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Il carisma strappato al Fondatore dei Francescani dell'Immacolata

Un altro ritornello delle nuove autorità, dopo il commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata, dice così: il carisma fondazionale, che Dio ha ispirato a P. Stefano M. Manelli, seguito da P. Gabriele M. Pellettieri, e che la Chiesa ha definitivamente riconosciuto con l’approvazione pontificia del 1998, non appartiene più ai Fondatori ma alla Chiesa. Ergo a P. Volpi e alle nuove autorità. Conclusione affrettata e falsa, direbbero subito i defensores novitatis. Ma vediamo perché.  

Nuovo aut aut: o il fondatore o il carisma

Il carisma appartiene alla Chiesa. C’è del vero, certo, in questa posizione, ma non è tutto oro ciò che luccica. Anzi. Ad esempio, da qui, il carisma appartiene alla Chiesa, fino a denunciare nei timidi frati che si appellavano ai Fondatori perché si rispettasse il loro stile di vita, «gravi errori in campo ecclesiologico circa principi fondamentali della vita religiosa», insieme a «una grande povertà spirituale e una dipendenza psicologica incompatibile con la “libertà dei figli di Dio” che si presuppone in chi si impegna in una donazione totale al Signore per mezzo della consacrazione religiosa» (>Lettera dell’8 dicembre 2013), ne passa un bel po’.

Una sorta d’infantilismo spirituale è l’accusa, che non li ha portati a fare il salto di responsabilità. Quegli ignavi fraticelli, invece di prendere il cielo con le mani e salutare acclamanti il salvatore dell’Istituto, colui che avrebbe tratto i frati dalle caligini della deficienza spirituale, sarebbero invece non solo testardi, ma anche ignoranti: «Volete capire che il carisma appartiene alla Chiesa, sì o no!». E via con questi slogan.

I frati e i laici sarebbero ancora attaccati alla gonnella di P. Manelli, e questo li avrebbe portati a schierarsi, quasi in modo compatto, dalla parte della fedeltà ai Fondatori per preservare la fedeltà alla loro identità.

Altro è il fondatore altro il carisma. L’operazione che urge è dividere in modo drastico il carisma dal fondatore e così far rinsavire quegli sprovveduti con una teologia carismatica, di chi di vita religiosa se ne intende, e come, fino a stracciarsi le vesti, lui e i suoi collaboratori, al sol sentire: «il carisma lo ‘possiede’ il fondatore», «rimango dalla parte del fondatore per rimanere dalla parte dell’autentico carisma».

Carisma fondazionale, non potestativo

Bisogna anzitutto inquadrare il problema. Parliamo del carisma fondazionale, cioè di una grande ricchezza spirituale vivente nella regola, nelle costituzioni e negli statuti propri, i quali designano il diritto proprio dell’istituto, e non mirano certo a tarpare le ali della sequela radicale del Vangelo e della conformità al Christus patiens, ma a incanalarle nel solco veritativo di una tradizione spirituale, ascetica e mistica, che precede quel carisma e che si genererà poi anche a partire da quel carisma. Il carisma è un grande itinerario spirituale che, con il riconoscimento della Chiesa, diventa finalmente autentico: viene da Dio e porta sicuramente a Lui, esprimendo una tipicità nella via della santità cristiana, una nuova ricchezza dottrinale e spirituale.

Certamente il carisma è della Chiesa, quando l’Ecclesia Mater, riconoscendone la sua ispirazione divina, lo approva. La Chiesa non pretenderà però di sostituirsi all’ispirazione originaria sostituendosi al fondatore; al contrario, con l’approvazione darà al portatore del carisma proprio il suo status di “fondatore”. Infatti, spetta alla competente autorità della Chiesa «curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni» (Codice di Diritto Canonico, can. 576).

Al contempo, si permetterà a tutta la Chiesa di poter beneficiare di un nuovo dono, un nuovo itinerario della sequela Christi, disponibile ormai per tutti, anche per altri, religiosi e laici, che vorranno ad esso richiamarsi ed ispirarsi. Appartenenza del carisma alla Chiesa significa finalmente cattolicità di quel carisma: un dono fatto non solo a quella famiglia religiosa, ma a tutta la Chiesa, ad ogni cristiano.

Invece, p. Volpi e i suoi discepoli difendono con le grinfie l’ecclesialità del carisma in modo da blindarlo e così strapparlo ai “neo-dissidenti”: il Fondatore e i frati che lo seguono. Segno, a dir poco, di modesta ecclesialità. Perché non permettono al gruppo maggioritario dei frati di costituire un altro ramo scegliendo il medesimo carisma nel suo sviluppo omogeno, ispirato dai Fondatori e approvato dalla Chiesa? Segno di povertà ecclesiologica ma di potere ecclesiastico?

Perciò, pur appartenendo ormai alla compagine vivente del Corpo mistico del Signore, il carisma non smette di conservare la sua origine divina e umana: il suo provenire da Dio e da un fondatore, i quali rimangono sempre la causa efficiente del carisma, una principale e l’altra strumentale. Dimenticare da dove il carisma proviene significa dimenticare primo o poi lo stesso carisma. In concreto: esiliare i due fondatori, trattandoli come fraticelli qualunque, con il pretesto che il carisma non è più dei fondatori, significa provocare, prima o poi, in un prossimo futuro, uno smarrimento dell’origine. Si pensi a un uomo vivo che non sa chi sono i suoi genitori. La stessa cosa.

Se S. Francesco potesse parlare

Ma c’è di più. L’appartenenza del carisma alla Chiesa necessita sempre una testimonianza vivente che possa contribuire alla sua vivificante implementazione a favore di tutto il popolo di Dio. Un carisma non è un fossile privo di vita, o, per dirla con Papa Francesco, «non è una bottiglia d’acqua distillata». È vita di un ordine religioso, di un istituto, di un’associazione pubblica di fedeli. E perché vita, conosce un progresso che genera vita, che genera la santità della vita. Così i Santi (fondatori o discepoli) sono i testimoni più autorevoli di quel carisma, della sua intrinseca bontà, che così è lievito per tutta la Chiesa.

Un fondatore non può essere accantonato se non per smarcarsi da questi e trasformare un ordine religioso in un’altra cosa. Il problema dei maggiori ordini religiosi, la grave crisi identitaria e vocazionale in cui versano, non è dovuta proprio all’aver “esiliato” i fondatori e quindi la regola per cercare un ammodernamento della vita religiosa al passo con i tempi, considerando quelli del fondatore ormai superati? Il tempo e il mondo di oggi hanno messo da parte il tempo e il mondo di S. Francesco, ad esempio; ma con il tempo e il mondo del Serafico d’Assisi si è messa da parte anche l’osservanza del Vangelo di S. Francesco d’Assisi.

È nata la cosiddetta “Questione francescana”, la quale potrebbe essere ricondotta proprio a questi termini: da una parte S. Francesco e dall’altro i francescani, senza possibilità di un incontro vivo se non mediante il metodo storico-critico applicato alle fonti, vivisezionate e lasciate in ogni caso nel loro passato storico. Così la vita si spegne e S. Francesco rimane un personaggio della storia, che non ha più niente da dirci se non suscitare forse la nostra ammirazione per il suo amore agli uccellini.

No. S. Francesco parla ancora attraverso i suoi scritti, i suoi esempi, le sue opere. E parla soprattutto attraverso i suoi figli santi, i grandi Santi dell’Ordine Serafico.

Allo stesso modo (rispettando la debita analogia), è semplicemente pretestuoso dire: mettiamo da parte p. Stefano Manelli perché il carisma appartiene alla Chiesa. Non è necessario che il fondatore sia santo, se lo è ancora meglio, perché rimanga testimone autorevole di quel carisma nella Chiesa, ma è necessario che il carisma sia approvato dalla Chiesa perché gli sia riconosciuto il ruolo testimoniale di fondatore. Ruolo testimoniale che si specchia nel suo compito di guida, sub ductu Ecclesiae, nell’implementazione corretta di quel carisma.

Il fondatore rimane il testimone e il maestro più qualificato di quella ispirazione carismatica, della cui corretta interpretazione può beneficiare tutta la Chiesa. A lui, ai suoi scritti, alle sue opere, si può e si deve ancora ricorrere, e così si è sicuri di non sbagliare. Come può rivivere oggi l’ardore fondazionale, le cosiddette “origini”, se non per mezzo della presenza vivificante della memoria del fondatore? E se poi, guarda caso, questi è ancora vivo, non è meglio?

Metterlo da parte, senza motivi, senza accuse fondate e dimostrate di suoi presunti abusi, ma solo per ragioni altre, che al momento rimangono oscure, non è un bel servizio che si fa alla Chiesa. O meglio, è quel servizio che alcuni uomini di Chiesa hanno fatto ai figli eletti della Chiesa in determinati momenti nodali della storia.

Svela in ogni caso chiaramente la mens dei nuovi arrivati: strappare il carisma a chi lo “possiede”, e presto trasformarlo in un’altra cosa. Senza un’origine e perciò senza più quel fine. Si riaprirà un nuovo capitolo della Questione francescana, che soffocherà, presto o tardi, lo «spirito dei fondatori e le sane tradizioni».

 

Maurizio Grosso (CORRISPONDENZAROMANA.it)