Regalità sociale di Cristo
Gesù Cristo è il re della società civile?
Gesù Cristo non è soltanto il re della Chiesa o dei fedeli, ma si tutti gli uomini e di tutti gli Stati. Lo ha detto Egli stesso prima della sua ascensione: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra” (Mt 28,18). È re del mondo intero, nulla può sottrarsi alla sua potenza.
Quali sono i fondamenti della regalità di Cristo?
Papa Pio XI insegna, nell'enciclica Quas Primas, che Cristo ha un duplice diritto alla regalità: 1.è re per natura, a causa di un diritto innato (è l'uomo-Dio); 2.è re per conquista, per un diritto acquisito (riscattando il mondo, ha conquistato tutti gli uomini nel suo sangue).
Questa regalità di cristo non si estende ai solo battezzati?
Pio XI a questo proposito cita il suo predecessore Leone XIII: “La sua autorità infatti non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla Chiesa (anche se errori dottrinali li tengono lontani da essa o dissensi hanno infranto i vincoli della carità), ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana. Ecco perché tutta l'umanità è realmente sotto il potere di Gesù Cristo”.
La società politica deve anch'essa onorare Dio pubblicamente? Non basta che lo facciano gli individui?
Il Papa Leone XIII insegna: “È chiaro che una società costituita su queste basi deve assolutamente soddisfare ai molti e solenni doveri che la stringono a Dio con pubbliche manifestazioni di culto”.
Per onorare Dio pubblicamente, la società civile deve necessariamente sottomettersi alla religione cattolica?
Scegliere Gesù Cristo, che è l'unico mediatore tra gli uomini e Dio, non è mai facoltativo. E dunque non lo è neppure scegliere la Chiesa cattolica, che è l'unica Chiesa di Cristo. Leone XIII insegna: “Le società (…) devono, nell'onorare Dio, adottare quella forma e quei riti con i quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato”.
Lo Stato ha altri doveri religiosi oltre al culto pubblico verso Dio?
Sì, lo Stato deve, pur restando nel suo campo specifico, favorire la salvezza eterna dei suoi cittadini.
Quali devono essere i rapporti tra Chiesa e Stato?
In pratica, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato dipendono dalla composizione religiosa della popolazione. Nell'ordine normale delle cose (integralmente applicato quando la popolazione è in prevalenza cattolica), lo Stato deve essere ufficialmente cattolico. Deve dunque aderire alla religione cattolica e proclamarla religione di Stato, riconoscere l'autorità della Chiesa e sottomettersi ad Essa in modo giuridico, proteggerla e favorirla, fare delle sue feste dei giorni non lavorativi e prendere parte ufficialmente, nella persona degli uomini politici, alle celebrazioni liturgiche; inoltre deve favorire le scuole cattoliche e le istituzioni caritatevoli e vigilare affinché i comandamenti di Dio trovino un eco nelle leggi civili, come per esempio nella proibizione del divorzio, della contraccezione e dell'aborto.
Le religioni non hanno un diritto ad essere esercitate liberamente?
La vera religione ha il diritto assoluto di svilupparsi e di essere praticata liberamente, perché a nessuno può essere impedito di servire Dio nel modo che Egli stesso ha prescritto. È un'esigenza del diritto naturale. Invece, i falsi culti non hanno alcun diritto reale ad essere praticati (anche quando si accorda loro, in virtù della tolleranza, un diritto civile ad essere esercitati), proprio perché sono falsi ed erronei. L'errore, in quanto tale, non può mai avere diritti, solo la verità ne ha. La tolleranza riguardo alle false religioni, quindi, per un capo di Stato non è un dovere di giustizia (fondato su un diritto naturale) ma di prudenza e carità cristiana.
È certo che l'errore non ha mai, in quanto tale, alcun diritto?
Leone XIII insegna molto chiaramente che l'errore non può mai avere diritti: “Senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene”. E Pio XII insegna a sua volta: “Ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all'esistenza, né alla propaganda, né all'azione”.
Ma allora la tolleranza delle religioni non cattoliche non può essere garantita dalla legge?
La tolleranza delle religioni non cattoliche può trovare un'espressione nel diritto civile; uno Stato cattolico può, se le circostanze lo suggeriscono, garantirla con una legge e permettere così che anche i culti non cattolici possano essere praticati. Ma ciò è cosa ben diversa da un diritto naturale.
Cosa insegna il Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa?
La dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa, Dignitatis humanæ (n.2), afferma: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata”.
Cosa possiamo notare in questo testo del Vaticano II?
1. Innanzitutto, il Vaticano II non dice solo che nessuno deve essere costretto a credere (cosa che la Chiesa ha sempre insegnato), ma pretende anche che a nessuno possa essere impedito di esercitare il culto di sua scelta.
2. Poi, ed è capitale, il Vaticano II non parla più solamente di tolleranza, ma riconosce agli adepti di tutte le religioni un vero diritto naturale a non essere impediti ad esercitare il proprio culto.
3. Infine, questo diritto non concerne solo l'esercizio privato, ma espressamente l'esercizio pubblico e la propaganda della religione. Il Vaticano II promuove dunque ciò che la Chiesa ha sempre condannato in precedenza.
La libertà religiosa professata dal Vaticano II, quindi, contraddice l'insegnamento della Chiesa?
La libertà religiosa del Vaticano II contraddice l'insegnamento della Chiesa e, inoltre, anche la sua prassi costante.
In che modo il Vaticano II contraddice la prassi costante della Chiesa?
I santi non hanno mai esitato a spezzare gli idoli, distruggere i loro templi, far legiferare contro le pratiche pagane o eretiche. La Chiesa, senza mai forzare a credere o a ricevere il Battesimo, si è sempre riconosciuta il diritto di proteggere la fede dei suoi figli e di ostacolare, quando poteva, l'esercizio pubblico e la propaganda dei falsi culti. Accettare su questo punto la dottrina del Vaticano II, significa ammettere, dopo duemila anni, che i papi, i santi, i Padri e i dottori della Chiesa, i vescovi e i capi di Stato cristiani hanno costantemente violato uno dei diritti naturali della persona umana, senza che nessuno, nella Chiesa, se ne sia mai accorto. La temerarietà di una tale ipotesi è lapalissiana.
Gli autori di Dignitatis humanæ ammettono che il loro testo contraddice gli insegnamenti dei Papi precedenti?
Parecchi degli estensori della dichiarazione Dignitatis humanæ hanno ammesso che quel testo poneva delle difficoltà sul piano della coerenza con l'insegnamento magisteriale anteriore. Il principale ispiratore del testo, padre Courtney Murray, riconobbe nel suo commento: “Quasi esattamente un secolo dopo, la dichiarazione sulla libertà religiosa sempbra affermare come dottrina cattolica ciò che Gregorio XVI e Pio IX consideravano come un delirio, un'idea folle”. Padre Congar da parte sua ammise: “Non si può negare che tale testo dica materialmente un'altra cosa che il Sillabo del 1864, e perfino pressappoco il contrario delle proposizioni 15, 77, 78 e 79 di quel documento”. [...]
In che modo il Concilio Vaticano II è riuscito a promulgare una dichiarazione che contraddice così radicalmente la pratica e l'insegnamento della Chiesa?
La commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II, costituita da papa Giovanni XXIII, aveva scritto un documento del tutto tradizionale, che riassumeva la dottrina della Chiesa su tale questione. Ma il Segretariato per l'unità dei cristiani, presieduto dal cardinale Bea, aveva preparato uno schema alternativo, intitolato De Libertate Religiosa. Durante la sessione preparatoria che si svolse il 19-20 giugno 1962, i testi della commissione teologica e del Segretariato per l'unità dei cristiani arrivarono alla commissione centrale insieme e provocarono il più drammatico confronto vissuto da quell'organismo. I cardinali Ottaviani e Bea si scontrarono aspramente. Alla vigilia del Vaticano II due dottrine antitetiche si contrapponevano: l'una si riferiva a tutta la Tradizione della Chiesa, l'altra alle aspettative del mondo moderno. Nella sessione preparatoria prevalse il testo innovativo del Segretariato per l'unità dei cristiani, che dunque costituì nel corso del Concilio la piattaforma di base per le discussioni sull'argomento, in vista della stesura di quello che sarebbe poi divenuto Dignitatis humanæ. [...]
Il Concilio Vaticano II si oppone esplicitamente alla regalità sociale di Cristo?
Dignitatis humanæ omette totalmente di parlare di Cristo Re: e visto il soggetto trattato, non è un'omissione di poco conto. Il testo, certo, non proibisce agli Stati di professare il cattolicesimo, ma tale professione non è in alcun modo incoraggiata né presentata come la situazione ideale e auspicabile per uno Stato. Il Concilio si limita, su questo punto, ad ammettere in teoria la possibilità che lo Stato accordi ad una religione uno statuto giuridico privilegiato rispetto alle altre, ma dicendo con chiarezza che ciò vale anche per le religioni non cattoliche, e in ognio caso la ragione invocata per questo statuto preferenziale non è la verità religiosa oggettiva, ma le circostanze peculiari dei popoli. La pratica, poi, ha di gran lunga superato questo principio: a partire dal 1965 il Vaticano ha, infatti, cooperato attivamente all'abolizione degli Stati cattolici, domandando a numerosi Stati – senza che essi ne avessero fatto in alcun modo richiesta – di sopprimere dalle loro Costituzioni gli articoli che accordavano al cattolicesimo la prerogativa di religione ufficiale dello Stato.
Don Matthias Gaudron (Catechismo della crisi nella Chiesa)