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Domenica del Corpus Domini

S. Vangelo sec. Giovanni (6, 56-59)

In quel tempo Gesù disse alle turbe dei Giudei: La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vive in me e io in lui. Come il Padre che mandò me è vivo, e io vivo nel Padre, così chi mangia la mia carne vive di me. Questo è il pane che discende dal cielo. Non avverrà come per i Padri vostri, che mangiarono la manna e sono morti; perché chi mangia questo pane vivrà in eterno.


ANALISI - dagli scritti di P. Marco M. Sales

Gesù si trova a Cafarnao, e parlando con i Giudei spiega loro di essere il pane vivo disceso dal cielo.

Chi mangia la mia carne avrà la vita, perché la mia carne non è già solo un cibo immaginario, o figurato, o impropriamente detto, ma è un cibo vero e reale; e similmente il mio sangue è una bevanda vera e reale, e quindi producono nell'anima effetti analoghi a quelli che il cibo e la bevanda materiale producono nei corpi.

Se la carne di Gesù è un cibo vero e reale e non immaginario o parabolico, anche il mangiare di essa sarà vero e reale, e non immaginario. Mangiando la carne di Gesù e bevendo il suo sangue l'anima resta intimamente unita a Lui, ed Egli resta intimamente unito all'anima. L'unione è così profonda che secondo l'espressione di molti Padri, noi veniamo ad avere come uno stesso corpo e uno stesso sangue con Gesù e ad essere quindi come trasformati in Lui. Se Gesù sta in noi e noi striamo in Lui, quando abbiamo mangiato la sua carne e bevuto il suo sangue, ciò vuol dire che sotto le specie del pane e del vino non vi è solo la carne e il sangue, ma vi è tutto Gesù in corpo, sangue, anima e divinità. Gesù spiega ulteriormente l'intimità di questa unione:

Come mandò Me il Padre, che è la stessa vita, ed Io vivo perché il Padre Mi comunica la vita, così chi mangia di Me vivrà, perché Io, che possiedo la pienezza della vita, gli comunicherò la vita.

Gesù come Dio vive di quella vita che Gli viene comunicata per eterna generazione dal Padre, e che è la stessa vita del Padre. Come uomo, Gesù riceve la vita da tutte tre le Persone della SS Trinità.

La mia carne è il vero pane disceso dal cielo, il quale, non sarà come la manna, che non valse a preservare dalla morte coloro che lo mangiarono, ma avrà invece tanta virtù da comunicare una vita eterna a coloro che ne mangeranno.

Appare chiaramente che Gesù intendeva parlare e parlava di una manducazione reale della sua carne e non di una cerimonia qualsiasi, figurativa, destinata a ravvivare la fede nel suo sacrificio e a unirci solo mentalmente a Lui. Il mistero infatti che Egli annunzia è di gran lunga superiore alla manna del deserto, è proprio della nuova legge, viene promesso in futuro, richiede una grande fede per essere creduto.


COMMENTO

La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda.

Perché Gesù ha istituito l'Eucarestia? È detto nel Vangelo di Giovanni: perché noi mangiassimo Lui, e Lui fosse nutrimento dell'anima, dell'anima nostra. Però, non è soltanto la reale presenza che noi dobbiamo considerare, ma la significazione, cioè la rivelazione che ci è fatta attraverso il segno sacramentale del pane e del vino. E qual è questa significazione, questa rivelazione, che dobbiamo aver presente per misurare altre grandissime cose? Questa: tra le cose create la forma più grande di unione è data dalla nutrizione, perché il cibo arriva all'assimilazione. Noi non conosciamo tra le cose create un fatto simile di unione. […] E allora che cosa rivela il segno sacramentale? Che la Comunione porta ad un'unione col Signore nostro della quale la nutrizione naturale, che è la più alta forma di unione, non dà tutta l'idea, ma semplicemente la sponda di partenza verso un oceano infinito. - Omelie per l'anno liturgico, Card. Giuseppe Siri

… chi mangia la mia carne vive di Me.

Vita eucaristica: vita di fusione. La comunione non cessa quando uscite dalla chiesa o quando le specie si sono consumate in voi. Essa “vive”. Non più materialmente. Ma pure vive, con i suoi frutti, con i suoi ardori, colla coabitazione, anzi con l'inabitazione di Cristo in voi, con la vostra fruttificazione in Cristo, perché il “tralcio che resta unito alla vite porta frutto” e “coloro che restano in Me e nei quali Io rimango, costoro portano molto frutto”. Vita eucaristica: vita d'amore. E per quello che l'Eucarestia, memoriale d'amore, e d'amore sorgente e fornace, trasmette in chi la riceve - ed è innegabile che laddove è buona volontà, anche se la creatura è debole e informe, si vede che l'Eucarestia porta aumento di formazione, trasmette irrobustimento di volontà, trasformazione del sentimento da tiepido in ardente, nel desiderio da debole in forte, dell'ubbidienza al precetto di comunicarsi nelle Feste ha fame di farlo ogni giorno – e per quello che l'anima vi mette di suo, sempre più aiutata dalla grazia del Sacramento. - Azaria, Maria Valtorta

Non avverrà come per i Padri vostri, che mangiarono la manna e sono morti; perché chi mangia questo pane vivrà in eterno.

Egli si chiamò Pane disceso dal Cielo, dunque, non in senso figurato ma in senso proprio, tant'è vero che la vita eucaristica non è un simbolo ma è una vita vera che si comunica sotto le Specie del pane e del vino. Gesù parla di un cibo che deve mangiarsi coi denti, secondo l'espressione del testo greco; quindi parla della comunione della sua vita alle anime attraverso il Cibo eucaristico. Egli dona un Cibo che non è, come la manna, sostentamento momentaneo della vita corporale, ma è sostentamento dell'anima, a cui dà la vita immortale, e la ricongiunge poi al corpo gloriosamente nell'ultimo giorno. Egli ci dona una vita deifica – come la chiamano i Padri – poiché ci fa vivere di Lui, vero Uomo e vero Dio, che riceve la vita dal Padre per la comunione della generazione eterna, porta a compimento la natura umana assunta e, comunicandosi a noi, ci dona la sua stessa vita. Il dono che promette è ineffabile, divino, rifulgente d'amore; non può ammettere le interpretazioni stiracchiate che ne fanno i protestanti per negarlo; è il vero Cibo di Vita, è Lui stesso che vuol donarsi e che veramente si donò poi nell'Ultima Cena. Se fosse un simbolo, che cosa potrebbe produrre? E non sarebbe strano l'aver dato come simbolo e memoria della sua dolorosa morte un banchetto di pane e di vino? Quale Padre, morendo, darebbe ai suoi figli, come ricordo della morte, un pezzo di pane e una coppa di vino? Ma non occorre discutere per capire l'assurdo dei protestanti; basta vedere la loro vita: lungi dal rimanere in Gesù essi se ne staccano sempre più, cadono miseramente nell'abisso della loro stolta e cieca ragione, divengono per necessità prima razionalisti che non ragionano, poi indifferenti che non hanno nessuna premura di vivere di un Redentore umanizzato e storicamente deformato, poi atei, perché il loro Cristo non li porta a Dio, non essendo più il Cristo Dio, e finalmente, vuoti di tutto, vanno riesumando i loro idoli, abbruttendosi nelle moderne eresie. - I quattro Vangeli, don Dolindo Ruotolo