamento/decadimento. 

Le verità rivelate - come il peccato originale, la Trinità, il Demonio, l’Incarnazione –, dato che non sono auto evidenti (è proprio per questa caratteristica che sono oggetto della Rivelazione), non possono passare il vaglio cartesiano. Di sicuro la descrizione della creazione che egli dà si discosta nettamente dal racconto della Genesi. 

Si è visto che dio è un prodotto mentale, , dato che è la ragione stessa ad essere l'unica origine della sua esistenza (Cartesio ne ammette l’esistenza solo a partire dall’idea innata che è in noi). È un dio che si limita ad illuminare il filosofo interiormente [17], aiutandolo a distinguere le idee indubitabili, della cui verità è il garante finale. È un dio che dopo la creazione resta lontano dal mondo e inavvicinabile dall’uomo, un’entità quasi evanescente:le nozioni di finalità e di provvidenza non trovano posto nel sistema cartesiano. Dio diventa un’ipotesi di cui si può fare a meno, come dirà Laplace. 

Al dio evanescente corrisponde un soggetto uomo altrettanto elusivo: il soggetto, elemento attivo di ogni rappresentazione è solo pensiero in atto, con una consistenza limitata all'atto stesso; l'io del Cogito è una pura trasparenza [18]. 

Cornelio Fabro (1911 – 1995) ha svelato il nichilismo soggiacente il pensiero cartesiano: “un Cogito che non pensa niente, che non si riferisce a niente, che non è presenza di niente, ma che è la messa fra parentesi e lo svuotamento radicale attivo dell’intero spazio dello spirito, è la morte o almeno la catalessi dello spirito da cui nulla può cominciare né seguire” [19]. 

La teologia, che fonda le sue conoscenze sulla testimonianza autorevole e credibile che Dio dà di sé - direttamente o tramite i profeti - non è una strada percorribile dal sapere razionalista. 

Le leggi morali devono essere riscritte in termini razionali. Nell’attesa Descartes propone una morale provvisoria, che è un misto di saggezza (moderazione, autocorrezione) e conformismo [20]. 

Si vede come la ragione cartesiana abbia i tratti dell’onnipotenza. L’Io, emancipato dal mistero che lo trascende e da ogni dipendenza eteronoma, ha la facoltà di costruire il proprio mondo, di cui è l’inizio e il fine [21].
Un nuovo capitolo della storia umana si apre: l’atto di pensiero, scacciando l’angoscia del non senso e l’abisso del nulla, dà inizio ex nihilo ad una nuova ed incorporea creazione.
prende l’abbrivio una scuola intellettualistica che, solleticando la volontà di potenza dei filosofi, legittima le più astruse costruzioni teoretiche.
Capograssi afferma che "la vera rivoluzione è qui e non nelle rivoluzioni politiche che poi 

seguirono. Da questo sovvertimento di tutto il reale nasce tutta la squilibrata epoca moderna e le sue rivoluzioni e le sue distruzioni" [22]. 

Come tutti i filosofi che prescindono dalla Rivelazione, Descartes non tiene in alcun conto che la natura umana e la stessa creazione sono corrotte in seguito al peccato originale: è questa la realtà con cui si scontrano i sogni degli utopisti trasformandoli negli incubi delle rivoluzioni. 

Elevando il soggetto al di sopra delle fedi e dando alla mente il potere di giudicarle, Cartesio va oltre il libero esame della rivoluzione luterana arrivando ad una radicale irreligiosità.
L’arma formidabile che egli ha messo in mano ai negatori di Dio consiste in questo: nel sistema cartesiano non basta dimostrare la non contraddittorietà rispetto alla ragione di enunciati, eventi o misteri rivelati, affinché questi siano ammessi nel cerchio magico del possibile, essendo l’evidenza l’unico criterio ammesso.
Voltaire ha reso palese la portata rivoluzionaria di Descartes: “egli distrusse le assurde chimere con cui s’imbonivano i giovani da duemila anni; insegnò agli uomini del suo tempo a ragionare […] Il cammino che egli aprì è divenuto, dopo di lui, immenso” [23]. 

Cartesio segna infatti l’inizio della modernità, dando origine ad una serie di indirizzi filosofici, che, pur tra loro eterogenei, formeranno insieme la temperie intellettuale dell'Illuminismo.
Il sistema cartesiano infatti:

- dà il via al razionalismo, secondo cui il conoscere non si fonda né sulla fede né sui sensi, ma solo su principi logici, razionali, liberi da ogni influsso teologico-morale. Leibniz ne fu uno dei primi continuatori.

- fonda il soggettivismo (nichilismo conoscitivo), che era solo implicito nelle tesi occamiste. Lo scetticismo nei confronti dell’oggettività dell’essere troverà in Kant la sua espressione compiuta

- genera da una sua costola l’idealismo empirico di Berkeley: filosofia che parte anch’essa dai contenuti di coscienza, che per lui non sono le idee, ma le sensazioni.

- favorisce lo sviluppo delle filosofie dell’immanenza, negatrici dell'esistenza di un soprannaturale trascendente la natura (panteismo esplicito di Spinoza - deus sive natura - , panteismo mascherato da pancristismo di Teilhard de Chardin)

- crea lo spazio per l’affermarsi dell’ateismo positivo, solo implicito nel suo radicale soggettivismo. In particolare la sua concezione della natura influenza: 1) l'illuminismo radicale, materialista e ateo di Meslier, Diderot, D'Holbach; 2) il materialismo estremo di La Mettrie (per il quale l'anima è solo un elemento corporeo), precursore del darwinismo (l'uomo ha avuto origine dagli animali, l’evoluzione delle specie avviene per eliminazione degli individui non adatti) [24]

- crea i presupposti per l’idealismo, che ne rappresenta l’evoluzione in senso spiritualista, implicita nell’angelismo disincarnato, l’altra faccia del dualismo anima-corpo, tra cui esponenti si annoverano: 1) Hegel, con la sua dialettica dello Spirito; 2) Marx ed Engels, i due fondatori del socialismo scientifico (detto anche materialismo dialettico), i quali esplicitamente si riconoscono nel filosofo francese [25] 

Le neuroscienze e le manipolazioni ad esse associate derivano (nel bene e nel male) dal dualismo di Descartes e dal materialismo estremo di La Mettrie: la logica dei trapianti di organi e la parallela liberalizzazione degli espianti non sarebbe possibile senza queste idee. 

Per quanto riguarda la teologia, il sistema cartesiano ha rivestito di paludamenti accademici il libero esame del luteranesimo e lo spiritualismo delle conventicole. Ha poi dato l’avvio a:

- il deismo, che ammette la possibile esistenza di Dio, basandola sulla sola ragione, negando Rivelazione e dogmi, in definitiva configurando un dio differente da quello della tradizione cristiana

- il fideismo, che consiste nella rinuncia a dare una base razionale al proprio credo

- l’ontologismo di Malebranche (1638-1715), poi ripreso da Gioberti, Rosmini e Del Noce. Egli, volendo interpretare Descartes in senso cattolico, sostiene che la via per giungere alla conoscenza prima, fondamento di tutte le altre, è l’immediata e intuitiva apprensione di Dio (ponendo così la visione di Dio in luogo dell’idea innata). Di qui nasce l’idea del modernismo che la via per conoscere Dio non è la fede astratta, ma il vivere un’esperienza religioso-sentimentale del divino

- l’occasionalismo, sempre di Malebranche (1638-1715), che nega la dignità di causa agli enti creati (è Dio la causa reale di ogni movimento). 

- l’esegesi razionalista di Bultmann e della scuola di Tubinga, “versione dotta del libero esame” [26], volta a decontaminare la Scrittura da tutti i passi in cui faccia capolino il soprannaturale, e la sua deriva ultima, il biblicismo scientista dei modernisti che intendono eliminare dalle Scritture Sacre ciò che è ritenuto frutto del tempo o della cultura non ebraica

- il tentativo di Helvétius di creare una religione depurata da superstizioni e istituzioni, una religione che si riduce a morale (una morale però priva di solidi fondamenti). È l’obiettivo che in campo cattolico si propone il modernismo.

Connessioni rosicruciane  

Molte particolarità della vita di Descartes rimandano alla setta dei Rosa-Croce, leggendaria Fraternità ermetica radicalmente anticattolica, che millantò pubblica esistenza nel 1614 con due libelli (Fama Fraternitatis e Confessio). Tra le regole della Fraternità vi era la pratica di una specie di marranesimo (adattarsi a usi, costumi e modo di vestire del paese in cui si opera) e soprattutto la segretezza totale (i Rosa-Croce dichiaravano di essere invisibili ai profani). In seguito ai manifesti, iniziò un movimento reale: sorsero infatti consorterie di esoterici illuminati, che si consolidarono fino a formare una società iniziatica vera e propria, i cui contenuti ispirano tuttora gli alti gradi del Rito Scozzese della Massoneria. I due libelli fecero molta sensazione, molti curiosi desideravano contattare i membri dell’ordine, ma essi rimasero sordi alle richieste di manifestarsi. 

Descartes cercò di mettersi in contatto con la confraternita nella speranza di esservi ammesso; è anche sospettato di avere latinizzato il suo nome per dare con le sue nuove iniziali, R e C, una conferma agli elusivi fratellidell’ispirazione rosacrociana del suo sistema.
Nel 1620 incontrò Johann Faulhaber, insigne matematico certamente legato ai Rosa-Croce, ricavandone una profonda impressione.
In quegli anni col suo nome iniziatico scrisse una bozza di trattato sulla matematica dedicata “agli studiosi eruditi del mondo intero, e specialmente a G.F.R.C. Germaniae Fraternitas Rosae Crucis”.
A partire dal 1623 venne perseguitato dalla nomea di essere un Rosa-Croce; allorché nel 1629 l’accusa venne reiterata, si risolse a espatriare in Olanda. Ma anche lì dopo alcuni anni, come detto sopra, Voetius gli contestò l’appartenenza ai misteriosi fratelli.
Fu Leibniz nel 1676 a cercare e trovare per primo i manoscritti inediti di Cartesio, che erano custoditi da un amico e discepolo del filosofo francese. Ora è acclarato che Leibniz apparteneva alla Fraternità e ne era il segretario. 

Persona con tratti comuni a Descartes è stato Francesco Bacone (1561 – 1626), uno dei primi teorici della tecnocrazia. Egli, disgustato dalle speculazioni inconcludenti, mirava primariamente alle applicazioni operative della scienza[27]. Francis Yates ci ha reso edotti del legame del lord cancelliere – che era un cultore della Cabala - con l’ambiente esoterico con cui in seguito entrò in contatto Descartes [28], il cui centro all’epoca era Heidelberg. 

A dispetto della loro presunta invisibilità, alla corte palatina i Rosa-Croce erano concretamente all’opera con eminenti affiliati, tra cui Comenius (1592-1670) [29]. Secondo la Yates furono loro ad indurre Federico V del Palatinato ad appoggiare i calvinisti boemi fino ad accettare la corona di re di Boemia[30].Alla figlia di Federico V, la giovane Elisabetta, che era in esilio in Olanda, Descartes fu per tutta la vita molto legato, tanto da dedicare a lei I principi della filosofia (1644).

Contraddizioni e nicodemismo 

È impossibile non accorgersi della particolarità di un cattolico che col suo mondo non ebbe che tenui legami (Mersenne), mentre furono vari i suoi intrecci con l’ambiente protestante

- ugonotto (volle assistere di persona all’assedio della roccaforte di La Rochelle; ugonotto era il suo valletto Gillot)

- calvinista (si arruolò in un reggimento francese inserito nell’esercito olandese, si trasferì in Olanda)

- giansenista (dall’Olanda si recò a Parigi per incontrare Pascal)

- luterano (si trasferì in Svezia)

- hussita (la prediletta Elisabetta di Boemia) 

Descartes dimostra una capacità di adattamento ai diversi ambienti che ricordaa ad uno dei consigli dei manifesti rosicruciani: adattarsi a usi, costumi e modo di vestire del paese in cui si opera.
Singolare è il fatto che il credente in Dio e nell'immortalità dell’anima mantenesse (tramite Mersenne) contatti metodici con

- Pierre Gassendi, anti-metafisico e negatore dell’immortalità dell’anima

- Thomas Hobbes, nominalista, per il quale tutto ciò che esiste è materiale

- Antoine Arnauld, giansenista 

avendo per di più cura di includere le loro obiezioni anti-metafisiche nelle Meditationes de prima philosophia (1641), con l’effetto di seminare dubbi sulla parte teista del suo pensiero. 

Un secondo aspetto rilevante del suo porsi nel mondo è la cautela.
In un suo appunto giovanile egli scrive: "come gli attori […] vestono la maschera, così anch'io sul punto di salire su questa scena mondana, di cui fin qui fui spettatore, avanzo mascherato (larvatus prodeo)" [31].
Amante della propria quiete, per poter sostenere le sue posizioni incompatibili con la Rivelazione senza subire attacchi, prese da subito le distanze dai libertini e dagli umanisti irreligiosi.
Il Discorso sul metodo egli lo propone “come una storia, o se piace meglio, come una favola” [32].
Anche la sua conformistica morale provvisoria è un segno della sua volontà di non scontrarsi con le autorità religiose.
Prudentemente egli invita i lettori a considerare come congetturale il suo sistema fisico, in cui la materia è ridefinita su basi geometrico-meccaniche.
Anche quando ipotizza la costituzione di un mondo senza il bisogno di ricorrere all'azione creatrice di Dio[33], lo presenta come un puro esercizio mentale applicabile ad un cosmo analogo al nostro.
Per questo alcuni ritengono ragionevole vedere nelle sue opere un ateismo di fatto coperto da un teismo di maniera. 

Con Descartes sulla scena del mondo apparve il moderno, “senza farsi riconoscere, ma con micidiale efficacia”[34].
Da allora la cultura iniziò il suo cammino verso l’irreligiosità, scavando un solco via via più profondo con il cattolicesimo.
L’irrequietudine per la distanza tra i due mondi cominciò a serpeggiare tra i chierici. Alcuni, presi dall’ ansia di colmare il divario, pensarono fosse opportuno accantonare gran parte degli elementi soprannaturali. I centri di potere umbratili soffiarono sullo spirito di ribellione. In questo l’état d’esprit nasce il modernismo, movimento di pressione organizzato per “riformare Roma con Roma”.

Il cardinal Martini fino all’ultimo ha sospirato per il più che secolare ritardo accumulato dalla Chiesa, ora pare ci sia chi ha l’umiltà e l’ambizione di colmarlo (oltre che il potere).

Oreste Sartore

 


NOTE

[1] “riformare Roma con Roma” era il motto di Buonaiuti, uno dei maggiori esponenti del modernismo

[2] v.qui Padre Giovanni Caprile s.j., Orientamenti fondamentali della Massoneria, La Civiltà Cattolica, febbraio 1957

[3] Lorenzo Valla, De voluptate, 1431

[4] primato dell’azione sulla dottrina e sulla contemplazione, altra caratteristica del modernismo

[5] “abbiamo ragioni di dubitare generalmente di ogni cosa e particolarmente delle cose materiali", Meditazioni metafisiche, 1641

[6] v. a cura di Lelia Pezzillo: Adrien Baillet, Vita di Monsieur Descartes, Milano 1996

[7] “presi la decisione di fingere che tutte le cose che da sempre si erano introdotte nel mio animo non fossero più vere delle illusioni dei miei sogni”, Discorso sul metodo, 1637

[8] ibidem

[9] “quando qualcuno dice: "io penso, dunque sono ", non trae questa conclusione in virtù di un sillogismo, ma l'apprende come una cosa di per sé nota con la semplice intuizione della mente”. Meditazioni metafisiche, 1641

[10] il nesso ego-sum non è il risultato di un processo ragionativo astratto, è l’affermarsi di una esperienza diretta

[11] “appena avessi cessato di pensare, ancorché fosse stato vero tutto il resto di quel che avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcuna ragione di credere ch'io esistessi: da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale. Di modo che questo io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, del quale è anche più facile a conoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che è”.ibidem

[12] modificazioni soggettive degli organi sensoriali di cui non possiamo avere certezza

[13]  Cartesio dimostra l’esistenza di Dio, non muovendo dalle cose esterne (via preclusa dal suo dubbio sul mondo), partendo dall’idea innata di Dio: l’esistenza nella mente dell’idea di un Ente in cui abitano tutte le perfezioni non può esser prodotta da un soggetto limitato, solo Dio è la causa di quel pensiero; in ogni caso a quell’idea di Ente perfettissimo non può mancare l’ultima perfezione, quella dell’esistenza (prova - detta ontologica - di Sant’Anselmo).

[14] sembra lecito obiettare che le verità di ragione si impongono per il solo fatto di essere chiare e distinte, senza ricorrere a Dio o alla sua idea

[15] per metodo intendo delle regole certe e facili osservando le quali fedelmente non si supporrà mai come vero ciò che è falso, e senza inutili sforzi da parte della mente, ma con graduale continuo progresso della scienza, si perverrà alla vera conoscenza di tutte le cose di cui si è capaci”, Discorso sul metodo (1637)

[16] Giuseppe Capograssi, Riflessioni sulla autorità e la sua crisi, Milano, 1959; citato da P. Vassallo, “Memoria e progresso”, Verona 2009

[17] in linea con le concezioni vigenti negli ambienti protestanti

[18] in Marie-Joseph Le Guillou, Il mistero del Padre, Milano 1979

[19] p. Cornelio Fabro, Tomismo di domani, in Aquinas 1966

[20] Cartesio, in anticipo sui tempi, propone in definitiva le stesse cose di papa Francesco: «obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese, osservando con fermezza la religione nella quale Dio ci ha fatto la grazia di essere educato», Discorso sul metodo (1637), parte terza

[21] Cartesio attribuisce al soggetto l’identità di pensiero ed essere, una caratteristica che S. Tommaso afferisce solo a Dio. L’aver reso l’uomo cosciente della sua divinità gli procurò il plauso degli illuminati e la riprovazione dei credenti.

[22] Giuseppe Capograssi, op. cit.

[23] Voltaire, Lettere filosofiche, 1733

[24] per queste sue tesi e per aver sostenuto che fine della vita è il piacere dei sensi e la virtù consiste nell'amore di se stessi, fu costretto a rifugiarsi prima a Leida e poi a Berlino, ove morì

[25] Karl Marx - Friedrich Engels, La sacra famiglia, 1845: "nella sua Fisica, Descartes ha dotato la materia di una forza autocreativa e ha concepito il movimento meccanico come il suo atto vitale. Egli aveva separato completamente la sua fisica dalla metafisica. All'interno della sua fisica la materia è l'unica sostanza, l'unico fondamento dell'essere e del conoscere"

[26] Étienne Gilson, Introduzione alla filosofia cristiana, Milano 1982

[27] ÈBacone è autore di un programma intriso di euforia magico-tecnicista, con cui intendeva abbattere dalle fondamenta l’antico sapere: Instauratio Magna (1620)

[28] Francis Yates, L' illuminismo dei Rosa-Croce, Torino 1976

[29]il moravo János Comenius, alias Jan Amos Komensky, vescovo dei Fratelli Boemi, setta hussita di stampo gnostico, fu precursore e padre del mondialismo. Alto iniziato della setta rosacrociana, egli pose le basi culturali e cospiratorie per l'unificazione della conoscenza, della politica e delle chiese (obiettivo in corso oggi di realizzazione).

[30] è l’evento che diede inizio alla guerra dei Trent’anni

[31]Cogitationes privatae, 1618-21

[32] non probo sed narro era stato il motto di numerosi maghi ed alchimisti, ad esempio di Cornelio Agrippa

[33] essendo sufficiente il solo movimento a spiegare la separazione della materia primordiale uniforme in una molteplicità di forme

[34] v. a cura di Lelia Pezzillo: Adrien Baillet, op. cit.