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Il modernismo, cripto-eresia che mirava a cambiare la Chiesa dall'interno

La gravissima crisi che sta minacciando le fondamenta stesse della Chiesa ha senz’altro molte cause, una delle principali è la penetrazione di un pensiero non cattolico nel clero e tra i fedeli. Per questo motivo, in quest’ora cruciale, è necessario ricordare i due momenti che hanno tentato di portare la rivoluzione nella Chiesa di Roma, il modernismo e la Nouvelle Théologie.

Uno dei primi veicoli di teologie aliene che ebbe una certa presa sui fedeli comuni fu il modernismo.

Sorto a fine ‘800 nella società secolarizzata instaurata dalle rivoluzioni e dai risorgimenti, il movimento rispondeva alle istanze del nuovo ceto dominante - la borghesia. La classe borghese anelava una religione a sua misura, meno sacrale, più latitudinaria nella dottrina e più permissiva nell’etica.

Nel modernismo confluirono le idee ereticali che, nei secoli precedenti, erano professate solo all’interno di cerchie ristrette, come gli umanisti fiorentini, in particolare Lorenzo Valla e il suo discepolo Erasmo da Rotterdam, gli antitrinitari senesi Lelio e Fausto Socini, il movimento degli alumbrados (illuminati) che con Juan de Valdés si radicò a Napoli. Alle influenze di queste correnti nate in ambiente cattolico, si sommarono idee mutuate dal protestantesimo istituzionale e di frangia (pietismo) e dalla moderna filosofia (razionalismo agnostico, liberalismo indifferentista e antitrinitario, idealismo immanentista e progressista, positivismo scientista, marxismo).

Da questo magma emerse un complesso variegato di personaggi e di indirizzi critici, i cui fattori comuni furono la pretesa di produrre nuove interpretazioni della teologia, del culto e della Sacra Scrittura e la richiesta pressante alla Chiesa di riformarsi nella struttura, cambiando il suo atteggiamento verso il mondo, la scienza e le altre religioni. La perdita del potere temporale della Chiesa unita alla sua debolezza politica nel contesto delle potenze liberal-massoniche ha permesso a questi rivoluzionari di esprimere in modo sfacciatamente virulento le loro posizioni eretiche e pretese di cambiamento.

Fu San Pio X nell'enciclica Pascendi (1907) a ricondurre ad un medesimo nucleo le differenti spinte condannando il loro insieme con unico termine: modernismo [i].

Del movimento esamineremo prima il livello speculativo e successivamente le prassi operative.

Livello speculativo

Nella speculazione modernista si individuano due indirizzi, quello teologico e quello storico.

Il primo filone, teologico, vede come capofila l’irlandese Georges Tyrrell (1861 – 1909).

Tyrrell, sacerdote nella Compagnia di Gesù, era stato educato nel calvinismo ed era approdato al cattolicesimo dopo un passaggio nell'anglicanesimo. Egli riteneva che fosse necessaria una “sintesi tra religione e pensiero moderno”, salvando solo quello che fosse passato attraverso il vaglio della critica” [ii]. Ma al vaglio della critica ben poco si salvava della religione tradizionale: l’indagine scientifica sulle origini del cristianesimo e quelle relative all'evoluzione storica della Chiesa, a detta del gesuita, mettevano in crisi dogmi e istituzioni, e, al contempo, restringevano l’ambito in cui è lecito parlare di miracoli.

Tyrrell tentò allora una rifondazione del cattolicesimo, ponendo come inizio non la Rivelazione, ma l’esperienza vitale che si compie nelle coscienze: l’atto di fede è un’esperienza e non un’adesione intellettuale ad un sistema teologico. Come corollario, le verità rivelate all’io interiore non sono giudicabili da soggetti esterni.

Tyrrell distingue poi fra il subcosciente collettivo del popolo di Dio, in cui nutre una fede solidissima e incrollabile, e gli enunciati formulati dalla Chiesa docente, di cui invece dubita fortemente. Conseguentemente rivendicò “il diritto in ogni epoca di adattare l’espressione storico-filosofica del cristianesimo alle convinzioni contemporanee”; ne segue che i dogmi devono rispondere alle esigenze correnti, che sono diverse da quelle dei secoli in cui i dogmi furono definiti. In campo etico riteneva che le prescrizioni pratiche non siano derivabili dalle Scritture tramite i procedimenti della logica.

Dalla fede per illuminazione può formarsi una Chiesa spirituale, costituita essenzialmente dalla comunità dei laici, simile a quella delle origini che era solo il sistema missionario degli apostoli. Espulso dai Gesuiti nel 1906, Tyrrell venne scomunicato nel 1907.

In Francia uno degli esponenti del modernismo teologico fu l’oratoriano Lucien Laberthonnière (1862 – 1932). Egli considerava nocivo l’influsso della filosofia greca sul cristianesimo e, coerentemente, riteneva necessario depurare la fede dall'aristotelismo tomista. Analogamente a Tyrrell, egli rifiutava una religione intellettualistica costituita di formule preconfezionate, per sostituirla con una fede germogliata nell’intimo e maturata attraverso una ricerca interiore. La fede è quindi un’esperienza di vita che dà la grazia di partecipare alla vita divina e non una sottomissione a un’autorità esterna: la verità nasce e quindi dipende dalla carità. Egli non rifiutava le verità dogmatiche, che comunque riteneva risultanti di un lungo processo storico (e quindi riformabili), ma le subordinava all’amore del prossimo: l’idea doveva sottostare all’atto, l'intelletto allo spirito [iii]. È anche questo un tentativo di rifondare la fede cristiana su basi personalistiche, svincolandola dai concetti eterni e rendendola in tal modo soggetta ad una evoluzione indotta dai sentimenti individuali o da un sentire collettivo (quanto mai manipolabile).

Il secondo filone del modernismo è quello storico-critico. Rivolto prevalentemente agli uomini di cultura, pretendeva di vagliare i contenuti della Scrittura con i soli metodi scientifici della storiografia. Sottoposto alla ricerca esegetica, un testo può rivelare al suo interno delle stratificazioni di più autori appartenuti a epoche diverse e delle interpolazioni introdotte posteriormente per dare unità alle parti. Questa impostazione era già presente in campo protestante, dove il libero esame propugnato da Lutero lasciava aperta la strada anche all’analisi puramente storico-scientifica della Scrittura. Toccò al francese Alfred Loisy (1857 – 1940), allievo dell’abate Duchesne [iv] (1843 – 1922), traslare questa attitudine in campo cattolico.

Loisy, una volta ordinato sacerdote, abbracciò senza riserve la pretesa della scienza biblica di porsi al di sopra e al di fuori della teologia, adottando lo stesso metodo critico usato per la storiografia profana. Ottenuta la libertà di cui godeva in campo protestante, spazzati via i vincoli dalla dogmatica, Loisy pose come cardine delle sue teorie il concetto che un testo è scritto solo in funzione degli immediati destinatari viventi al tempo della sua redazione. Ciò gli consentì di distinguere il testo che lui riteneva originario dalle supposte aggiunte successive. L’esistenza di uno sviluppo nella dottrina religiosa esposta nelle Scritture era per Loisy una necessità. Anche il Vangelo nel suo insieme “non era una dottrina assoluta e astratta, direttamente applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, per la sua propria virtù. Era invece una fede viva, ingaggiata da tutte le parti nel tempo e nel mezzo dove ella è nata. Un lavoro d'adattamento è stato e sarà perpetuamente necessario affinché questa fede si conservi nel mondo”[v].

Queste basi partenza gli consentirono di avanzare l'idea dell'ineguaglianza del valore dei libri canonici, una breccia, attraverso cui svaluterà la Genesi come una narrazione mitica, il Pentateuco come una collezione di scritti vari, in alcun modo da ritenere storici, e il quarto Vangelo come un prodotto della mistica, la cui dottrina non poteva essere ricondotta alla vita e alla predicazione di Gesù Nazareno. Per corroborare le sue tesi, Loisy datò le redazioni del Pentateuco e del Vangelo di Giovanni a tempi molto posteriori rispetto ai fatti riportati.

Partendo dal convincimento che “l'ortodossia fosse un mito privo di valore”, la concezione teologica di Loisy seguì poi un percorso abbastanza lineare scivolando gradatamente dal cattolicesimo all’ateismo umanitario.

L’istituzione della Chiesa non solo non sarebbe necessaria (protestantesimo liberale), ma non era neppure nei piani del Messia ebraico Gesù: non Lui “vivente in carne e ossa” avrebbe fondato la Chiesa e i sacramenti, ma i suoi seguaci, spinti dalla loro fede (o superstizione?) nel Cristo glorificato.

Loisy passò poi a denunciare come ostacoli a ogni progresso intellettuale i dogmi e l'infallibilità della Chiesa: le formule che cristallizzano dei concetti teologici sarebbero in sé erronee, in quanto volte a rendere immutabile ciò che invece è variabile e si evolve incessantemente.

L’unica funzione legittima che egli riconosceva alla Chiesa era l’apostolato d'educazione umana. Con tutto ciò, Loisy, da tempo professore di scienza biblica a Parigi, più volte ammonito, non lasciò la Chiesa, fino a quando, nel 1908, gli fu comminata la scomunica.

Da allora cominciò a negare l’unione ipostatica delle due nature, divina ed umana, in Gesù Cristo: Gesù sarebbe entrato nella storia non come Dio ma come uomo, per annunciare l'imminente realizzazione del Regno. In una discesa senza fine, Loisy arrivò poi a negare la concezione verginale, la realtà storica della Resurrezione e infine l’esistenza di un dio personale e la validità dei relativi teologumeni (anima, libero arbitrio, vita oltre la morte) fino a definirsi panteista-positivista-umanitario.

L’approdo finale lo vede celebrare la religione dell'avvenire, veramente universale, fondata sulla nozione di umanità, il cui avvento coinciderà con l’instaurazione di una pace universale.

Anche questa religione dell'umanità, come tutte le altre, avrà un giorno i suoi riti, le sue commemorazioni, i suoi atti simbolici [vi]. Ed avrà una sua etica, il dovere di ciascuno essendo quello di dedicarsi interamente alla società che lo ha allevato.

I due filoni trovano unità, oltre che nella condanna papale, anche nella principale figura del modernismo in Italia, Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946). Romano di nascita, una volta ordinato sacerdote, si dedicò allo studio del cristianesimo delle origini. Uomo dotato di notevole carisma, esercitò il suo magistero di professore di storia della Chiesa sempre circondato da discepoli fervidissimi.

Due i suoi principali intendimenti: rendere la fede capace di rispondere alle inquietudini e ai problemi dell'uomo contemporaneo ed eliminare il «contrasto fra le conclusioni delle discipline morali e storiche applicate al fatto cristiano, e le proclamazioni cosiddette infallibili degli ultimi concili».

Aderendo alla maggior parte delle tesi tipiche del modernismo teologico, egli riteneva che la religione non consista in una visione speculativa del mondo con una schematizzazione razionale della realtà, ma fosse un dettato normativo ispirato da esperienze pre–razionali e spirituali. In linea con Tyrrell, egli intendeva “ricavare l'affermazione del divino trascendente dalle esigenze immanenti della coscienza umana” [vii].

Buonaiuti sosteneva che il cristianesimo, sorto inizialmente come evento di natura mistica e morale con un programma sociale palingenetico, per fruttificare nel mondo si snaturò in un sistema dottrinale gestito da una burocrazia [viii]: la formulazione dogmatica sarebbe quindi intervenuta per garantire la sua sopravvivenza nel mondo.

In sintonia con la mistica renana di Eckhart, Buonaiuti vedeva un abisso tra la ragione e Dio: fragili, costituiti di argomentazioni meramente umane, erano i ponti di passaggio che la Scolastica aveva gettato per valicarlo. Il rapporto dell’uomo con il divino si baserebbe invece attraverso due gruppi di forze innate “la capacità di comunicazione subcosciente con l'universo” e quella di “tradurre in formule razionali le intuizioni del suo senso sacrale delle cose”. Nei momenti in cui prevalgono le formulazioni concettuali e la disciplina burocratica, occorre avere l'audacia di “spezzare l'involucro delle formule, per ridare ritmo circolatorio alle virtù subcoscienti dell'istinto”. Buonaiuti giustifica “l'evoluzione intrinseca e illimitata dei dogmi, il cui significato e valore non proviene dall'immutabile contenuto, ma dall'emozione soggettiva che può suscitare nel credente” [ix].

Più precisamene, a fronte di un elemento costante, il contenuto religioso, sta la ragione che non è un’entità oggettiva e statica, ma una struttura che muta nel tempo, legata com’è “alle esperienze, al sentire, agli stati d'animo di una civiltà e di un secolo” [x].

La sola salvezza per la Chiesa e per la società moderna consisterebbe nel “riportare le anime ad un recupero diretto dei valori genuini della primitiva predicazione cristiana, tutta accentrata negli assiomi dell'universale fraternità umana nella coscienza di un unico Padre, Dio”.

Queste premesse lo portano a professare un teismo di stampo ariano: egli infatti considerava Gesù Cristo figlio dell'uomo e non figlio di Dio.

Dal protestantesimo Buonaiuti mutuò il rifiuto di riconoscere che Cristo avesse designato Pietro come “fondatore e capo della Chiesa” e l’avversione al celibato dei preti. Dalle frange estreme della Riforma ereditò l’avversione al dogma della verginità di Maria.

Riguardo all'eucarestia, riteneva la dottrina della presenza reale un’aggiunta impropria e fuorviante. Secondo Buonaiuti condizione “affinché il pane consumato fosse veramente il corpo del Signore, era che i partecipi al pasto, i fratelli, si sentissero e si mostrassero così intimamente e così integralmente fusi in unità, da avallare con la loro solidarietà mistica la prodigiosa trasformazione del pane fisico in pane divino” [xi].

In campo etico Buonaiuti è vicino alle posizioni proprie del liberalismo massonico, come testimonia il richiamo alle “quattro libertà” fondamentali dell'umanità [xii] e la giustificazione dell'aborto. Del modernismo storico Buonaiuti è poi un seguace diretto: i suoi discepoli “più che tra i teologi e tra i filosofi si collocheranno tra gli storici del cristianesimo e della Chiesa che abbandonarono il dibattito dottrinale per fare teologia nella storia e attraverso il metodo storico” [xiii].

Buonaiuti agì da trait d’union tra la psicanalisi junghiana ed il modernismo e collaborò con Cesare Musatti e Roberto Bazlen (futuro fondatore della casa editrice Adelphi) nel far nascere le Edizioni Comunità di Ivrea dell’utopista Adriano Olivetti.

Fu colpito nel 1916 con la sospensione a divinis e successivamente (1925) con la scomunica, più volte reiterata e infine divenuta definitiva. Ciononostante l’enigmatico personaggio continuò, a professare di sentirsi cattolico e a ribadire di tale voler restare. Personalità complessa, capace di posizioni difficilmente tra loro conciliabili, affermò, in contrasto con la maggior parte dei suoi compagni, di essere rimasto per tutta la sua esistenza «un aderente alla filosofia tradizionale della civiltà mediterranea, edificata da Aristotele nel mondo classico, e da San Tommaso nel mondo cristiano». Riguardo alla religione del popolo, egli deplorava con parole roventi [xiv] la superstizione che la inquinava, salvo poi dimostrarsi “di quella pietà sempre rispettosissimo” [xv].

Prassi operative

Che i modernisti agissero come una “setta segreta” (clandestinum foedus) [xvi], operante dentro la Chiesa, lo ammette anche lo storico antifascista e partigiano don Lorenzo Bedeschi [xvii] (1915 – 2006), quando riferisce di un “multiforme e fervido lavorio segreto” degli esponenti del movimento, i quali costituivano «un reticolo inafferrabile e variegato» diffuso nelle principali città italiane, avendo in ciascuna una o più officine.

Per esempio, Buonaiuti sin dal 1908 cominciò a riunire segretamente in casa propria un piccolo gruppo di amici e discepoli, fra cui Giovanni Pioli, vice rettore del Collegio Internazionale di Propaganda, che dopo pochi mesi abbandonò la Chiesa per abbracciare un liberalismo religioso aconfessionale. La conventicola venne alla luce in seguito alla crisi spirituale di uno dei partecipanti che svelò tutto al suo confessore. Lo stesso Buonaiuti nell'estate del 1920 creò, coi suoi studenti più fidati, a San Donato Val di Comino (FR), un centro di “esperimento di ritorno al cristianesimo primitivo” in cui si doveva realizzare la cosiddetta koinonia, (d

“Fino ad oggi – spiegava – si é voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma é difficile. Hic opus, hic labor”

In questa opera di trasformazione dall'interno, l'involucro esteriore doveva, nei limiti del possibile, rimanere intatto. “Il culto esteriore durerà sempre come la gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto secondo i tempi: essa renderà quella più semplice, più liberale, e questo più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario.

Un secondo esempio del multiforme lavorio è il convegno segreto tenutosi nel 1907 a Molveno, nel Trentino, presenti i maggiori esponenti del modernismo italiano, tra i quali Buonaiuti, Murri e Fogazzaro. Lo scrittore vicentino è autore di quello che Tyrrell definì come “il romanzo del movimento” [xviii]. Ne Il Santo i protagonisti formano una rete occulta, una “Massoneria cattolica”, il cui obiettivo è la diffusione del modernismo e della filosofia immanentistica.

Vi furono coloro che funsero da punti di contatto tra i vari esponenti italiani e stranieri, in primis, come attestato da don Bedeschi, il pastore calvinista Paul Sabatier [xix], definito dall’ex sacerdote Albert Houtin come il Papa del movimento. Vi erano poi le officine:

alcuni centri religiosi e abitazioni romane furono sede di cenacoli modernisti; tra tutti ne ricordiamo due che avevano Fogazzaro protagonista: l'Unione per il Bene e le "Catacombe del Santo", così dette perché da lì germinarono i temi del suo romanzo.

Delle sètte il modernismo ha riprodotto la propensione al marranesimo. I vari cospiratori si guardavano bene dal seguire le orme di Lutero, fondando una nuova denominazione religiosa. Ritenevano molto più proficuo restare nella Chiesa e fare tutto il possibile per diffondere da dentro quello che essi ritenevano un cristianesimo migliore, per cambiare la sostanza della dottrina, mantenendo le sole apparenze.

Houtin rivela che i novatori convennero già nel 1903 di non uscire dalla Chiesa, ed anzi di rimanervi il più a lungo possibile: “nessun vero modernista, laico o sacerdote, avrebbe potuto lasciare la Chiesa o la talare, perché altrimenti avrebbe in quel momento cessato di essere modernista nel senso elevato del termine [...] contemporaneamente alla delenda Carthago, perchè non praticare la dissolvenda?”. Era, come visto, la strategia di Buonaiuti, ma era anche quello che consigliava di fare Tyrrell e che raccomandava Monsignor Duchesne.

Il primo studioso sistematico del modernismo, Jean Riviére, osserva che uno dei caratteri distintivi dei suoi adepti, fu quello di saper dissimulare le proprie posizioni, “associando all'attacco diretto contro i dogmi la più estrema varietà di sotterfugi”. Houtin ammette che il modernismo ha adottato "il processo di trasporre sistematicamente sotto vecchi termini ricevuti, un contenuto diverso, il che permetteva di conservare il Credo cristiano adattandolo ad una realtà totalmente differente".

Un altro espediente dei modernisti fu quello di presentare sulla scena una versione addolcita delle idee del movimento: accanto ai novatori integrali sorsero quelli moderati. I primi sostenevano il metodo storico critico, in opposizione alle costrizioni del magistero, e, ammettendo soltanto l’esperienza interiore, rifiutavano ogni contenuto intellettuale della Rivelazione, i moderati, pur ritenendo che il nucleo principale fosse un’intuizione del cuore, accettavano che ad esso fossero collegate delle verità rivolte all’intelletto. Il biblista Pierre Batiffol [xx] (1861 – 1929) rivela che fu lo stesso Monsignor Duchesne a provocare una scissione tra i suoi [xxi].

Nonostante tutti questi stratagemmi, il modernismo non riuscì ad evitare l’intervento dell’autorità cattolica.

Grazie all’intervento tempestivo ed efficace di San Pio X, fu smascherato con chiarezza l’irrazionalismo di fondo del movimento: l’enciclica Pascendi Dominici gregis del 1907, con cui il papa condannò la nuova eresia, è un capolavoro della dottrina e della storia cattolica.

Il modernismo nella sua forma primordiale venne così sconfitto, salvo riapparire in forma più melliflua e per questo più pericolosa nella seconda ondata, nota sotto il nome di Nouvelle Théologie.

(28/0813 Fine prima parte - Continua)

Oreste Sartore

 


[i] In precedenza l’economista belga Charles Périn aveva utilizzato la parola modernismo per indicare le "tendenze umanitarie della società contemporanea”, intravedendovi in esse "l' ambizione di eliminare Dio da tutta la vita sociale"

[ii] G. Tyrrell, Medievalism, a reply to Cardinal Mercier, Londra New York 1908

[iii] Separare la carità dalla verità è quella che Romano Amerio chiama una dislocazione della Monotriade: si nega il Filioque e la signoria del Logos sulla storia, si toglie ogni base razionale ai criteri di giudizio, si lascia spazio al solo sentimentalismo che riduce la fede a fideismo

[iv][iv] autore di una Storia antica della Chiesa messa all'Indice nel 1912

[v] Alfred Loisy, L'Évangile et l'Église, Parigi 1903

[vi] A. Loisy, La Religion D'Israel, Montier-en-Der (Haute-Marne) 1908

[vii] E. Buonaiuti, Programma dei modernisti, apparso anonimo, Roma,1907 in M. Busi, R. De Mattei, A. Lanza, F. Peloso, Don Orione negli anni del modernismo, Milano 2002

[viii] E. Buonaiuti, Storia del cristianesimo, Roma 1942-43

[ix] R. de Mattei, Radici cristiane, Giugno 2009

[x] A. C. Jemolo, , introduzione a Pellegrino di Roma - La generazione dell’esodo di E.Buonaiuti, Roma 1945

[xi] E. Buonaiuti ,Lettere di un prete modernista, Roma 1908

[xii] libertà di parola e di coscienza, affrancamento dalla paura e dalla povertà; proclamate da Roosevelt

[xiii] R. de Mattei, ibidem

[xiv] E. Buonaiuti, Lettere di un prete modernista, op. cit.

[xv] A. C. Jemolo, op. cit.

[xvi] San Pio X, Sacrorum Antistitum, 1 settembre 1910

[xvii] Il nome di don Bedeschi compare in una lista di cattolici iscritti alle logge; se la sua appartenenza non è certa, è invece acclarato che non si peritò di scrivere per la Rivista Massonica, periodico del Grande Oriente

[xviii] Antonio Fogazzaro, Il Santo, Milano 1941; il libro fu messo all'Indice nel 1906

[xix] Autore di una Vita di San Francesco d'Assisi, in cui manda in scena un S. Francesco liberale e modernizzato

[xx] Sacerdote, allievo di Duchesne, fu rettore dell'Istituto cattolico di Tolosa (1898-1908); dovette lasciare la carica in seguito alla condanna all'Indice (1907) del suo studio: Pierre Batiffol, L'Eucharistie, Parigi 1905 e 1913

[xxi] P. Collin, L' Audace et le Soupçon - La crise du Modernisme dans le Catholicisme Français, Parigi 1997