Home / Dottrina Cattolica / Scritti dei Santi / S.Agostino - De vera religione/2

S.Agostino - De vera religione/2

Caduta e redenzione dell'uomo.

12. 23. Così la vita diventa carnale e terrena, e appunto per questo l'uomo è chiamato anche carne e terra; e finché è tale, non possederà il regno di Dio e gli sarà portato via ciò che ama. Egli infatti ama ciò che è meno della vita, perché è corpo; e, a causa di questo peccato, ciò che è amato diviene corruttibile, in quanto che esso, con il suo dissolversi, abbandona chi lo ama, perché anche questi, con l'amarlo, ha abbandonato Dio. Non ha tenuto conto appunto dei precetti di Colui che dice: Mangia questo e non quello. Costui perciò viene trascinato verso la pena perché, amando cose inferiori, si predispone per gli inferi, dove sarà privato dei piaceri e proverà dolore. Cosa è infatti il dolore fisico, se non un'improvvisa alterazione della salute di quella cosa che l'anima, con il cattivo uso, ha reso suscettibile di corruzione? E cosa è poi il dolore morale, se non la privazione delle cose mutevoli di cui si godeva o si sperava di poter godere? In questo consiste tutto ciò che si chiama male, cioè il peccato e la pena del peccato.

12. 24. Se invece l'anima, finché è nello stadio della vita umana, riesce a vincere quei desideri che ha alimentato a suo danno godendo delle cose mortali e, per vincerli, confida nell'aiuto della grazia di Dio, che serve con la mente e la buona volontà, senza dubbio sarà rigenerata e dalla molteplicità delle cose mutevoli sarà riportata all'Uno immutabile e, rinnovata dalla Sapienza non creata ma che crea tutte le cose, godrà di Dio per virtù dello Spirito Santo, che è suo dono. Così si forma l'uomo spirituale che tutto giudica senza essere giudicato da nessuno, che ama il Signore Dio suo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, e il suo prossimo non secondo la carne ma come se stesso. Ama se stesso secondo lo spirito chi ama Dio a partire da tutto ciò che in Lui vive. In questi due precetti, infatti, è contenuta tutta la Legge e i Profeti.

12. 25. In conseguenza di ciò, dopo la morte fisica, che è un effetto del peccato originale, questo corpo, a suo tempo e nel suo ordine, sarà restituito alla sua primitiva stabilità, condizione però che non avrà da se stesso ma dall'anima divenuta stabile in Dio. Essa, a sua volta, non è stabile per se stessa, ma per virtù di Dio di cui gode. Perciò sarà più vigorosa del corpo; il corpo infatti trarrà il suo vigore da essa ed essa dalla verità immutabile, che è il Figlio unigenito di Dio. Così anche il corpo avrà vigore in virtù del Figlio di Dio, perché tutto esiste per mezzo di Lui. Per il dono di sé, che è concesso all'anima, cioè per lo Spirito Santo, non soltanto l'anima, che lo riceve, ottiene la salvezza, la pace e la santità, ma anche il corpo avrà la vita e diventerà purissimo nella sua natura. Infatti Egli stesso ha detto: Purificate ciò che è interno, e anche ciò che è esterno sarà puro. E l'Apostolo aggiunge: Darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Tolto dunque il peccato, sarà tolta anche la pena del peccato: e allora che ne è del male? Morte, dov'è la tua forza? Dov'è il tuo pungiglione? L'essere infatti vince il nulla e così la morte sarà riassorbita nella sua vittoria.

La caduta dell'angelo malvagio.

13. 26. Contro coloro che sono stati santificati neppure l'angelo malvagio, che è chiamato diavolo, potrà alcunché; anche lui, del resto, non è malvagio in quanto angelo, ma in quanto si è pervertito per propria volontà. Se infatti solo Dio è immutabile, bisogna ammettere che anche gli angeli sono mutevoli per natura; tuttavia per quella volontà, per la quale amano più Dio che se stessi, restano fissi e stabili in Lui e godono della sua maestà, sottomessi a Lui soltanto in modo completamente libero. L'angelo malvagio invece, amando più se stesso che Dio, non volle essergli sottomesso e, gonfio di superbia, si allontanò dalla somma essenza e cadde. In tal modo è inferiore rispetto a quello che fu, perché volle godere di ciò che era inferiore quando volle godere della propria potenza piuttosto che di quella di Dio. Infatti, anche se il suo essere non era al sommo grado, perché solo Dio è in sommo grado, tuttavia era maggiore quando godeva di colui che è in sommo grado. Ora, tutto ciò che è inferiore rispetto a quello che era è male, tuttavia non in quanto è ma in quanto è inferiore, e appunto per questo, cioè in quanto è inferiore di quello che era, tende alla morte. Che c'è dunque da meravigliarsi se dall'allontanamento proviene la privazione e dalla privazione l'invidia, per la quale il diavolo è proprio il diavolo?

Il peccato dipende dalla libera volontà dell'uomo.

14. 27. Se questo allontanamento, che si dice peccato, si impadronisse dell'uomo contro la sua volontà, come la febbre, di certo apparirebbe ingiusta la pena che ne scaturisce per il peccatore e che si chiama dannazione. Il peccato però è a tal punto un male volontario che non sarebbe assolutamente un peccato se non fosse volontario. E la cosa è così evidente che trova il consenso sia dei pochi dotti sia della folla degli incolti. Pertanto è giocoforza negare che si commette peccato oppure bisogna ammettere che lo si commette con la volontà. D'altro canto, non c'è possibilità di negare che l'anima abbia peccato quando si riconosca che essa si emenda con il pentimento, che è perdonata se si pente, e che è giustamente condannata secondo la legge di Dio se persevera nel peccare. Insomma, se non facciamo il male volontariamente, non dobbiamo essere né rimproverati né ammoniti; ma, se si prescinde da tutto questo, non ha più ragione di esistere la legge cristiana e ogni disciplina di religione. Dunque, è con la volontà che si pecca. E, poiché non c'è dubbio che si pecca, non vedo nemmeno come si possa dubitare che le anime possiedono il libero arbitrio della loro volontà. Dio infatti ha giudicato migliori fra i suoi sudditi quelli che lo hanno servito liberamente, il che non sarebbe potuto in nessun modo avvenire se essi lo avessero servito non per volontà, ma per necessità.

14. 28. Dunque gli angeli servono Dio liberamente e ciò non è di giovamento a Dio, ma a loro stessi. Dio infatti non ha bisogno del bene di un altro: poiché è, dipende da se stesso. La medesima cosa vale anche per chi è stato generato da Lui, in quanto non è stato creato, ma generato. Gli esseri creati invece hanno bisogno del bene di Dio, che è il bene supremo, vale a dire l'essenza suprema. E se per il peccato dell'anima tendono verso di Lui in misura minore, essi diventano inferiori a quello che erano; pur tuttavia non se ne separano del tutto, altrimenti cesserebbero definitivamente di essere. Ciò che accade all'anima in rapporto alle sue affezioni, accade al corpo in rapporto ai luoghi; l'anima infatti si muove per la volontà, il corpo invece nello spazio. In merito a quello che si dice dell'uomo, cioè che fu persuaso da un angelo perverso, occorre aggiungere che egli vi acconsentì con la volontà, giacché, se lo avesse fatto per necessità, non sarebbe colpevole di alcun peccato.

La pena del peccato non è solo una punizione, ma anche un ammonimento di Dio.

15. 29. Il fatto poi che il corpo dell'uomo, che era ottimo nel suo genere prima del peccato, sia divenuto debole e destinato alla morte dopo il peccato, sebbene rappresenti la giusta punizione del peccato, tuttavia mostra più la clemenza che la severità del Signore. In tal modo infatti ci convinciamo che dobbiamo abbandonare i piaceri del corpo e rivolgere il nostro amore all'eterna essenza della verità. Ed è la giustizia nella sua bellezza, in armonia con la benignità nella sua grazia, che fa sì che, dopo essere stati tratti in inganno dalla dolcezza dei beni inferiori, veniamo ammaestrati dall'amarezza dei castighi. La divina Provvidenza, infatti, ha disposto le nostre pene in modo che, pur con questo corpo tanto soggetto a corruzione, ci è consentito di mirare alla giustizia e, deposta ogni superbia, di sottometterci all'unico vero Dio, senza contare affatto su noi stessi, ma affidandoci a Lui solo, perché ci governi e ci custodisca. Così, sotto la sua guida, l'uomo di buona volontà trasforma le molestie di questa vita in uno strumento di fortezza; nell'abbondanza dei piaceri e nel felice esito delle sue vicende temporali mette alla prova e consolida la sua temperanza; nelle tentazioni perfeziona la prudenza, non solo per non cedere ad esse, ma anche per divenire più vigile e più ardente nell'amore per la verità, che è la sola che non inganna.

Il benefico effetto dell'incarnazione di Cristo.

16. 30. Dio provvede alle anime in tutti i modi, a seconda delle circostanze che la sua meravigliosa sapienza ha predisposto; di questi però non dobbiamo trattare, oppure dobbiamo farlo soltanto tra uomini pii e perfetti. Tuttavia, non si è mai preso cura del genere umano con maggiore generosità di quando la stessa Sapienza di Dio, cioè l'unico Figlio consustanziale e coeterno al Padre si degnò di assumere la natura umana nella sua interezza, e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Così infatti ha mostrato agli uomini carnali, incapaci di cogliere la verità con la mente perché schiavi dei sensi, quale elevata posizione la natura umana occupi tra le creature, dal momento che è apparso agli uomini non solo sotto forma visibile (cosa che avrebbe potuto fare anche in un corpo celeste adattato al grado di tolleranza della nostra vista), ma anche nelle vesti di un vero uomo: bisognava infatti che assumesse proprio la stessa natura che doveva liberare. E, affinché nessuno dei due sessi ritenesse di essere stato disprezzato dal suo Creatore, assunse l'aspetto di uomo e nacque da una donna.

16. 31. Non fece niente con la forza, ma tutto con la persuasione e l'ammonimento. Terminato infatti il tempo dell'antica servitù, era spuntato il tempo della libertà e perciò era ormai opportuno e utile per la salvezza dell'uomo persuaderlo di essere stato creato dotato di libero arbitrio. Con i miracoli Egli suscitò la fede nel Dio che era, con la passione nell'uomo che impersonava. Così, parlando come Dio alle folle, non volle riconoscere come sua madre quella che gli veniva annunziata e tuttavia, come dice il Vangelo, da fanciullo era sottomesso ai genitori. Per la dottrina infatti appariva Dio, per l'età uomo. Allo stesso modo, sul punto di cambiare l'acqua in vino, come Dio dice: Allontanati da me, o donna: che ho da fare io con te? Non è ancora giunta la mia ora. Venuta poi l'ora in cui come uomo sarebbe morto, dalla croce riconobbe la madre e la raccomandò al discepolo che amava più di tutti. Soggetti ai piaceri, i popoli, a loro danno, desideravano le ricchezze: egli volle essere povero. Erano avidi di prestigio e di cariche: non volle essere re. Consideravano un gran bene avere figli nati dalla carne: egli disdegnò il vincolo coniugale e la prole. Nella loro incommensurabile superbia avevano orrore per gli oltraggi: egli ne sopportò di ogni tipo. Reputavano intollerabili le ingiurie: quale ingiuria maggiore di quella di essere condannato, pur essendo giusto e innocente? Avevano disgusto per i dolori del corpo: fu flagellato e messo in croce. Temevano di morire: fu condannato a morte. Ritenevano la morte in croce come la più grande ignominia: Egli fu crocefisso. Privandosene, tolse ogni valore a tutte le cose che desideravamo possedere e ci facevano vivere in modo disordinato; sopportandole, si liberò di tutte quelle cose che desideravamo evitare e ci distoglievano dall'amore per la carità. Infatti si commette peccato solo se si desidera quello che egli disdegnò o si rifiuta quello che egli apprezzò.

16. 32. In tal modo, attraverso la natura umana che si era degnato di assumere, tutta la sua vita sulla terra fu un insegnamento morale. La sua resurrezione dai morti, poi, mostrò a sufficienza come niente vada perduto della natura dell'uomo, poiché Dio salva tutto, e come tutto serva al Creatore sia per punire i peccati sia per liberare l'uomo, e quanto è facile per il corpo servire l'anima quando questa è sottomessa a Dio. In virtù di questo compimento, non solo nessuna sostanza è male (il che è assolutamente impossibile), ma non è neppure colpita da alcun male, in quanto ciò può accadere a causa del peccato e della sua punizione. Questo è l'insegnamento relativo all'ordine naturale delle cose, che è assolutamente degno di piena fede per i cristiani meno dotti e privo di errori per quelli più dotti.

Il metodo di insegnamento nell'Antico e nel Nuovo Testamento.

17. 33. Il metodo stesso di tutto l'insegnamento - che ora è diretto e ora ricorre a similitudini nell'uso delle parole, dei fatti e dei sacri riti, ma che comunque è appropriato per ogni esercizio formativo dell'anima - non risponde forse alla norma di un insegnamento di tipo razionale? Infatti anche la presentazione dei misteri si riconnette alle verità enunciate in modo assolutamente chiaro. Ma non si tratta soltanto di cose che si comprendono molto facilmente, altrimenti la verità non sarebbe cercata con amore e non si proverebbe piacere a trovarla. E se nelle Sacre Scritture non vi fossero riti, che non fossero segni della verità, non vi sarebbe sufficiente accordo tra l'azione e la conoscenza. Ora però, siccome la pietà ha inizio dal timore e giunge a compimento nella carità, per questo, al tempo della schiavitù, cioè sotto l'antica legge, il popolo era tenuto a freno dal timore e oppresso con molti precetti rituali. Ciò infatti gli era utile perché desiderasse la grazia di Dio, che i Profeti annunciavano come prossima a venire. E quando essa venne, poiché la Sapienza stessa di Dio, che ci ha chiamati alla libertà, assunse l'umanità, furono istituiti pochi riti di piena e assoluta salvezza, allo scopo di tenere unita la comunità del popolo cristiano, ossia la moltitudine libera sotto un unico Dio. Invero molte delle cose che erano state imposte al popolo ebreo, ossia alla moltitudine schiava sotto il medesimo unico Dio, furono abolite nella pratica e sono restate solo oggetto di fede e di interpretazione. Così esse ora non ci legano più come servi, ma formano l'animo mediante l'esercizio della libertà.

17. 34. Chiunque poi escluda che i due Testamenti possano venire da un unico Dio, perché il nostro popolo non è tenuto agli stessi riti ai quali erano tenuti e lo sono ancora i Giudei, è come se sostenesse che è impossibile che un padre di famiglia, sommamente giusto, ordini una cosa a quelli per i quali giudica utile una soggezione più dura e un'altra a quelli che si degna di adottare come figli. Se poi è motivo di sconcerto il fatto che i precetti di vita contenuti nel Vangelo sono superiori rispetto a quelli dell'Antica Legge e perciò si ritiene che essi non si riferiscano ad un unico Dio, per chi pensa così è come se si stupisse che uno stesso medico prescrive alcune cure, tramite i suoi assistenti, ai più deboli e altre, personalmente, a quelli più forti, per consentire loro di recuperare o mantenere la salute. Come infatti l'arte medica, pur rimanendo la stessa e senza mutare affatto, cambia le prescrizioni a seconda dei malati, perché la nostra salute è soggetta a mutamento, così la divina provvidenza, pur essendo di per sé assolutamente immutabile, tuttavia viene in aiuto delle mutevoli creature con procedimenti diversi e, a seconda delle malattie, prescrive o vieta a chi una cosa e a chi un'altra, per ricondurre le creature che decadono, ovvero che tendono al nulla, dalla corruzione, che è l'inizio della morte, e dalla morte stessa alla loro natura ed essenza, e così rafforzarle.

La creazione dal nulla causa della mutabilità delle creature.

18. 35. Mi potresti chiedere: " Perché vengono meno? ". Perché sono mutevoli. " E perché sono mutevoli? ". Perché non sono in senso assoluto. " E perché non sono in senso assoluto? ". Perché sono inferiori a colui che le ha create. " Chi le ha create? ". Colui che è l'essere sommo. " Chi è quest'essere? ". Dio, l'immutabile Trinità, che le ha create mediante la sua somma sapienza e le conserva con la sua somma bontà. " Perché le ha create? ". Perché fossero. L'essere infatti, quale che sia, è bene, poiché il sommo bene è il sommo essere. " Da che cosa le ha fatte? ". Dal nulla, poiché ogni cosa deve avere una sua essenza, per quanto piccola; perciò, anche se è un bene minimo, sarà pur sempre un bene e proverrà da Dio. Dal momento, infatti, che la somma essenza è il sommo bene, l'essenza minima è un bene minimo. Ma ogni bene o è Dio o proviene da Dio; perciò anche la più piccola essenza proviene da Dio. E ciò che si dice dell'essenza, si può dire anche della forma; non a caso, infatti, nel lodare si usa tanto il termine speciosissimum (che ha l'essenza in sommo grado) quanto il termine formosissimum (che ha la forma in sommo grado). Dunque, ciò da cui Dio ha creato tutte le cose è ciò che non ha né essenza né forma, perché non è che nulla. Infatti ciò che, rispetto alle realtà perfette, è detto informe, se ha una qualche forma, sebbene piccola e embrionale, non è ancora il nulla; anche questo perciò, in quanto è, non proviene che da Dio.

18. 36. Pertanto, se il mondo è stato creato da qualche materia informe, questa materia è stata creata interamente dal nulla. Infatti, anche ciò che non ha ancora una forma, è in qualche modo predisposto per riceverla: può assumere una forma per la bontà di Dio, perché è cosa buona avere una forma. Dunque, anche la capacità di avere una forma è un bene; quindi l'autore di tutti i beni, che ha dato la forma, ha dato anche la possibilità di avere la forma. Così, tutto ciò che è, in quanto è, e tutto ciò che ancora non è, in quanto può essere, dipendono da Dio; e, per dirla in un altro modo, tutto ciò che ha una forma, in quanto ha una forma, e tutto ciò che non ha ancora una forma, in quanto può avere una forma, dipendono da Dio. Ma nessuna cosa raggiunge la perfezione della propria natura se non è integra nel suo genere. Ora, ogni salvezza viene da colui dal quale viene ogni bene: ma ogni bene viene da Dio; dunque ogni salvezza viene da Dio.

Tutto è bene, anche ciò che si corrompe, ma non al più alto grado.

19. 37. Da quanto detto, ormai, chi ha gli occhi della mente ben aperti e non offuscati o turbati dal pernicioso desiderio di una vana vittoria comprende facilmente che sono beni tutte le cose che si corrompono e muoiono, sebbene di per se stesse la corruzione e la morte siano male. Se infatti le cose non fossero private di una parte della loro integrità, la corruzione e la morte non nuocerebbero loro; ma se la corruzione non nuocesse, non sarebbe più tale. Pertanto, se la corruzione si oppone all'integrità e, senza alcun dubbio, l'integrità è un bene, allora è bene tutto ciò a cui la corruzione si oppone; ma tutto ciò a cui la corruzione si oppone anch'esso si corrompe. Sono quindi beni le cose che si corrompono; ma esse si corrompono perché non sono beni al massimo grado. Poiché dunque sono beni, vengono da Dio; ma, poiché non sono beni al massimo grado, non sono Dio. Perciò il bene che non può essere corrotto è Dio. Tutti gli altri beni, che vengono da Lui, di per se stessi possono essere corrotti, perché per se stessi sono nulla; invece, grazie a Lui, in parte non sono soggetti a corruzione e in parte vengono restituiti alla loro integrità, quando sono corrotti.

La corruzione dell'anima scaturisce dalla trasgressione dell'ordine naturale.

20. 38. La prima corruzione dell'anima razionale risiede nel voler fare ciò che la verità somma ed intima vieta. Per questo motivo l'uomo fu cacciato dal paradiso in questo mondo, passando così dall'eternità alla vita temporale, dall'abbondanza all'indigenza, dalla stabilità all'instabilità; cioè non dal bene sostanziale al male sostanziale, perché nessuna sostanza è male, ma dal bene eterno al bene temporale, dal bene spirituale al bene carnale, dal bene intelligibile al bene sensibile, dal bene sommo al bene infimo. C'è dunque un certo bene, amando il quale, l'anima razionale pecca, perché è di ordine inferiore ad essa; perciò è il peccato in sé che è male e non la sostanza che, peccando, si ama. Non è allora male quell'albero che, come è scritto, era piantato nel centro del paradiso, ma la trasgressione del comando divino. E quando questa trasgressione subì, come conseguenza, la meritata condanna, da quell'albero, che era stato toccato contro il divieto, scaturì il criterio di discernimento tra il bene e il male. L'anima infatti, dopo essere incorsa nel peccato, mediante l'espiazione della pena apprende quale differenza ci sia tra il comando che si è rifiutata di rispettare e il peccato che ha compiuto. In tal modo, facendone l'esperienza, impara a conoscere il male che non ha appreso con l'evitarlo e, in virtù del confronto, ama con maggior ardore il bene che amava di meno discostandosene.

20. 39. La corruzione dell'anima è in ciò che ha fatto e la limitazione che gliene deriva rappresenta la punizione che ne subisce: in questo consiste tutto il male. Fare e subire insomma non è una sostanza; perciò la sostanza non è male. Così non sono male né l'acqua né l'animale che vive nell'aria: queste infatti sono sostanze; male invece è gettarsi volontariamente nell'acqua e l'asfissia che subisce chi vi è immerso. Lo stilo di ferro, con una parte per scrivere e l'altra per cancellare, non solo è fatto con maestria, ma è anche bello nel suo genere e adatto al nostro uso. Ma se qualcuno volesse scrivere con la parte con cui si cancella e cancellare con quella con cui si scrive, in nessun modo farebbe dello stilo un male, anche se a buon diritto il fatto in sé sarebbe criticato. E infatti, una volta corretto l'uso, dove sarà il male? Se qualcuno fissa all'improvviso il sole di mezzogiorno, gli occhi ne saranno colpiti e abbagliati: forse per questo il sole o gli occhi saranno un male? No affatto, perché sono sostanze. Il male invece è nel fatto che lo sguardo ha trasgredito l'ordine e nell'abbagliamento che ne consegue; esso tuttavia scomparirà quando gli occhi si saranno riposati e guarderanno una luce adeguata. Né diviene in se stessa male la luce che è fatta per gli occhi, quando è venerata al posto della luce della sapienza, che è fatta per la mente; il male è la trasgressione per la quale si serve la creatura piuttosto che il Creatore. Questo male non esisterà più quando l'anima, riconosciuto il Creatore, sarà sottomessa a Lui soltanto e avrà chiaramente percepito che tutte le altre cose le sono sottomesse per virtù di Lui.

20. 40. Così ogni creatura corporea, nella misura in cui sia posseduta da un'anima che ama Dio, è un bene, infimo ma bello nel suo genere, perché è costituita secondo una forma e una bellezza. Se poi è amata da un'anima che non si cura di Dio, neppure in tal caso essa di per sé diventa un male; ma, dal momento che il male è il peccato per il quale viene così amata, essa diventa causa di pena per colui che la ama: lo getta nelle tribolazioni e, ingannandolo, lo nutre di piaceri che non durano e non appagano, ma sono fonte di acuti tormenti. Infatti, quando l'avvicendarsi dei tempi ha concluso il suo mirabile corso, la bellezza desiderata abbandona colui che la ama, si allontana dai suoi sensi tormentandolo e lo getta nello smarrimento. Così egli considera come prima bellezza quella che è la più bassa di tutte, ovvero quella di natura corporea, che la carne, con un perverso compiacimento, gli ha fatto conoscere attraverso gli ingannevoli sensi: per cui, quando pensa qualcosa, crede di comprendere; in realtà è ingannato dalle ombre delle sue fantasie. Se poi talora, senza rispettare integralmente l'ordine della divina Provvidenza pur credendo di farlo, si sforza di resistere alla carne, perviene all'immagine delle cose visibili e con il pensiero si costruisce, attraverso questa luce che vede circoscritta entro limiti precisi, spazi immensi. Ma lo fa inutilmente; infatti si immagina che questa sia la sua futura dimora e non si rende conto invece che è trascinato dalla concupiscenza degli occhi e che vuole andare oltre il mondo con questo mondo. Pertanto non si avvede che si tratta dello stesso mondo, dal momento che, con il suo ingannevole modo di pensare, ne ha esteso all'infinito la parte più luminosa. Tutto ciò si può fare con la massima facilità non solo per questa luce, ma anche per l'acqua, il vino, il miele, l'oro, l'argento e anche per la carne, per il sangue, per le ossa di qualsiasi animale e per altre cose di questo genere. Tra le realtà corporee infatti non c'è nessuna che, anche quando ne sia stato visto un solo esemplare, non possa essere moltiplicata all'infinito col pensiero; oppure che, vista in un piccolo spazio, non possa essere estesa all'infinito dalla medesima capacità di immaginazione. Ma, se è cosa facilissima maledire la carne, cosa molto difficile invece è non giudicare secondo la carne.

La dispersione nel divenire.

21. 41. È dunque per questa perversione dell'anima, che scaturisce dal peccato e dalla pena, che ogni realtà corporea diviene, come dice Salomone, vanità di uomini vani e tutto è vanità: quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?. Non per niente infatti è stato aggiunto di uomini vani, perché, se togli costoro, che inseguono le cose più basse come se fossero le più alte, la creatura corporea cesserà di essere vanità e, nel suo genere, mostrerà una bellezza senza alcun difetto, benché minima. La molteplicità delle bellezze temporali, infatti, ha dilacerato, attraverso i sensi carnali, l'uomo distaccatosi dall'unità con Dio e, con la sua instabile varietà, ne ha moltiplicato i desideri: da qui è scaturita una faticosa abbondanza e, se si può dire, una copiosa povertà, per cui egli persegue ora una cosa ora l'altra, senza che niente resti con lui. Così, dopo il tempo del frumento, del vino e dell'olio, egli si è disperso, in modo che non ritrova più se stesso, cioè la natura immutabile ed unica seguendo la quale non errerebbe e, raggiungendola, non proverebbe più dolore. Di conseguenza, sarà redento anche il suo corpo e non si corromperà più. Ora, invero, un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la dimora terrena grava la mente che corre dietro a molti pensieri, perché la bellezza dei corpi, per quanto di minimo grado, viene coinvolta nell'ordine della successione temporale. Essa è in grado minimo perché non può possedere tutte le cose insieme, ma, mentre alcune vengono meno ed altre subentrano al loro posto, tutte contribuiscono a comporre in un'unica bellezza l'armonia delle forme temporali.

La mutabilità delle cose non è un male.

22. 42. E tutto ciò non è male perché passa. Anche un verso nel suo genere è bello, sebbene in nessun modo sia possibile pronunciare insieme due sillabe. Infatti si può pronunciare la seconda solo se la prima è già passata, e così di seguito si giunge al termine di modo che, quando risuona solo l'ultima senza che le precedenti risuonino con essa, pure tale sillaba, in unione con quelle passate, consegua una forma e una bellezza musicale. Tuttavia l'arte con cui si costruiscono i versi non è così soggetta al tempo al punto che la loro bellezza risulti solo dalla misura delle pause; essa comprende insieme tutti gli elementi di cui è costituito il verso, il quale però non li comprende tutti insieme ma congiunge i precedenti con i seguenti. Il verso, comunque, è bello proprio perché mostra le ultime tracce di quella bellezza che l'arte custodisce in se stessa in modo continuativo e stabile.

22. 43. Come alcuni, dal gusto pervertito, amano più il verso che l'arte stessa con cui è costituito, poiché si sono affidati più alle orecchie che all'intelligenza, così molti preferiscono le cose temporali e non cercano la divina Provvidenza, che ha creato e governa i tempi. E nell'amore per le cose temporali non sono disposti ad ammettere che passa ciò che amano e sono tanto assurdi quanto chi, nella declamazione di una magnifica poesia, volesse udire sempre e soltanto una sola sillaba. Di certo, persone che ascoltano le poesie in questo modo non se ne trovano, mentre il mondo è pieno di coloro che giudicano così le cose, giacché, se tutti possono facilmente ascoltare non solo l'intero verso ma anche l'intera poesia, nessuno invece è capace di percepire la successione dei secoli nel suo insieme. A ciò si aggiunge il fatto che non siamo parte della poesia, mentre, a causa della condanna, siamo partecipi dei secoli. La declamazione della poesia dunque è sottoposta al nostro giudizio, invece i secoli si susseguono grazie al nostro affanno. D'altro canto, a nessun vinto piacciono i pubblici giochi; eppure, nonostante la sua vergogna, essi non cessano di essere belli: in ciò si può cogliere una certa immagine della verità. Per nessun altro motivo tali spettacoli ci sono vietati se non perché, ingannati dalle apparenze delle cose, ci allontaniamo dalle cose stesse delle quali gli spettacoli sono le apparenze. Così, la creazione e il governo dell'universo dispiacciono solo alle anime empie e dannate, invece piacciono, pur con la loro miseria, alle molte anime vittoriose in terra o ormai sicure nella loro contemplazione celeste. Infatti nulla di ciò che è giusto dispiace al giusto.


 Sant'Agostino d'Ippona (2/5)