Per la felicità del nido
23. I due sposi, per quanto preparati al Matrimonio, non sono certo perfetti. L’amore fonde le differenze, ma non le distrugge, o almeno non tanto che esse non appaiano di tratto in tratto.
È naturale che nei primi incontri e nel tempo del fidanzamento tutto sia incantevole, e l’uno presti all’altra, con non minore sincerità, un tributo di entusiastica ammirazione e di delicate premure.
Nella spontanea e fresca gioia di queste primavere d’amore è anche facile stabilire la piena comunanza di idee e di sentimenti e l’armonia dei caratteri.
Ma tale periodo passa presto; la convivenza continuata trascina seco sorprese imprevedute, poiché anche il più prolungato fidanzamento è insufficiente a delineare crudamente il profilo delle rispettive personalità, con le inerenti qualità e difetti.
Anche senza un preciso studio di apparire migliori, è profondamente umano, nel tempo del fidanzamento, non trascurare alcun particolare che possa rendere la propria persona sempre più simpatica e gradita alla parte interessata.
Ma qualunque apparenza non resiste alla vicinanza di ogni ora, nella più stretta intimità, nelle circostanze più svariate, nella mediocrità quotidiana dell’esistenza in comune.
Passata la luna di miele è ovvio che non tardino ad apparire le manchevolezze, a farsi vive le disparità di carattere e, forse, a rendersi palese la povertà intellettuale e morale.
Gli sposi escono da due famiglie diverse, nelle quali hanno vissuto per oltre vent’anni; ciascuna poi delle due giovani anime ha vissuto i suoi giorni indipendentemente dall’altra e si è formata una esperienza per conto proprio. Diversi quindi sono i gusti, le mentalità, le abitudini, i temperamenti.
Dall’ora della levata al piatto delle pietanze, dalle tinte dei vestiti agli autori di musica, di letteratura, tutto è qualche volta contraddizione. Ognuno reca nella dimora comune, maniere di pensare, di agire, di trattare proprie.
Le sorprese all’inizio della vita a due spesso riguardano il carattere, che si rivela ben diverso da ciò che si era supposto.
Ire improvvise per futili motivi; grettezze imprevedute e penose a sopportarsi; malumori frequenti, senza spiegazioni, che suscitano diffidenze e malintesi, esasperano l’amor proprio e provocano quei litigi e quelle contestazioni, che se non sono presto dimenticati, seminano nell’anima un po’ di raffreddamento, di antipatia, di segreto malanimo che può mutarsi, col tempo, anche in avversione. Più dolorosa di ogni divergenza materiale riesce, specialmente per la donna, ogni divergenza morale, di giudizio, di condotta.
Ciò che peggiora questo stato irritante, si è che quella dolcezza e tenerezza insinuante, capace di cedere prontamente davanti alle preferenze altrui, che aveva tinto di rosa il periodo del fidanzamento, è svanita per dare luogo a un malumore prolungato, che minaccia di turbare fino dall’inizio la serenità dell’ambiente (pagg. 59,60,61).
24. Per non smarrirsi dinanzi a questa situazione, giova ricordare che il Matrimonio non è opera di un giorno, ma un’opera che deve essere quotidianamente rinnovata, migliorata, perfezionata. L’intesa coniugale richiede ritocchi, perfezionamenti e collaudi di grande delicatezza e sfumatura.
Come il migliore strumento musicale con l’uso diventa presto scordato e richiede di essere rimesso al diapason, così l’armonia familiare può essere qualche volta compromessa da urti e da dissensi, che la debolezza umana rende sempre possibili anche fra gli sposi.
Occorre risolvere con prontezza queste dissonanze dovuti a tratti di impulsività, a sbalzi di umore, a scoppi improvvisi di piccole tempeste, perché l’armonia domestica non è un bene superfluo, ma è un dovere preciso per sé e per i figli.
“Non tramonti il sole sopra l’ira vostra”. Così già ammoniva san Paolo i primi fedeli.
Pertanto, inginocchiandosi la sera, l’uno accanto all’altra, per ripetere, con sincerità di cuore la divina preghiera: “Padre nostro, che sei nei cieli … perdona a noi …, come noi perdoniamo …”, risuonino le voci del perdono pronto e generoso. Così si ristabilirà il pieno accordo per un istante compromesso.
Con la buona volontà, condizione prima per custodire e difendere la felicità, l’armonia e la pace della casa, è necessario conservare vivo, fresco e forte come nei primi incontri l’amore.
“Amore porta il fascio”, diceva san Bernardino da Siena; ma se l’amore viene meno, il fascio pesa tremendamente sulle spalle che forse l’hanno addossato con troppa leggerezza. Per continuare a portarlo senza fermarsi a calcolare, a misurare chi si stanca di più, chi dà più del suo tempo e delle sue forze, occorre rinnovare l’amore, ascoltare il richiamo dell’anello nuziale, chiamato la “fede”, simbolo di fedeltà vivente e perpetua e attingere alle sorgenti perenni del “Sacramento grande”, grazie necessarie per realizzare una convivenza serena, attraverso una larga comprensione, una costante indulgenza, un pronto e sincero perdono (pagg. 61,62,63).
25. La forza, la sicurezza, la garanzia dell’amore è la fedeltà.
Di tutti i vincoli terrestri, il più stretto, il più inviolabile è il vincolo coniugale.
“L’uomo si unirà alla sua sposa e saranno due in un corpo solo”. Come un corpo vivo non può essere diviso pena la morte, così l’amore e la famiglia che ne è il frutto non possono vivere e fiorire con l’infedeltà degli sposi.
Solo la fedeltà assicura la forza necessaria alla vita matrimoniale, custodisce l’unità della famiglia, garantisce l’educazione dei figli. Al contrario, l’infedeltà sia spirituale sia fisica, sia nel cuore sia nel corpo, no solo sconsacra, ma ferisce e spezza la famiglia, perché disamora dalla casa e dai figli e toglie il rispetto necessario per l’altro coniuge.
Per questo l’unione dei due coniugi sotto lo stesso nome e sotto lo stesso tetto deve essere tanta sacra quanto intima.
Purtroppo questa unione manca in molte famiglie! I coniugi vivono uniti, cioè sotto un medesimo nome e sotto un medesimo tetto, per salvare le apparenze, ma nell’anima essi sono profondamente divisi.
Molti sposi cristiani disorientati e scossi da tutta una propaganda che cerca di far perdere la nozione intima della fedeltà matrimoniale e del vero amore, hanno finito per ritenere la fedeltà coniugale “un sottoprodotto” di tempi ormai sorpassati, buono soltanto per le caricature umoristiche e per le cartoline di pubblico. Altri, e non sono pochi, hanno finito per pensare che la fedeltà coniugale sia “un accessorio”, un “lusso” della vita matrimoniale; altri, una “catena” appena sopportabile da spiriti inferiori, non emancipati, mentre essi proclamano di aver diritto ad una esistenza affrancata, libera da queste costrizioni morali.
Così disorientati, molti giovani coniugi arrivano a “giustificare” la propria infedeltà in nome “del cuore che non invecchia mai”, al quale non si può comandare! Quasi che l’uomo fosse una macchina composta di tanti pezzi autonomi che muovono ognuno per conto proprio!
Regolarsi secondo l’impulso del cuore, ripetono a se stessi questi sposi, non può essere un male; così, in nome del cuore al quale non si comanda, si giustificano tutte le peggiori avventure.
Altri cercano di giustificare la loro infedeltà come “l’unico mezzo” per allietare la vita con un poco di tenerezza, di comprensione, di consolazione, in compenso della trascuratezza, della freddezza, dell’incomprensione che raccolgono in casa dal proprio marito, o dalla propria sposa. Tentano di difendere l’infedeltà come un giusto compenso per quello che nel loro matrimonio non hanno trovato!
Altri arrivano a proclamare l’infedeltà “un giusto diritto di rappresaglia” alla mancata fedeltà dell’altro coniuge. Quasi che l’unità coniugale potesse essere abolita dal capriccio, e non fosse una inderogabile legge divina e umana!
Queste mentalità sono il riflesso di molte trame cinematografiche, di novelle, di romanzi, di una letteratura vastissima la quale, non soddisfatta di porre in derisione la santità del Matrimonio, esalta il libero amore come segno di perenne giovinezza.
Ma con tutte queste deviazioni e dissacrazioni del vincolo familiare si leva alta e ammonitrice la parola del Signore: “L’uomo non disgiunga quello che Dio ha unito!”.
La fedeltà è come l’oro. L’oro per la sua bellezza, per il suo splendore, per la sua inalterabilità è il più prezioso dei metalli. Il suo valore serve di base e di misura per gli altri valori, per le altre ricchezze. Così la fedeltà coniugale è l’elemento più prezioso del Matrimonio cristiano ed è la base e la misura dell’amore e di tutta la felicità del focolare domestico (pagg. 63,64,65,66).
26. Perché la fedeltà sia veramente garanzia certa e sicura dell’amore deve essere “totale”.
L’amore è il dono totale di sé. Non è quindi permesso separare le anime più di quello che sia consentito separare i corpi. Il Matrimonio cristiano non è soltanto la coabitazione materiale e la comunanza di interessi, è assai di più: è la fusione di due vite intere, è la società indissolubile di due cuori, di due menti, di due volontà che si completano per compiere una altissima missione.
La moglie appartiene al marito non solo fisicamente ma anche e soprattutto spiritualmente: è del marito anima e corpo, così come il marito è anima e corpo della sposa.
Visto il matrimonio in questa luce cristiana, la fedeltà che assicura il rinnovarsi e il perpetuarsi dell’amore è il religioso rispetto del dono di sé che ognuno degli sposi ha fatto all’altro, del dono cioè della propria persona, quindi del proprio cuore e del proprio corpo per la durata della vita intera senz’altra riserva ed eccezione che i diritti sacri di Dio. Molto sposi cristiani, sviati dal cinema, dalla stampa umoristica, dai discorsi degli ambienti di fabbrica, ecc., si credono a posto in coscienza a riguardo della fedeltà, per il fatto che usano reciprocamente di quando in quando, del diritto matrimoniale. “Io dò alla mia sposa, o viceversa a mio marito, quanto gli devo. Che cosa può pretendere di più? Quanto al mio cuore … è un’altra cosa; nessuno può impormi di amare una persona che mi è spiritualmente lontana, e che mi è divenuta antipatica, insopportabile!”.
Molti coniugi vivono uniti, cioè continuano a coabitare sotto il medesimo tetto, a sedere alla stessa mensa, a portare lo stesso nome, per salvare le apparenze, ma nell’anima essi sono profondamente divisi! L’anello chiamato “la fede”, benedetto il giorno delle nozze, resta nel dito – quando vi resta! – solo come ornamento, non come simbolo di una realtà vissuta, non come espressione di reciproca fedeltà.
La prima fedeltà, la più preziosa, è quella spirituale (pagg. 66,67,68).
27. Molte volte la rovina della fedeltà coniugale ha le sue origini nella mente, per il nascere di una simpatia intellettuale verso un amico di casa.
Dall’armonia di pensieri, dalla comunanza di inclinazioni e di caratteri, dall’affinità di gusti letterari ed artistici, si passa con una incosciente condiscendenza ad armonizzare e concentrare le proprie idee e le proprie vedute, i propri giudizi, i propri gusti, con le idee, le vedute e i gusti della persona incontrata e ammirata per la sua intelligenza, per la sua elevatezza di gusti. Sulle prime se ne risente la prevalenza in questioni futili, poi in cose più importanti e più serie, in materie di genere pratico, in argomento di gusti che già hanno più dell’intimo, infine nel campo religioso e morale, e la prevalenza e l’influenza sale sino al punto di rinunziare al proprio personale criterio per non pensare né giudicare, né vedere che sotto l’influenza della persona ammirata.
E mentre in tal modo il proprio spirito viene a mano a mano modellandosi su quello dell’estraneo o dell’estranea, si aliena ogni giorno più dall’animo dello sposo o della sposa legittimi. E si giunge al punto di provare per tutto ciò che questo dice o pensa un istinto di contraddizione, di irritazione, di disprezzo.
Tale sentimento, forse inconscio, ma non per questo meno pericoloso, indica che l’intelligenza è stata conquistata, accaparrata, che è stato dato in balia di altri lo spirito di cui si era fatto dono irrevocabile il giorno delle nozze. È questa fedeltà?
Altre volte l’infedeltà parte dal cuore.
È proprio il cuore radice della fedeltà e dell’unità, che deve appartenere totalmente ed esclusivamente al legittimo coniuge.
Quando invece si accoglie un affetto, una simpatia verso un altro uomo, come a fidanzato o sposo, si commette una truffa tanto più volgare quanto più tenta colorarsi di intima elevatezza, tanto più insidiosa quanto più appare innocente.
Il mondo ha un bel proclamare fedele la sposa o lo sposo che non hanno consumato l’adulterio materialmente, ha un bel vantare la virtù del coniuge che con sacrificio forse eroico continua a vivere senza amore a fianco dell’altro, a cui aveva legato tutta la vita, mentre il suo cuore appartiene definitivamente, appassionatamente ad un’altra persona.
La morale di Cristo è più austera e santa! “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa”. La prima fedeltà, la più preziosa, è quella della mente e del cuore (pagg. 68,69,70).
28. Svanita la fedeltà dell’anima è facile che si abbatta sulla famiglia la sventura più grande, la maledizione più tremenda che possa colpire un focolare domestico, quella dell’infedeltà completa.
Dal delitto del tradimento interno è facile il passaggio al delitto del tradimento esterno. Dal sentimentalismo al sensualismo il passo è breve.
Ed è infedele e spergiuro chi, pur senza distruggere materialmente il focolare da lui fondato, pur continuando la comunanza del vivere coniugale, si permette allacciare e mantenere parallelamente un altro criminoso legame, come è infedele e spergiuro chi, pur senza stringere nessuna illecita relazione durevole, dispone anche per una volta sola di un corpo, sul quale non ha il diritto matrimoniale.
Come l’oro per conservare la sua bellezza e il suo splendore, deve essere integro e puro, così la fedeltà tra gli sposi deve essere integra e incontaminata.
Se incomincia ad alterarsi cessa la fiducia, la pace, la felicità.
Quando una persona ha una volta osato questo passo decisivo, mettendosi sotto i piedi tutto quanto la natura, la religione, l’onore hanno come santo e venerabile, non c’è più ostacolo che la possa trattenere nella rapida discesa dell’iniquità. Un fallo solo ingoia un intero patrimonio di formazione, perché contro la trista passione, non valgono nulla né i sentimenti morali più nobili né la voce della coscienza né il decoro sociale né la pubblica opinione.
Questi riflessi dimostrano il valore insostituibile della “fedeltà matrimoniale”; senza di essa il focolare domestico va incontro alla desolazione e alla distruzione (pagg. 70,71).
29. La fedeltà coniugale che custodisce l’amore e consacra la famiglia, è fondata in gran parte sulla retta concezione, e sulla giusta idea dell’amore.
L’amore vero che costruisce e conserva e difende la felicità è soltanto quello che eleva, senza mai infangare neppure la punta dell’ala nella melma della vita.
Questo amore non esclude l’elemento sensibile e fisico, ma afferma il primato dello spirito e del cuore.
Quando invece le parti si invertono ed il primato è tenuto dai sensi, la passione sempre idolatra e tiranna diviene la divoratrice della fedeltà.
E si passa dalla idolatria alla trascuratezza, alla freddezza, all’incomprensione, al disprezzo. I sensi si uniscono ancora per cercare una egoistica soddisfazione, ma gli spiriti restano assenti, spesso nemici. Allora facilmente la passione straripa in cerca di sensazioni nuove non preoccupandosi del tradimento.
La moglie, con la sua anima più intuitiva e sensibile, secondo il consiglio di san Paolo, “procuri di piacere al marito”. Cerchi di accontentarlo meglio che può, senza rigidità e senza pedanteria, con quello spirito di sacrificio e di abnegazione che insegna ad adattare il nostro carattere, le nostre abitudini, i nostri gusti, le nostre tendenze, ma rifiuti di sacrificare la propria coscienza, di tradire il proprio dovere.
Chi davanti a Dio ha giurato fede eterna al compagno della vita, deve pure conoscere i limiti concessi al suo amore umano, in confronto ai diritti divini. Deve sapere ciò che può accordare e ciò che deve rifiutare, evitando in modo assoluto di sommergere la propria coscienza nel totale assorbimento della volontà maschile.
La sposa, compagna fedele dell’uomo, non deve mai divenirne l’amante. Fatta per elevare, essa non deve rendersi strumento dell’altrui passione. Tutto quello che nei rapporti intimi è contro il fine della vita coniugale, è peccato. “Il letto nuziale” deve essere “immacolato”, secondo l’espressione dell’Apostolo, cioè senza impudicizie e altre lordure che lo possono profanare. Per questo, gli sposi che si abbandonano disordinatamente ai capricci ed alle voluttà dei sensi, e maliziosamente impediscono la venuta dei figliuoli, operano contro la legge di Dio.
Qualche rifiuto gentile, ma deciso, potrà essere per il marito causa di un momentaneo malumore o di passeggero risentimento, ma influirà poi a infondere nell’animo del marito, una stima e una venerazione particolare per la consorte che si manifesta così nobile e delicata nei sentimenti, così ferma di volontà nel difendere i diritti della sua buona coscienza e non superficialmente leggera come una bambola di moda.
Questa difesa della propria coscienza e della propria dignità può qualche volta divenire, per un marito passionale, ostinato nel cercare un rapporto coniugale contro natura, occasione di mali peggiori. Allora la sposa, con affettuosità e con fermezza cerchi di far comprendere allo sposo la malizia dell’atto e l’offesa a Dio. ma qualora dopo tutto questo, fosse costretta a cedere, per evitare mali peggiori, come il tradimento, l’abbandono o scenate deplorevoli, sappia che la sua parte deve essere solo passiva, forzata, senza mai accondiscendere con la volontà a quello che è offesa della legge di Dio (pagg. 71,72,73).
30. Nonostante le più rette intenzioni e la migliore volontà, può avvenire che lungo l’erto sentiero della vita coniugale si giunga un giorno alla scoperta, che il compagno o la compagna ha un’anima diversa da quella che si era amata nell’età dei sogni.
Allora è necessario che l’indulgenza divenga la più tenera alleata dell’amore per superare le sorprese, la delusione, l’esasperazione.
Bisogna imparare ad amare chi non si era conosciuto prima, ricordando l’antico adagio: “gli uomini quando nascono sono tutti belli, quando sposano sono tutti buoni, quando muoiono sono tutti santi”. Oppure il vecchio proverbio: “l’uomo da fidanzato è d’oro, da sposato è d’argento, da marito è di ferro”.
Vi sono uomini che si rivelano mariti pieni di nostalgia per gli amici, mariti brontoloni, inappagabili, mariti che sospirano tra le pareti domestiche come sovrani in esilio.
Ma vi sono donne che si rivelano mogli bisbetiche, nervose, leggere, disordinate, gelose, diffidenti.
Allora la migliore saggezza è convincersi che i santi, i perfetti sono solo in paradiso, e che non vi è donna migliore della propria consorte e non vi è uomo più bravo del proprio marito.
Molti rovinano un matrimonio non pienamente riuscito, a furia di criticare una scelta che poteva essere migliore. Da questo vano rimpianto germogliano le più grandi amarezze, per cui una vita a due, non perfetta, ma tollerabile, può trasformarsi in un inferno.
Le riflessioni del senno di poi, fomentano i più pericolosi stati d’animo. Se la dura realtà quotidiana rivela che ci si è legati con un matrimonio imperfetto, giova cercare di renderlo migliore, non di peggiorarlo. Bisogna esserne o medici, non già i nemici. Grande sapienza è quella di apprezzare i lati migliori, di valorizzarne tutto ciò che può unire onde collaborare al rinsaldamento dell’edificio e non abbatterlo, solo perché poteva riuscire più solido.
Metà dei matrimoni male assortiti raggiungerebbero il quieto porto dell’assestamento, se i coniugi vi impiegassero un po’ di tolleranza, di serenità, di reciproca fiducia.
La pazienza e il tempo sono due elementi indispensabili per la conquista della felicità. Solamente dopo aver vissuto e sofferto insieme, secondo la legge di Dio, si conosce tutta la forza luminosa dell’amore.
Il nido coniugale, testimone silenzioso di tanta abnegazione, diviene l’asilo sicuro ove i coniugi trovano le migliori compiacenze.
Dopo tutto, se ci sarà qualche lacrima da versare, sia riservata per l’ora intima della preghiera, dove Dio l’asciugherà con tenerezza infinita (pagg. 74,75,76).
Don Stefano Lamera (1912/1997) - dal libro "La famiglia, piccolo grande nido"