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La falsa chiesa e la santa Chiesa

La falsa Chiesa che si presenta fra noi a partire dal curioso concilio Vaticano II, si allontana sensibilmente, anno dopo anno, dalla Chiesa fondata da Gesù Cristo. La falsa Chiesa post-conciliare si contrappone [separazione/opposizione] sempre più alla santa Chiesa che da venti secoli salva le anime (e in sovrappiù illumina e sostiene la società). La pseudo-Chiesa in costruzione si contrappone sempre più alla Chiesa vera, alla sola Chiesa di Cristo, con le più strane innovazioni, sia nella costituzione gerarchica sia nell’insegnamento e nei costumi. (P. Roger-Thomas Calmel, O.P., Autorité et sainteté dans l’Église, in Itinéraires n. 149, gennaio1971, pp. 13-19.)

Il 27 novembre 1969, tre giorni prima della data fatidica in cui entrò in vigore il Novus Ordo Missae, padre Calmel espresse il suo rifiuto con una dichiarazione d’eccezionale portata, resa pubblica sulla rivista Itinéraires.

Mi attengo alla Messa tradizionale – dichiarò – quella che fu codificata, ma non fabbricata, da San Pio V, nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. Rifiuto dunque l’Ordo missae di Paolo VI.

Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, permessa o voluta dal Papa attuale, e che riveste, per il momento, la maschera dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969. È diritto di ogni sacerdote rifiutare di portare la maschera di questa rivoluzione liturgica. E stimo mio dovere di sacerdote rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco.

Se accettiamo questo nuovo rito, che favorisce la confusione tra la Messa cattolica e la cena protestante – come sostengono i due cardinali (Bacci e Ottaviani) e come dimostrano solide analisi teologiche – allora passeremmo senza tardare da una messa intercambiabile (come riconosce, del resto, un pastore protestante) ad una messa completamente eretica e quindi nulla. Iniziata dal Papa, poi da lui abbandonata alle Chiese nazionali, la riforma rivoluzionaria della messa porterà all’inferno. Come accettare di rendersene complici?

Mi chiederete: mantenendo, verso e contro tutto, la Messa di sempre, hai riflettuto a che cosa ti esponi? Certo. Io mi espongo, per così dire, a perseverare nella via della fedeltà al mio sacerdozio, e quindi a rendere al Sommo Sacerdote, che è il nostro Giudice supremo, l’umile testimonianza del mio ufficio sacerdotale. Io mi espongo altresì a rassicurare dei fedeli smarriti, tentati di scetticismo o di disperazione. Ogni sacerdote, in effetti, che si mantenga fedele al rito della Messa codificata da San Pio V, il grande Papa domenicano della controriforma, permette ai fedeli di partecipare al santo Sacrificio senza alcun possibile equivoco; di comunicarsi, senza rischio di essere ingannato, al Verbo di Dio incarnato e immolato, reso realmente presente sotto le sacre Specie. Al contrario, il sacerdote che si conforma al nuovo rito, composto di vari pezzi da Paolo VI, collabora per parte sua ad instaurare progressivamente una messa menzognera dove la Presenza di Cristo non sarà più autentica, ma sarà trasformata in un memoriale vuoto; perciò stesso, il Sacrificio della Croce non sarà altro che un pasto religioso dove si mangerà un po’ di pane e si berrà un po’ di vino. Nulla di più: come i protestanti. Il rifiuto di collaborare all’instaurazione rivoluzionaria di una messa equivoca, orientata verso la distruzione della Messa, a quali disavventure temporali, a quali guai potrà mai portare? Il Signore lo sa: quindi, basta la sua grazia. In verità, la grazia del Cuore di Gesù, derivata fino a noi dal santo Sacrificio e dai sacramenti, basta sempre. È perciò che il Signore ci dice così tranquillamente: “Colui che perde la sua vita in questo mondo per causa mia, la salverà per la vita eterna”.

Riconosco senza esitare l’autorità del Santo Padre. Affermo tuttavia che ogni Papa, nell’esercizio della sua autorità, può commettere degli abusi d’autorità. Sostengo che il papa Paolo VI ha commesso un abuso d’autorità di una gravità eccezionale quando ha costruito un nuovo rito della messa su una definizione della messa che ha cessato di essere cattolica. “La messa – ha scritto nel suo Ordo Missae – è il raduno del popolo di Dio, presieduto da un sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore”. Questa definizione insidiosa omette a priori ciò che fa la Messa cattolica, da sempre e per sempre irriducibile alla cena protestante. E ciò perché per la Messa cattolica non si tratta di qualunque memoriale; il memoriale è di tal natura che contiene realmente il sacrificio della Croce, perché il Corpo e il Sangue di Cristo sono resi realmente presenti in virtù della duplice consacrazione. Ora, mentre ciò appare così chiaro nel rito codificato da San Pio V da non poter esser tratti in inganno, in quello fabbricato da Paolo VI rimane fluttuante ed equivoco. Parimenti, nella Messa cattolica, il sacerdote non esercita una presidenza qualunque: segnato da un carattere divino che lo introduce nell’eternità, egli è il ministro di Cristo che fa la Messa per mezzo di lui; ben altra cosa è assimilare il sacerdote a un qualunque pastore, delegato dai fedeli a mantenere in buon ordine le loro assemblee. Orbene, mentre ciò è certamente evidente nel rito della Messa prescritta da San Pio V, è invece dissimulato se non addirittura eliminato nel nuovo rito.

La semplice onestà quindi, ma infinitamente di più l’onore sacerdotale, mi chiedono di non aver l’impudenza di trafficare la Messa cattolica, ricevuta nel giorno della mia ordinazione. Poiché si tratta di essere leale, e soprattutto in una materia di una gravità divina, non c’è autorità al mondo, fosse pure un’autorità pontificale, che possa fermarmi. D’altronde, la prima prova di fedeltà e d’amore che il sacerdote deve dare a Dio e agli uomini è quella di custodire intatto il deposito infinitamente prezioso che gli fu affidato quando il Vescovo gl’impose le mani. È anzitutto su questa prova di fedeltà e d’amore che io sarò giudicato dal Giudice supremo. Confido che la Vergine Maria, Madre del Sommo sacerdote, mi ottenga la grazia di rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco. Tuus sum ego, salvum me fac (sono tutto vostro, salvatemi)”.

 

Padre Roger-Thomas Calmel, O.P. (1914-1975)