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Sentire cum Ecclesia è sentire col Vaticano II?

Dati di base di una questione di coscienza

A] Fra le ragioni dell’intervento della Congregazione dei Religiosi nei confronti dell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata, dell’11 luglio scorso (2013), il commissario P. Fidenzio Volpi, O.F.M.Cap, ha indicato i problemi  nell’accettazione del Magistero e il non “sentire con la Chiesa”.

B] Per altro verso, i numerosi commenti sull’argomento, pubblicati nei siti antimodernisti, indicano che il fondatore e Superiore generale, P. Stefano Mannelli, stava orientando l’Istituto in senso tradizionale. L’intervento, quindi, non mirerebbe tanto ad allontanare i frati dalla celebrazione della Messa di San Pio V, quanto, e soprattutto, a porre fine alle resistenze di molti di essi nei confronti delle controverse dottrine del Vaticano II e delle inaudite novità del post-Concilio.

C] Secondo quanto si evince dal decreto di intervento della Congregazione dei Religiosi e dai documenti qua e là citati, il rifiutare tali dottrine e la Messa del 1969 o l’esprimere riserve nei loro confronti, significherebbe non “sentire con la Chiesa”, espressione di cui Sant’Ignazio di Loyola dà la seguente definizione:

“1a regola – Deposto ogni giudizio proprio, dobbiamo avere sempre l’animo disposto e pronto ad obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo Nostro Signore, che è la Santa Chiesa gerarchica, nostra madre.”

“9a regola – Lodare tutti i precetti della Santa Chiesa ed essere disposti a cercare le ragioni in loro difesa e mai per criticarli.”

“13a regola. Per non sbagliare, dobbiamo sempre essere disposti a credere che ciò che a noi sembra bianco è nero, se è così che stabilisce la Chiesa gerarchica;  persuasi che in Cristo Nostro Signore – lo Sposo – e nella Chiesa – Sua Sposa -  vi è solo uno stesso Spirito che ci governa e ci guida per la salvezza delle nostre anime. Perché è lo stesso Spirito e lo stesso Signore, autore dei Dieci Comandamenti, che dirige e governa la Santa Chiesa, nostra Madre”.

D] Sulla base degli studii antimodernisti degli ultimi cinquant’anni, si può attribuire al Vaticano II la qualifica di “eretizzante”. I suoi documenti sono pieni di proposizioni prossime all’eresia modernista, che la favoriscono, che sono scandalosi, ecc. Tale che è intollerabile che il “sentire con la Chiesa” venga identificato col sentire col Vaticano II. Alla base di questa falsa identificazione vi è una nozione erronea del Magistero della Chiesa.

Falsa concezione della infallibilità del Magistero

1] Nostro Signore ha promesso che le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa. Ma non è tutto. Egli ha promesso anche che sarebbe rimasto con i suoi Apostoli “tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli”. Si noti bene, “tutti i giorni”. Tale che, secondo la dottrina classica dei papi e dei grandi dottori, l’insegnamento della Gerarchia è assistito da Nostro Signore in ogni tempo. E qui nasce la grande domanda: il Papa e i vescovi che vivono oggi, possono sbagliare? Il cattolico fedele è obbligato ad accettare incondizionatamente tutto quello che essi insegnano, come sembrano stabilire le regole del “sentire con la Chiesa” di Sant’Ignazio di Loyola?

2] Secondo molti personaggi rappresentativi dell’attuale teologia, che accettano il Vaticano II come regola assoluta della Fede, il Magistero, sia pontificio sia conciliare, non può mai errare, anche quando parla senza rispettare le cinque condizioni necessarie per godere del carisma dell’infallibilità. Il Vaticano I ha definito tali condizioni riguardo all’infallibilità papale, ma esse valgono anche, mutatis mutandis, per l’infallibilità conciliare. Nel testo di questa definizione dogmatica, di seguito trascritto, abbiamo evidenziato le dette cinque condizioni:

“Insegniamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, ossia quando, 

[1a condizione] esercitando l’uffizio di Pastore e Dottore di tutti i cristiani, 
[2a condizione] definisce 
[3a condizione] per la sua suprema apostolica autorità 
[4a condizione] una dottrina sulla fede o sui costumi 
[5a condizione] per tutta la Chiesa, 
gode, in virtù dell’assistenza divina, a lui nel beato Pietro promessa, di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse fornita la sua Chiesa nel definire una dottrina sulla fede o sui costumi, e pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa.”

3] Gli studi antimodernisti degli ultimi decenni hanno ampiamente dimostrato la falsità della concezione di un’infallibilità assoluta e indiscriminata, che ho chiamata monolitica. Oggi prevale, in relazione sia ai Papi, sia ai concilii ecumenici, una dottrina attenuata e solida secondo la quale il Magistero possa cadere in errore e perfino nell’eresia, quando non rispetta le condizioni dell’infallibilità.

4] Un recente studio approfondito sulla materia, del P. Daniel Pinheiro, dell’Istituto del Buon Pastore, dimostra che “il Magistero di questo secondo tipo – non infallibile – può (…) contenere errori perché, al contrario del primo grado studiato, in verità non è garantito da Dio (…). La possibilità di errore in questo grado del Magistero è praticamente condivisa in modo unanime dai teologi. È incomprensibile che alcuni affermino l’impossibilità di errori negli atti del Magistero non infallibile. Negare la possibilità di errore di questo Magistero significa renderlo infallibile. (…). A questo Magistero dev’essere assimilato quello di un Concilio Ecumenico al quale manca la voluntas definiendi/obligandi. Qui si tratta della suprema autorità che insegna senza l’intenzione di impegnare tutta la sua autorità e di rivestirla interamente dell’infallibile assistenza divina”.

5] Per comprendere come tale possibilità di fallo magisteriale non si opponga alle promesse di Nostro Signore, è importante osservare che, secondo la vera dottrina del Magistero ordinario, una condizione essenziale per l’infallibilità dei suoi insegnamenti è che essi siano accettati pacificamente dalla Chiesa universale, entro un tempo sufficiente ad essere ritenuti come appartenenti alla Fede, e quindi essere doverosamente professati dai fedeli.

6] È evidente che le novità eretizzanti del Vaticano II, anche dopo cinquant’anni di aggiornamento conciliare, non hanno mai contato sul consenso nella Santa Chiesa, sia da parte del corpo docente sia da parte del discente. Nella Lettera Apostolica Tuas libenter, del 1863, Pio IX mette in risalto l’importanza fondamentale di questo consenso, dichiarando che la sottomissione che si deve prestare alla fede divina “deve estendersi anche alle verità che dal Magistero Ordinario della Chiesa, diffusa in tutto il mondo, vengono trasmesse come divinamente rivelate, e perciò dal costante e universale consenso dei Teologi cattolici sono ritenute materia di fede”. 

Più avanti Pio IX afferma che i fedeli devono anche sottomettersi “a quei punti di dottrina che dal comune e costante consenso dei Cattolici sono ritenuti verità teologiche e conclusioni certe, al punto che le opinioni contrastanti con esse, anche se non si possono definire eretiche, sono però teologicamente censurabili”.

7] È scioccante che, per molti teologi moderni, il “sentire con la Chiesa” non permetterebbe di rigettare gli insegnamenti del Magistero attuale anche quando non implicano l’infallibilità; mentre permetterebbe di negare gli insegnamenti del passato, anche quando sono garantiti incontestabilmente dall’infallibilità del Magistero Straordinario o del Magistero Ordinario universale.

Benedetto XVI e la continuità del Concilio con la Tradizione

8] La questione della compatibilità fra il “sentire con la Chiesa” e il sentire col Vaticano II porta necessariamente al problema sollevato dal Santo Padre Benedetto XVI nel dicembre 2005, quello di chiamare i cattolici ad interpretare il Vaticano II come una “riforma nella continuità” della Tradizione. Egli ha riprovato l’ermeneutica della rottura, secondo la quale i progressisti dichiarano apertamente che il Concilio si oppone in modo formale alle dottrine di sempre; ed ha anche riprovato, come fosse una pari ermeneutica della rottura, quella dei difensori della Tradizione, secondo i quali il Concilio contiene novità inconciliabili col Magistero anteriore. Che i progressisti rompano con i dogmi cattolici di tutti i secoli, è cosa patente e incontestata, così che essi tacciono di fronte a quanto detto da Benedetto XVI. Gli antimodernisti, invece, si sono dedicati a studi approfonditi, dimostrando pienamente che non v’è modo di interpretare il Vaticano II in linea con la “riforma nella continuità”.

9] Per i teologi antimodernisti, che contano, è cosa pacifica che il Vaticano II non possa essere inteso come “riforma nella continuità”, e che invece porta con sé gravi deviazioni rispetto alla dottrina tradizionale. Questa posizione è stata recentemente esposta da Don Jean-Michel Gleize, della Fraternità San Pio X, con una formula forte e concisa: “L’ermeneutica della continuità suggerita da Benedetto XVI è in questo senso uno sforzo lodevole, ma inefficace, perché non è in grado di sormontare una rottura inscritta nei documenti stessi del Concilio Vaticano II”.

Il cardinale Kasper e la riforma nella continuità

10] Un recente articolo del Cardinale Walter Kasper, riporta fatti fondamentali che comprovano che, con una ermeneutica seria e oggettiva, non si ha modo di interpretare certi testi del Vaticano II in continuità con la Tradizione. Da questo articolo si apprende che il Concilio si è ispirato alla nouvelle théologie. Il Cardinale dice che Paolo VI, non desiderando approvare formulazioni alle quali i tradizionalisti si opponevano in maniera decisa, “coinvolse” la minoranza tradizionalista con delle alterazioni nella redazione che attenuavano o confondevano il senso dei passi modernizzanti. Per questo, dice il Cardinale Kasper, “si pagò un prezzo” con delle “formule di compromesso, in cui, spesso, le posizioni della maggioranza si trovano immediatamente accanto a quelle della minoranza, pensate per delimitarle.” Queste limitazioni non rendevano ortodossi gli originari testi modernisti, ma ne indebolivano il senso, rimuovendo o indebolendo le censure teologiche più gravi e bloccando le sane reazioni che avrebbero potuto sorgere.

11] L’articolo prosegue spiegando che, in ragione di queste “formule di compromesso”, “i testi conciliari hanno in sé un enorme potenziale conflittuale; aprono la porta a una ricezione selettiva nell’una o nell’altra direzione”.

12] Nel detto articolo, il Cardinale dichiara che “Neanche la ricezione ufficiale è rimasta ferma. In parte, ha superato il Concilio”; “Il primo passo ufficiale della ricezione fu la riforma liturgica; soprattutto, fu l’introduzione del nuovo Messale”; “tutto questo ha trasformato positivamente, sotto molti aspetti, il volto della Chiesa tanto all’interno quanto all’esterno”. Questa affermazione, che quanto meno rasenta lo scandalo, permette di comprendere meglio il significato del titolo che il porporato diede al suo articolo: Un Concilio ancora in cammino.

13] Si vede anche che l’articolo del Cardinale Kasper rivela una palese discontinuità del Concilio rispetto alla Tradizione. Solo una ermeneutica da forcipe, e quindi falsa, potrebbe interpretare il Vaticano II come una “riforma nella continuità”. Per poter prevalere, questa ermeneutica dovrebbe partire dal presupposto che mai un Concilio potrebbe opporsi alla Tradizione. E dovrebbe considerare tale presupposto come un dogma della fede, che non esiste. Il forcipe consisterebbe nell’interpretare gli originari passi modernisti e modernizzanti del Vaticano II come se fossero stati corretti totalmente dalle “formule di compromesso”, mentre invece, come dice a ragione il Cardinale Kasper, esse si sovrappongono solamente alle posizioni della maggioranza, in modo tale che “i testi conciliari hanno in sé un enorme potenziale conflittuale; aprono la porta a una ricezione selettiva nell’una o nell’altra direzione”. Sono cioè eretizzanti.

Modernismo e nouvelle théologie

14] Come osservato al precedente punto 13, dal detto articolo del Cardinale Kasper appare chiaro che il Vaticano II ha rappresentato una grande vittoria della nouvelle théologie, condannata da Pio XII nell’enciclica Humani Generis, del 1950. In essa sta l’elemento dinamico dei testi conciliari, tutti convergenti nel vortice del modernismo, il quale, con le sue diverse correnti, a tutt’oggi si pavoneggia come se fosse la vera dottrina cattolica.

15] L’eminente teologo domenicano P. Garrigou-Lagrange, si chiedeva, ben prima del Vaticano II, dove andasse a parare la nouvelle théologie, e rispondeva: “Essa ridonda nello stesso modernismo, perché ha accettato la proposta che questo le ha fatto: sostituire, come se fosse chimerica, la definizione tradizionale di verità, ‘adaequatio rei et intellectus’, con la definizione soggettiva ‘adaequatio realis mentis et vitae’. La verità non più conformità del giudizio al reale extramentale e alle sue leggi immutabili, ma conformità del giudizio alle esigenze dell’azione e della vita umana sempre in evoluzione. La filosofia dell’essere o ontologia, sostituita dalla filosofia dell’azione, che definisce la verità non più in funzione dell’essere, ma dell’agire. Si torna quindi alla posizione modernista (…). Così, Pio X diceva dei modernisti: ‘essi pervertono il concetto eterno della verità’ (…). Ora, smettere di difendere la definizione tradizionale di verità, permettere che si possa chiamarla chimerica, dire che è necessario sostituirla con un’altra, vitalista ed evoluzionista, è cosa che conduce al completo relativismo e costituisce un errore molto grave”.

Conclusione: “sentire con la Chiesa” non può essere sentire con un Concilio eretizzante.

16] Come si vede, i modernisti odierni pretendono di servirsi dei concetti più sacri e delle dottrine più sante della Tradizione, a favore delle loro deviazioni nella fede. Così, deturpano e degradano la nozione di Magistero, attribuendogli un’infallibilità che contrasta con le definizioni del Vaticano I; intendono il “sentire con la Chiesa” in maniera erronea, portando molti ad interpretarlo in un senso diverso dall’insegnamento di Sant’Ignazio; si avvalgono dell’autorità suprema di un Concilio Ecumenico per diffondere le sue novità opposte alla fede.

17] L’identificazione, da parte dei progressisti, del “sentire con la Chiesa” col sentire col Vaticano II, trascende la questione dei Francescani dell’Immacolata, il cui svolgimento è seguito dai veri fedeli con estrema preoccupazione e con ardenti preghiere. In ogni caso si deve proclamare forte e chiaro che tale identificazione non può prevalere, perché il Vaticano II è stato un Concilio eretizzante, non suscettibile di essere interpretato come “riforma nella continuità”.

18] La Madonna delle Vittorie dia forza al fondatore dei Francescani dell’Immacolata, ai suoi seguaci e a tutti i fedeli cattolici, mantenendoli saldi nella più pura ortodossia nella dottrina e pure nella pratica; che Ella abbrevii i giorni di gloria fallace e necessariamente transitoria del modernismo.

 

Arnaldo Xavier da Silveira (INTERMULTIPLICESUNAVOX.it)