Europa cristiana?

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Se noi cerchiamo di sapere perché l’Europa debba definirsi cristiana, se lo sia necessariamente o se possa anche non esserlo, o perché e quando lo sia diventata, dobbiamo anzitutto riferirci al concetto di Europa, e in seguito vedere in quale senso un continente possa dirsi cristiano.

Se l’Europa è un concetto puramente geografico, allora va considerata come il più piccolo e insignificante dei continenti, dai confini incerti, una sorta di protuberanza dell’Asia. Chiaramente il concetto di Europa non può essere ridotto a questo, richiama piuttosto una storia, anzi un’idea. Deve dirsi un concetto eminentemente culturale. 

Per lungo tempo l’Europa, intesa come la regione geografica che oggi chiamiamo così, non si è concepita come unità a sé stante. Dobbiamo cercare dove nasca l’idea che ha unito questa regione, e ne ha fatto l’entità che oggi tutti chiamano con tale nome. 

Naturalmente, è in Grecia che dobbiamo cominciare la nostra ricerca. Un’unica lingua univa quel gruppo di città dell’Ellade, ed era fattore di unità di fronte ad un mondo esterno popolato da “barbari”, fossero essi i rudi popoli delle foreste del Nord o i raffinati Persiani all’Oriente. Come si vede, in Grecia vigeva l’idea di un’unità culturale, in questo caso basata essenzialmente su una lingua comune, che rendeva chi la parlava diverso, anzi superiore a tutti gli altri.

Poi venne Roma: una nuova unità si costruisce, che pur non corrisponde geograficamente all’attuale Europa, ma piuttosto al bacino del Mediterraneo. Roma fa sua la cultura ellenistica, che già Alessandro Magno aveva esportato fuori dalla penisola greca. Non più una semplice lingua, ma questa cultura protetta dal diritto romano e dalle legioni dell’Impero diventa il criterio della civiltà.

In questo periodo i barbari, gli esclusi da questa cultura, sono proprio coloro che oggi si prendono per il cuore dell’Europa. Questa superiorità culturale acquisisce, proprio grazie ad Alessandro il Macedone e a Roma, il desiderio di espandersi, di non essere più riservata ad alcuni ma destinata a tutti i popoli. Si considera un’idea universale, che può raggiungere ogni uomo. Possiamo dire che c’è un lato “missionario” nelle guerre di Alessandro Magno o di Roma, e forse ancor prima nel colonialismo greco. 

Un secondo fondamentale concetto nasce insieme a questo, anzi parallelamente ad esso, ed è quello di un potere universale, garante e artefice di tale diffusione dell’unica cultura. Badiamo bene: cultura unica che non è il risultato di un calderone in cui tutto si fonde, ma un preciso modello considerato adatto a tutti, che emana da un preciso punto di partenza geografico.

Non è un caso che Dio abbia voluto far sorgere la Sua Religione in questo contesto; anzi, tale contesto storico fu voluto da Dio come necessario alla Sua Religione. Possiamo dire che la cultura e la filosofia greca, nel piano divino, siano esistite solo per il cristianesimo, così come il sistema giuridico romano.

Si deve qui notare quanto sia inane l’obiezione di coloro che vogliono ricordare nella costituzione europea le radici classiche e non quelle cristiane. Se le radici greco-romane sono arrivate a noi non come un fossile, ma come qualcosa di vivo, lo si deve unicamente al Cristianesimo, anzi precisamente alla Chiesa Cattolica. E questo è vero non solo nel senso più materiale, dato che i codici degli autori antichi sono stati copiati nei monasteri, ma tutta la civiltà antica, trasfigurata dal cristianesimo, è stata assorbita dalla Chiesa Romana. 

Il cristianesimo può dunque dirsi “inculturato” in quella società? La risposta è sì, purché sia chiaro che non avrebbe potuto né potrà mai “inculturarsi” in nessun’altra, per sua natura, o meglio per disposizione della Provvidenza. Le altre società che riceveranno il cristianesimo, riceveranno con esso tutta quella cultura, che non è più greca o romana ma semplicemente cristiana. La conversione al cristianesimo implicherà la rinuncia a tutte quelle forme di civiltà non compatibili con la vera religione. 

In questo disegno provvidenziale si inserisce un secondo elemento che si può dire geografico: il ruolo della città di Roma.

Premettiamo che il cristianesimo, a differenza dell’Antica Alleanza, non ha legame alcuno con la carne e il sangue, la razza o la stirpe: in questo senso “non c’è più né giudeo né greco”, come dice san Paolo: tutti gli uomini senza distinzione, e perfino le donne, sono chiamati a rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo per essere a pieno titolo figli di Dio secondo la grazia.

Né il cristianesimo, proprio perché cattolico (cioè universale) può essere legato ad una particolare regione, a differenza del giudaismo antico, legato a Gerusalemme (unico luogo di culto del vero Dio) e alla Terra promessa (figura del regno spirituale che sarebbe stato fondato da Gesù Cristo). E tuttavia, anche nella Nuova Alleanza, c’è un luogo che può vantare un’“elezione divina”, una missione: evidentemente si tratta della Città Eterna, dove la Provvidenza volle che san Pietro fosse Vescovo e trovasse il martirio, quel san Pietro che da Cristo aveva ricevuto il potere supremo.

Da allora la Sede della Chiesa di Cristo non può essere che Roma, e se a Roma ci sarà sempre, secondo le promesse del Vangelo, un Vescovo cattolico, ci dovrà essere sempre un popolo cattolico. Il Papa ha in sé la pienezza del potere della Chiesa, di questo regno eterno, universale e supremo, adatto a tutti i popoli, e sarà per sempre Vescovo di quella Città. Ora Roma è in Italia, e l’Italia in Europa. Si può quindi parlare di un particolare ruolo affidato da Dio all’Italia e all’Europa. 

In questo senso preciso possiamo parlare di un’Europa che non può mancare di essere cristiana, di un’apostasia non solo dei singoli cristiani, ma dell’intera società europea che manca a questo suo ruolo provvidenziale, dopo aver ricevuto tanti benefici da Dio. 

Ma torniamo alla storia: nei primi secoli, specie dopo le persecuzioni, questo “corpo” della cristianità viene ad identificarsi con l’Impero Romano. Pensiamo a sant’Ambrogio o a san Leone Magno: l’idea della missione universale di civilizzazione coincide ormai con quella di cristianizzazione; la Chiesa prega con queste parole per l’Imperatore romano: “ut Dominus Deus subditas illi faciat omnes barbaras nationes, ad nostram perpetuam pacem” (“affinché il Signore Dio sottometta a lui tutte le nazioni barbare, per la nostra perpetua pace”, liturgia del Venerdì santo); e anche “Deus qui ad praedicandum aeterni Regis Evangelium Romanum Imperium preparasti: pretende famulo tuo Imperatori nostro N. arma caelestia; ut pax ecclesiarum nulla turbetur tempestate bellorum” (“Dio che hai preparato l’Impero Romano per predicare il Vangelo dell’eterno Re: porgi al tuo servo il nostro Imperatore N. le armi celesti: perché la pace delle chiese non sia turbata da nessuna tempesta di guerra”). 

Quindi all’Impero viene riconosciuto un ruolo provvidenziale, quello di “apripista” della vera civiltà, quella del Vangelo, del Re eterno: sottomettendo le nazioni barbare con le armi romane, diventerà possibile la ricezione pacifica della predicazione. In quest’epoca l’Impero e la cristianità non coincidono ancora con quello che noi chiamiamo Europa: il Nord Africa e il Medio Oriente sono ancora perfettamente cattolici, la Germania e le terre oggi slave non lo sono ancora. I primi regni barbarici, sorti sulle ceneri ancora calde dell’Impero d’Occidente, divenuti anch’essi cattolici, cercano a Roma o a Bisanzio (dall’Imperatore dei Romani) la loro legittimità: hanno assorbito, in un’altra forma, le stesse idee “europee” ante litteram, e sono realmente eredi di Roma (lo saranno anche formalmente con Carlo Magno).

In quale momento possiamo dire che la cristianità con la sua missione venga ad identificarsi con quella che noi oggi chiamiamo Europa? Evidentemente con l’espansione islamica in Oriente e in Africa, e addirittura per sette secoli fino in Spagna!

Non è un caso che il termine “europeo” appaia in occasione del primo grande confronto con l’Islam. Alla battaglia di Poitiers (732), quando Carlo Martello, Re dei Franchi per volere del Papa, fermerà l’avanzata araba, il cronista Isidoro Pacensis scrive: “Prospiciunt europeenses Arabum tentoria ordinata” (“gli europei guardano verso gli accampamenti ordinati degli arabi”). Europeo coincide già con cristiano, come arabo coincide con musulmano.

In questo contesto, ad un Impero bizantino sempre più debole, orientale, separato da Roma, i Papi affiancano (e poi sostituiscono) un nuovo Impero Romano d’Occidente, a tutti gli effetti su base territoriale “europea”: l’Impero di Carlo Magno.

Siamo nell’anno 800, e il Papa provvede all’unità politica dell’Europa. All’incoronazione di quella famosa notte di Natale, in San Pietro si sentirà questa acclamazione: “Omni exercitui romanorum, francorum, teutonorum et langobardorum, vita et victoria!” (“A tutto l’esercito dei romani, dei franchi, dei teutoni e dei longobardi, vita e vittoria!”).

Qualche secolo più tardi, san Tommaso d’Aquino spiegherà nel De regimine principum come il Vicario di Dio abbia potuto spostare l’Impero dai greci ai germani, e come questo Impero sia del tutto funzionale e dipendente dalla volontà della Chiesa Romana.

Ne è l’espressione temporale, necessaria a creare le condizioni favorevoli all’evangelizzazione. Non per niente san Gregorio VII affermerà nel dogmatico Dictatus Papae che “Solo il Papa può usare delle insegne imperiali” (“Quod solus Papa possit uti imperialibus insigniis”, n. VIII). 

La Chiesa non crede né alla libertà religiosa né allo stato laico, anzi condanna tali princìpi. Vuole uno stato che sia sua emanazione. L’Europa è stata l’incarnazione di quest’idea. L’Europa che conosciamo ha trovato la sua unità solo e unicamente in questo ideale. Si è divisa perdendolo. 

Negli anni che seguono la formazione del Sacro Romano Impero, due princìpi lottano tra loro in Europa. Da un lato un principio unificatore, di unità non solo religiosa ma anche politica, che irradia dai Papi, che tendono a farsi riconoscere dai vari sovrani come l’unica fonte del loro potere (sotto Innocenzo III gli stati d’Europa assumono l’aspetto di una confederazione che riconosce la sovranità del Papa); unità che culmina, ovviamente, nella lotta contro il nemico esterno, l’Islam, che appare sempre più come l’anti-Europa, l’anti-cristianesimo. Nel movimento delle Crociate si ha realmente un’azione comune dei principi cristiani d’Europa sotto impulso del Papa, che esportano la loro fede e la loro cultura in Oriente, a difesa dei cristiani che stanno fuori dei confini di questo corpo. Gli Stati d’Europa marciano insieme: Impero, Francia, Inghilterra, Comuni e principati italiani (la Spagna combatte lo stesso nemico ma su un altro fronte).

Dall’altro lato, un principio disgregatore si fa strada, prende forma: i singoli regni tendono a separarsi, dapprima anche solo politicamente, dalla fonte comune dell’autorità. L’Impero, con la lotta delle investiture e quella per il dominium mundi contro l’autorità anche temporale del Papa, reclama l’autonomia politica e tende ad essere sempre meno romano e sempre più germanico; la Francia, approfittando di questa situazione, da Filippo il Bello in poi preporrà sistematicamente il proprio interesse a quello comune della Cristianità e dell’Europa, giungendo a controllare il Papato per settant’anni con la celebre cattività avignonese, e più tardi ad allearsi con i turchi contro l’Imperatore. Un principio non cristiano si fa avanti: quello dell’egoismo nazionale, quindi del sangue; il contrario del principio universale che dovrebbe essere tipico del cattolicesimo e per conseguenza, lo abbiamo visto, dell’Europa.

La cattività avignonese, cui abbiamo accennato, fa cadere il sospetto di parzialità sul Papato; anzi si diffonde l’idea di poter asservire l’istituzione divina universale ai propri fini. Seguiranno i vari scismi, con la presenza contemporanea di vari antipapi, mettendo così in crisi il centro dell’unità europea. 

Con il ritorno del Pontefice a Roma e la fine degli scismi, c’è però un tempo di ripresa, un tentativo di ricomposizione dell’unità perduta: tra la metà del XV secolo e la Riforma luterana, i regni d’Europa hanno la grande possibilità di ritrovarsi. Il Papato sta recuperando la grande cultura classica, ed è pronto a rimettersi alla testa del continente. All’esterno, con la caduta di Costantinopoli (1453), l’Europa si ritrova veramente isolata, si riscopre Cristianità assediata con il nemico alle porte. In questi anni la Provvidenza manda sul Soglio di Pietro un uomo veramente “europeo”, intriso di cultura antica, conscio della gravità del pericolo turco e che conosce la vera natura dell’Europa. È il grande Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464), che così sintetizza, in ammirabili versi latini, la vera unità europea, quella della fede: 

Virgo theutonicis multo celebrata sacellis,

Mater et ipsa Dei, Mater et ipsa hominum,

Virgo Latinorum spes et tutela meorum,

Virgo, quam multo Gallia thure colit,

Virgo nec Hispanas paulo laudata  per urbes,

cui patet et caelum totaque terra patet… 

“Vergine molto celebrata nei templi teutonici, / Tu Madre di Dio, tu Madre degli uomini, / Vergine speranza e tutela dei miei Latini, / Vergine che la Gallia onora con molto incenso, / Vergine, non poco lodata nelle città di Spagna, / cui è aperto il cielo, cui è aperta tutta la terra…” (Eicosast. de Maria, 1-6) 

Ed è lui a tentare di riunire a Mantova l’assemblea dei Principi europei contro Maometto II, il terribile Sultano che ha preso Costantinopoli e minaccia l’Ungheria. Ma era troppo tardi, o forse troppo presto. Non c’è risposta al suo appello. Occorreva prima ridurre alla ragione i Principi italiani ed europei che non vedevano al di là del loro ombelico. Sarà il progetto, realistico, dei suoi successori. Se con Alessandro VI la spinta verso l’esterno troverà nuovo slancio, grazie alla scoperta delle Americhe che il Papa affiderà ai Re di Spagna e Portogallo perché vi esportino civiltà e fede, le guerre e il mecenatismo di Giulio II e Leone X tenteranno, con il prestigio culturale e la potenza militare unita al gioco della diplomazia, di recuperare il ruolo che spetta al Papato sulla scena europea. 

In questo momento in cui tutto è ancora possibile, il movimento disgregatore trova in un monaco deviato l’arma per rompere con le pretese di Roma.

L’occasione e il pretesto di una rottura non più solo politica, ma ammantata di religione, permette a tutti i principi di acquistare l’autonomia desiderata. Con Lutero e i suoi epigoni, interi regni usciranno dall’Europa.

Nel momento in cui la minaccia islamica è più viva che mai (nel 1526 l’Ungheria cade, e Vienna è per la prima volta sotto assedio), l’Europa perde la sua unità. Come Costantinopoli aveva detto “Meglio il turbante della tiara”, così Lutero dirà “Meglio turco che papista”, impedendo a i principi tedeschi di unirsi a Carlo V contro i turchi (ma anche i francesi, prototipo dell’egoismo nazionale, si alleeranno con i turci per non favorire i loro rivali austriaci).

Lutero è figura anti-romana e anti-ellenica, barbaro, iniziatore del pensiero filosofico che proprio in Germania porterà al rigetto dello stesso principio di non-contraddizione, base del pensiero umano formulato da Aristotele.

Nello stesso momento l’Inghilterra, che era stata addirittura feudo del Papa, si sottrae all’obbedienza della Sede Apostolica, e dopo alterne vicende caccia il suo ultimo Re cattolico, Giacomo II Stuart, con la Unbloody Revolution del 1688 (sanguinosa era stata invece, e specialmente per i cattolici, qualche decennio prima, la guerra del Parlamento di Cromwell contro il Re). “Questo Regno d’Inghilterra è un Impero”, aveva dichiarato nel 1533 Enrico VIII.

L’idea universale, il concetto di superiorità culturale e religiosa che deve diffondersi, vengono abbandonati, e alla missione di civilizzare i popoli “barbari” i colonizzatori protestanti sostituiscono quella di dominio, sfruttamento e sterminio (in questo contesto nasce il moderno razzismo, di matrice tipicamente giudaica, ripreso dai calvinisti e dai protestanti in generale che si ritengono eletti e predestinati). 

Roma diviene dunque il nemico. Carlo V e gli Asburgo non riescono a restaurare l’unità religiosa dell’Impero e quindi dell’Europa; la pace di Augusta (1555), con il famoso principio cuius regio eius religio, sarà definita da Pio XII “il colpo più duro che potesse essere inferto all’Occidente cristiano e alla sua civiltà”. Le ultime speranze svaniscono con la Guerra dei Trent’anni, che l’Imperatore Ferdinando non riuscirà a portare a buon fine per l’intervento deleterio della Francia di Richelieu e Luigi XIV a favore dei protestanti. Nel 1648 la pace di Westfalia compie la laicizzazione delle relazioni internazionali. Tale trattato fu duramente condannato da Innocenzo X, per la rinuncia che si faceva dei diritti della Chiesa e della religione senza nemmeno aver consultato la Sede Apostolica. L’Europa rinnegava ufficialmente le sue basi; la nuova Europa, costruita su tutt’altre basi, ha voluto ratificare la sua costituzione anticristiana proprio sotto la statua bronzea di Innocenzo X che si trova in Campidoglio: un caso o una beffa alle pretese del Papa?

Da quel trattato in poi la religione non viene più vista come fattore di unità, ma di discordia. Deve dunque essere evacuata dai rapporti fra le potenze, che cercano il loro “equilibrio” al di fuori di essa, in attesa di essere eliminata anche dalla vita interna degli Stati. 

Questo rifiuto dell’autorità di Roma e quindi della civiltà porterà gli Illuministi del ‘700 a guardare con simpatia tutto ciò che non è europeo: idealizzazione dell’Islam e del bon sauvage, in cui stanno le virtù che l’Occidente avrebbe perso. Contemporaneamente Kant procede nella de-ellenizzazione della religione, privandola del suo supporto filosofico e facendone un puro postulato morale, allontanandosi così sempre di più dalle radici dell’Europa, almeno intesa come abbiamo spiegato. 

In questo stesso periodo, se vogliamo citare un pensatore cattolico, ricordiamo che Giovanni Battista Vico, nella sua dedica della “Scienza nuova” alle “Accademie d’Europa”, riconosce che se c’è un’unità della cultura europea è “in forza della cristiana religione”. Scrive: “L’Europa cristiana sfolgora di tanta umanità, che vi si abbonda di tutti i beni che possono facilitare l’umana virtù non meno per gli agi del corpo che per i piaceri così della mente come dell’anima”. In questi tempi, lingua comune dell’Europa è ancora il latino, usata negli Atenei e nelle Cancellerie degli Stati, a partire dal Sacro Romano Impero. Giuseppe II, Imperatore “illuminista”, imporrà il tedesco. Solo la Chiesa Romana terrà il legame con il mondo antico e l’ideale universale conservando l’uso della lingua di Roma a tutti i livelli: se l’unità politica cessava, rimaneva il centro dell’unità spirituale. 

Ogni legame con la religione, anche interno alla vita degli Stati, viene scisso con la Rivoluzione Francese: inutile dilungarsi su questo punto.La stessa Santa Alleanza, che è stata definita “il primo accordo europeo di peace-keeping” firmato in nome del Cristo, esclude Roma per forza di cose: lo zar è ortodosso e la Prussia luterana.

Con il 1870 Roma è ridicolizzata a figurare come capitale di uno Stato nazionale. I nazionalismi hanno assicurato il successo della Rivoluzione, nazionalismi che sono il contrario perfetto del cattolicesimo. Saranno l’occasione di abbattere, nella Grande Guerra, l’ultimo regno che era l’ombra dell’Impero cattolico sopranazionale, europeo in tutti i sensi, in cui stirpe e lingua contavano meno della comune civiltà: l’Austria-Ungheria. 

Viviamo oggi in un’Europa completamente diversa, che dopo il bagno di sangue provocato dai nazionalismi e dalle ideologie ha cercato la pace in una nuova unità. Non in un’unità al di là del cristianesimo e di Roma, ma contro il cristianesimo e Roma, poiché non esiste neutralità davanti alla Chiesa e a Gesù Cristo.

È evidente che la base dell’unità di quest’Europa non è né la cultura cristiana, né quella ellenica o romana pre-cristiana: è quella della massoneria, mostruosa e scimmiesca controchiesa, discendente da una tradizione che affonda le sue radici nella menzogna del serpente ai progenitori: “Sarete come Dio, conoscerete il bene e il male”. 

La rinnovata contrapposizione con il mondo islamico dev’essere per noi non l’occasione di cercare un’unità nella non-cultura americana o dei diritti dell’uomo che si fa Dio, che hanno messo il cosiddetto Occidente a servizio dell’Anticristo; ma in ciò che ci è proprio e che ha fatto la nostra forza: nella fedeltà alla tradizione della Chiesa Romana, alla nostra vera Tradizione, che ha origine non dal serpente ma da Dio e dal suo Cristo.    

Lasciamo la conclusione a Leone XIII: “Se l’Europa cristiana domò le nazioni barbare e le trasse dalla ferocia alla mansuetudine, e dalla superstizione alla luce del vero; se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il primato della civiltà, e si porse ognora duce e maestra alle genti in ogni maniera di lodevole progresso, se di vere e larghe libertà poté allietare i popoli, se a sollievo delle umane miserie seminò dappertutto istituzioni sapienti e benefiche; non ci è dubbio, che in gran parte ne va debitrice alla religione, in cui trovò ed ispirazione ed aiuto alla grandezza di tante opere” (Enc. Immortale Dei, 1885).

 

Don Mauro Tranquillo


Documento stampato il 09/10/2024