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I germogli della fede. Seguito dell'esposizione della filosofia religiosa/1

Nella teologia modernista la fede avrebbe dei “germogli”, quali la Chiesa, i dogmi, le cose sacre e i libri santi.

Cominciamo con il dogma. Per i modernisti, esso nasce da un impulso o bisogno del credente; questi elabora il dogma nei suoi pensieri, cioè investiga e abbellisce la primitiva formula del dogma. Tale elaborazione non avviene secondo una specifica logica, ma secondo una serie di circostanze, oppure, come dicono i modernisti, avviene vitalmente
Il risultato è che alla primitiva formula del dogma si aggregano a poco a poco formule secondarie, le quali, congiunte in una costruzione dottrinale, qualora vengano sancite dal magistero pubblico come confacenti alla coscienza comune, prendono il nome di dogmi. 
Le speculazioni teologiche, sebbene i modernisti le distinguano dal dogma in sé, vengono considerate utili, sia per mettere d'accordo scienza e religione, sia per illustrare all'esterno la religione stessa e difenderla; forse, possono essere utili per preparare la materia per qualche dogma futuro. 

La dottrina modernista dei teologi riguardo il culto sacro è piena di errori, specie riguardo i Sacramenti.

Secondo i modernisti, il culto sorge da un doppio impulso o da una doppia necessità. [Il sistema dei modernisti funziona solo tramite intimi impulsi o necessità...] Il primo impulso sarebbe per dare qualcosa di sensibile alla religione; il secondo, per propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e qualche atto di consacrazione che chiamano Sacramenti. 

Per i modernisti, i Sacramenti sono dunque dei simboli, o dei segni, che hanno l'efficacia di far presa sugli animi delle persone: sono finalizzati dunque a suscitare il sentimento religioso.

[Il Concilio di Trento ha già condannato tale affermazione: “Se qualcuno dirà che questi Sacramenti sono stati istituiti soltanto per nutrire la fede, sia anatema”. Non serve dire altro.]

Secondo i modernisti, i libri sacri sono una raccolta di esperienze particolari e straordinarie, accadute in qualche religione. Questa definizione i modernisti la adattano anche per l'antico e il nuovo Testamento. 
Eppure, i libri sacri comprendono anche profezie o storie del passato, non solo esperienze, che sono limitate al presente. I modernisti affermano dunque che l'esperienza può prendere materia sia dal passato come dal futuro, in quanto il credente vive di nuovo le cose passate come se fossero presenti, o vive l'avvenire per l'anticipazione nel presente. Insomma, in questo modo i modernisti comprendono i testi storici e apocalittici nei libri sacri. I libri sacri non sono la parola di Dio, per i modernisti, ma sono Dio che parla per mezzo del credente, tramite l'immanenza e la permanenza vitale
Ci chiediamo allora in che cosa consiste l'ispirazione. I modernisti rispondono che l'ispirazione non si distingue, se non forse dalla veemenza con cui il credente manifesta la sua fede o a voce o per iscritto, spinto dal bisogno. [In questo modo l'ispirazione è simile a quella poetica...] Insomma, nei libri sacri non vi sarebbe nulla che non sia stato ispirato. Eppure, se noi analizzassimo la Bibbia secondo i principi dell'agnosticismo, come opera scritta da uomini per uomini, sia pure chiamandola divina nell'immanenza, come può l'ispirazione essere più coartata? I modernisti asseriscono un'ispirazione totale dei libri sacri, ma non nel senso cattolico, assolutamente. 

Per quanto riguarda la Chiesa, i modernisti si sono sbizzarriti ad elaborarne una propria idea. 
Secondo i modernisti, la Chiesa è nata da una duplice necessità: la prima nel credente qualunque, e particolarmente in colui che ha avuto una singolare quanto originale esperienza, tale da comunicare la sua fede agli altri; la seconda, è quella di aumentare, difendere e diffondere la fede comune della collettività. 
La Chiesa sarebbe dunque un parto della coscienza collettiva, ossia della collettività di coscienze individuali, le quali dipendono tutte da un primo credente (che, per i cattolici, sarebbe Gesù Cristo). 
L'autorità disciplinare, dottrinale e liturgica deriva, per i modernisti, dal fatto che la Chiesa è una società che deve tutelare gli elementi di coesione dei religiosi, cioè la dottrina e il culto. Secondo i modernisti, nei tempi passati l'autorità della Chiesa era in errore, poiché si riteneva che fosse venuta dal di fuori, direttamente da Dio, e perciò venne ritenuta giustamente autocratica; oggi invece, nella Chiesa si afferma la collettività delle coscienze, e l'autorità emana vitalmente dalla Chiesa stessa ed è soggetta alla coscienza religiosa. Se, secondo i modernisti, l'autorità della Chiesa si affermasse sulla coscienza religiosa, ne deriverebbe una tirannide. [Ciò equivale a dire che nella Chiesa deve esserci la democrazia!] E infatti, secondo i modernisti la Chiesa ha il dovere di usare forme democratiche per non fomentare un “contrasto interiore” tra le coscienze degli uomini. Sempre secondo i modernisti, se la Chiesa non si piegasse a questa dottrina democratica, andrebbe incontro allo sfacelo, perché il sentimento di libertà di ogni individuo si opporrebbe con una forza distruttiva. 
[Così ragionano i modernisti: la libertà dei credenti prima di tutto, l'autorità “democratica” della Chiesa a seguire...]

 


Veronica Tribbia - dal Catechismo sul modernismo secondo l’enciclica “Pascendi” di papa S. Pio X - Editrice Ichthys