S.Bonaventura - Le stimmate di San Francesco
L'angelico Francesco non cessava giammai di operare il bene: al pari degli spiriti celesti sulla scala di Giacobbe, o saliva verso Dio ovvero discendeva incontro al prossimo. Infatti il tempo che egli aveva a disposizione per compiere le sue opere meritorie, lo dedicava in parte a beneficio del prossimo, per metterlo sulla retta via (ed era ciò che richiedeva maggior fatica), in parte alle tranquille estasi della contemplazione. Perciò, conformemente ai luoghi e alle circostanze, dopo essersi adoperato a procacciare l'altrui salvezza, Francesco, allontanandosi dalla confusione della folla, andava alla ricerca di luoghi solitari e tranquilli ove, liberato dalla polvere che il contatto con gli uomini poteva avergli recato, gli fosse più facile innalzarsi verso il Signore. Fu così che, due anni prima della sua morte, il santo, dopo molteplici travagli, fu condotto dalla Divina Provvidenza in un luogo altissimo e solitario, chiamato Monte Verna. Ed ecco che, avendo cominciato come di consueto, a digiunare per la Quaresima in onore di San Michele Arcangelo, Francesco si sentì invadere, con maggiore intensità di quanto fosse mai accaduto prima, dalla dolcezza della contemplazione divina e, infiammato dall'ardentissima fiamma dei desideri celesti, cominciò ad abbondare di più copiose ispirazioni. Ed era sollevato in alto, non certo come curioso scrutatore della maestà, che si lasci sedurre dalla gloria ma come un servo fedele e prudente, cercando di scoprire la volontà di Dio, alla quale desiderava, in ogni modo e con straordinario zelo, conformarsi.
Gli fu così rivelato, dall'oracolodivino, che, all'apertura del Vangelo, Cristo gli avrebbe manifestato ciò che, in lui e per lui, fosse maggiormente accetto a Dio. Pertanto, dopo aver pregato con ogni devozione, Francesco, in nome della Santa Trinità, fece aprire il sacro libro dei Vangeli da un confratello, uomo assai devoto a Dio e virtuosissimo (si tratta di frate Leone, ndr).Il libro fu aperto tre volte, ed ogni volta sempre alle pagine riguardanti la Passione del Signore. L'uomo di Dio comprese allora che, come aveva imitato Cristo nelle azioni della vita, così, prima di partire da questo mondo, avrebbe dovuto divenir simile a lui nelle afflizioni e nelle sofferenze della Passione. E sebbene il suo corpo fosse ormai debole a motivo delle continue penitenze praticate nel corso della vita passata e della croce del Signore costantemente recata sul proprio dorso, Francesco non si sentì affatto spaventato: al contrario, si dispose con maggior coraggio e vigore ad affrontare il martirio. Un ardente amore per il buon Gesù era in lui divampato e cresciuto in ardori di fuoco e di fiamme, al punto che acque abbondanti non sarebbero valse a spegnere la sua carità così tenace.
Rapito misticamente in Dio e trasformato, attraverso la dolcezza della sofferenza, in colui che, in virtù della sua straordinaria carità, volle essere crocifisso, una mattina Francesco, verso la festa dell'Esaltazione della Croce, mentre era immerso in preghiera in un fianco del monte, vide scendere dal cielo un Serafino con sei magnifiche ali infuocate. L'angelo, con un volo rapidissimo, raggiunse il luogo dove si trovava l'uomo di Dio, rimanendo sospeso in aria. Intanto fra le sue ali apparve l'immagine di un uomo crocifisso, con le mani e i piedi distesi e inchiodati ad una croce. Due ali sielevavano sul suo capo, due si aprivano al volo e due infine coprivano tutto il corpo. Nel vedere una simile apparizione, Francesco si stupì grandemente, provando nel suo cuore un misto di gioia e di tristezza insieme. Si rallegrava infatti per il benigno sguardo di Cristo dal quale, sotto le forme del Serafino, il santo si accorgeva di esser mirato; il vederlo così crocifisso, d'altronde, gli faceva l'effetto di una spada dolorosa che attraversasse la sua anima. Di fronte ad una visione così misteriosa Francesco si domandava, pieno di meraviglia, come potesse conciliarsi la sofferenza della Passione con l'immortalità di uno spirito Serafico. Alla fine, però, grazie ad una rivelazione del Signore, il santo comprese che la Divina Provvidenza aveva mostrato ai suoi occhi quella apparizione affinché l'amico di Cristo si rendesse conto che non con il martirio della carne, bensì attraverso l'incendio dello spirito egli avrebbe dovuto trasformarsi in Cristo crocifisso.
Quando poi la visione disparve, lasciò un ardore straordinariamente intenso nel cuore di Francesco; né fu meno mirabile la natura dei segni esterni che essa lasciò sul corpo del Santo. Tosto, infatti, sulle mani e sui piedi di Francesco, cominciarono ad apparire quei segni dei chiodi che poco prima il santo aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso. Le mani e i piedi del Santo apparvero trafitti nel mezzo da chiodi: le capocchie di questi erano visibili nella parte inferiore delle mani ed in quella superiore dei piedi, mentre le loro punte sbucavano dal lato opposto. Queste capocchie erano rotonde e nere, mentre le punte erano lunghe, ritorte e come ribattute, in maniera che, sbucando dalla carne, configgessero ancora un'altra parte di questa. Anche il fianco destro di Francesco appariva come trafitto da una lancia, con una rossa cicatrice che, spesse volte, effondendo il suo sangue, gli macchiava la tunica e gli altri indumenti.
Il servo di Cristo, poi, vedendo che non era possibile tener nascoste ai confratelli quelle piaghe così visibilmente impresse nella sua carne e temendo, tuttavia, di render pubblico il mistero del Signore, si trovò in grave perplessità se manifestare o meno quanto aveva visto. Convocò allora alcuni frati, ed espresse loro, in termini vaghi, il proprio dubbio, chiedendone consiglio. Uno dei frati, Illuminato di nome e di grazia, nel vedere quell'espressione oltremodo smarrita sul volto di Francesco, comprese che questi aveva assistito a qualcosa di straordinario e gli disse: “Fratello, sappi che non soltanto per il tuo beneficio, ma anche per quello degli altri ti vengono manifestati a volte i divini misteri.Devi dunque temere, piuttosto, di essere giustamente rimproverato per avere nascosto un talento giovevole a molti”. Allora il santo, colpito da queste parole, sebbene altre volte fosse stato solito dire: “Il mio segreto è per me”, riferì per filo e per segno, con profonda compunzione, la visione alla quale aveva assistito, aggiungendo d'aver udito cose che in vita non avrebbe mai rivelato a nessuno. È da supporre, infatti, che i segreti manifestati a Francesco dal sacro serafinocrocifisso, miracolosamente apparsogli, siano stati così sublimi, da non poter essere consentito ad uomini di riferirli.
Il vero amore di Cristo aveva dunque trasformato l'amante a sua stessa immagine. Dopo aver trascorso quaranta giorni in solitudine, come aveva stabilito, l'angelico Francesco, sopraggiunta la festa dell'Arcangelo Michele, discese dal monte recando con sé l'immagine del Crocifisso, non scolpita dall'arte in tavole di pietra o di legno, ma iscritta dal dito del Dio vivo nelle sue membra di carne. Poiché d'altronde è bene tenere nascosto il segreto del Re, il santo, consapevole di ciò, si adoperava con tutte le proprie forze per occultare quei sacri segni. Dal momento che, però, è proprio di Dio manifestare a suagloria i grandi prodigi che egli opera, il Signore stesso, che nel segreto aveva impresso sulla carne di Francesco quei segni, fece conoscere apertamente, attraverso alcuni miracoli, il prodigio nascosto e straordinario delle stimmate.
San Bonaventura, Vita di San Francesco