Omosessualità/1

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Sin dai tempi del santo patriarca Abramo l’umanità conobbe il peccato di sodomia provocando la giusta ira di Dio – “propter quod ira Dei venit in filios diffidentiae” (in Praecepta antiquae diocesis rotomagensis) – distruttrice delle città corrotte (Gn. 18, 16-33; 19, 1-29). Non spetta, dunque, alla modernità il triste vanto d’aver partorito l’immondo peccato; è invece propria di questa nostra età la negazione più radicale della legge naturale sino a disconoscere la perversione dell’ omosessualità.

A partire dalle cosiddette battaglie per i diritti civili degli omosessuali, sciaguratamente intrecciate con la rivoluzione sessuale, l’Occidente tutto è stato lentamente convinto della natura anodina delle preferenze sessuali, ridotte a gusto insindacabile liberamente appagabile nella più totale negazione d’ogni natura e/o finalità della sessualità. Se a tale convincimento pseudo-morale, sviluppato e attecchito nel fertile terreno del convenzionalismo etico-giuridico d’Occidente, si somma l’ideale romantico del sentimento irrazionale d’amore (passione erotica) quale valore assoluto in sé e giustificazione divina d’ogni atto (è l’interpretazione romantico-vitalista dell’agostiniano ama et fac quod vis, è “l’error de’ ciechi che si fanno duci” dicendo “ciascun amor in sé laudabil cosa” Purgatorio XVIII, vv. 18 e 36), è facile comprendere l’odierna esaltazione della omosessualità quale lecita forma d’amore, di conseguenza autorizzata a rivendicare dallo Stato un riconoscimento legale che la equipari, sotto ogni aspetto, all’eterosessualità.

Il superamento dei sessi nel concetto artificioso di “genere” e la equiparazione di omosessualità ed eterosessualità sono implicitamente già presenti nella filosofia moderna e nel diritto liberale. Ciò detto al fine di attribuire ai fatti contingenti il loro giusto peso rispetto alle ben più radicali ideologie che ne forniscono il supporto, non possiamo tacere come oggi l’ Occidente presenti legislazioni neutrali, nella migliore delle ipotesi, rispetto agli atti omosessuali oramai accettati come leciti e rispettabili. La cosiddetta “questione antropologica” è certamente ben più antica, affonda nella modernità e, prima ancora, in talune antiche eresie. Le radici degli errori sono vetuste, ma la fioritura è relativamente recente.

Il paradigma antropologico, che regge la legittimazione dell’ omosessualità sino alle più recenti aberrazioni giuridiche, morali e religiose, benché in sé unitario, presenta una dicotomia genealogica in due tronchi paralleli e autotelici (Riforma protestante e Rivoluzione francese), di cui si può rintracciare la comune radice nella gnosi ovvero, in ultima analisi, in Lucifero. I frutti velenosi del protestantesimo liberale e del radicalismo libertario mostrano, rispetto all’omosessualità e non solo, una essenziale unità. Lo Stato che, rifiutate la lex naturalis e la Dottrina morale, sovverte l’istituto matrimoniale e i Cristiani che pretendono di legittimare gli atti omosessuali, se non di adeguare il Sacramento del matrimonio alle legislazioni civili scandalose, questa è la drammatica attualità. Se la Comunione Anglicana rischia lo scisma interno e rivela tutta la propria intrinseca distanza dalla Verità cristiana, anche il mondo cattolico è scosso da molteplici infezioni: l’eterodossia morale di non pochi teologi e chierici, i sacrilegi e i gravi abusi di taluni Sacerdoti, il relativismo morale di molti fedeli, l’arrogante ribellione delle autorità civili al Magistero morale della Chiesa, etc.

Si è costretti a constatare dolorosamente che, ancora una volta, gli errori germogliati dal terreno del protestantesimo secolarizzato si diffondono tra i cattolici infettando la Chiesa di eresie attuali o potenziali. Da anni, oramai, la Chiesa è turbata da pressioni di lobbies impegnate per l’approvazione morale dell’omosessualità, pressioni che non di rado trovano sponda in realtà ecclesiali e anche, purtroppo, in alcuni Sacerdoti. Innanzi a Sacerdoti di Cristo che paragonano la condanna dell’omosessualità al razzismo affermando la liceità e bontà morale di questa perversione, mentre denunziano la riprovazione della stessa quale tradimento dell’amore evangelico, non ci deve stupire il disordine morale che regna tra i fedeli e, quello ancor più grave e radicale, delle legislazioni secolari nelle nazioni cristiane. 

L’omosessualità è una patologia?

L’omosessualità, intesa quale “attrattiva sessuale, esclusiva o preponderante, verso persone del medesimo sesso” (CCC, 2357), è un’inclinazione oggettivamente disordinata (CCC, 2358) in quanto contraria alla natura umana. Tale disordine sessuale si configura come una patologia? Stando al significato generale del termine, sì. Infatti è malattia ogni menomazione o aberrazione delle normali (norma determinata dalla natura specifica) condizioni psico-fisiche di un individuo. Qualora, invece, si volesse scendere sul terreno specialistico, si dovrebbe parlare di patologie al plurale essendo il medesimo disordine possibile conseguenza di mali fisici, disturbi psichici, alterazioni genetiche, etc. Lasciamo alla scienza medica, onestamente praticata, l’indagine eziologica e patogenica. Sia essa causata da fattori fisiologici, psicologici o dal concorso d’entrambi, la omosessualità è stata classificata unanimemente come patologia dalla neuro-psichiatria, dalla psicologia clinica e dalla stessa psicoanalisi prima che il dogma buonista imponesse il riconoscimento della sua normalità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, sino al 17 maggio 1990, annoverava l’omosessualità tra le patologie psichiatriche e solo la pressione delle lobbies pro-gay, e non nuove acquisizioni scientifiche, ne impose la depennazione.

La natura umana è sessualmente determinata come maschile o femminile e tale differenza sostanziale si manifesta primariamente come relazione di complementarità, visibile, in sommo grado, nell’unione sponsale. Nessun atto di volontà può cancellare questa bipolarità sessuale coinvolgente, nell’unità del composto umano, tanto il corpo (caratteri sessuali somatici) quanto l’anima sicché il sesso, determinato nel concepimento, risulta stabilito per l’eternità e, come tale, implicante una precisa inclinazione relazionale verso il sesso opposto (nessuno è omosessuale per natura). Tuttavia l’umanità ferita dal peccato dei Progenitori è esposta alla perversione delle proprie naturali inclinazioni, compresa quella sessuale, che, regolata dalla complementarità sponsale e finalizzata alla procreazione, può, invece, rivolgersi anche verso oggetti diversi da quello naturale generando quelle gravi patologie psichiatriche che prendono il nome di necrofilia, pedofilia, zoofilia e omosessualità.

L’omosessualità, come ogni patologia (es. la cecità priva il cieco della vista, ma non ne cancella la natura di essere vedente), non muta la natura dell’individuo: all’invertito i gusti e le abitudini omosessuali appaiono connaturali a causa della sua patologia e non già perché tali atti e abitudini cessino d’esser oggettivamente contro natura.  

Gli atti omosessuali sono moralmente leciti?

Se l’inclinazione omosessuale offende la natura umana rifiutandone la vocazione sponsale, gli atti omosessuali si configurano come moralmente cattivi in sé stessi in quanto attualizzano tale offesa e privano l’atto sessuale del suo fine naturale, che è la procreazione: gli atti omosessuali “precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati” (CCC, 2357).

Un atto è moralmente buono solo quando tutti e tre gli elementi costitutivi (atto interno o intenzione, atto esterno e circostanze) rispondono al bene, mentre basta la malvagità di uno solo di questi elementi per determinare la malvagità dell’ atto: bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu. Ora, affinché un atto sessuale sia buono, l’intenzione deve essere quella di relazionarsi sponsalmente secondo il lume della castità coniugale, l’atto esterno dev’essere un rapporto sessuale di per sé idoneo alla generazione dei figli compiuto in modo umano tra i coniugi, le circostanze che l’atto sia consumato in intimità, non durante periodi votati all’ astinenza, etc. Com’è facile comprendere, all’atto omosessuale manca la bontà tanto dell’atto interno quanto dell’esterno (non è idoneo alla procreazione, non è compiuto tra coniugi, non è umano bensì ferino, etc): è l’oggetto stesso del desiderio omosessuale ad essere illecito e intrinsecamente perverso. Le circostanze, peraltro, sono spesso nei rapporti omosessuali anch’esse immorali.

Quale obbiezione fondamentale si è soliti negare, oltre che la naturale complementarità sessuale, la procreazione quale causa finale dell’ atto sessuale individuando, così da equiparare eterosessualità e omosessualità, nel piacere il vero fine della sessualità. L’obbiezione è facilmente confutabile dato che la causa finale particolare di un atto non può che essere la sua perfezione (identità di fine comporta identità di atto), mentre il piacere è un movente naturale di tutto l’agire umano e, poiché gli atti umani sono diversi e diversa è la perfezione particolare cui tendono, il piacere non può essere la causa finalis della sessualità (e neppure degli altri atti umani) essendo la causa impulsiva generalissima: “la natura non ha previsto alcuna operazione al solo fine di ottenere il piacere. Constatiamo infatti che la natura ha posto il piacere in quelle operazioni che sono le più indispensabili nella vita, come nell’uso degli atti venerei, attraverso i quali si perpetua la specie, e nell’uso dei cibi e delle bevande, mediante il quale si conserva l’individuo” (Giacomo da Pistoia La felicità suprema, 9; cfr. S.Th. I-II, q. 31 e II-II, q. 141).

Distinguendo la condizione o tendenza omosessuale dagli atti omosessuali, la ragione da sola conduce al riconoscimento della prima quale inclinazione oggettivamente disordinata e dei secondi quale grave colpa morale. Lo attesta il Filosofo per eccellenza, Aristotele, che, tre secoli prima di Cristo, razionalmente riconobbe che gli atti omosessuali rientrano tra i “comportamenti bestiali” (Aristotele, Et. Nic. 1148, 24-30) e dunque indegni dell’uomo. E già Platone aveva condannato la sodomia in quanto pratica contro natura (Platone, Leggi, 836 C).

Volendo considerare il giudizio della legge morale naturale sulla omosessualità (inclinazione e atti) così come storicamente recepito e precisare l’accidentalità della prassi storica rispetto al giudizio razionale, dobbiamo sfatare alcuni miti. Infatti l’idea che l’omosessualità fosse considerata, nell’antichità, morale e conforme alla legge naturale è pura propaganda, peraltro, grossolanamente anacronistica nel voler proiettare sulla classicità idee totalmente moderne quali il concetto culturale di “genere” e la negazione della finalità procreativa della sessualità. Se è vero che i Gentili tolleravano i rapporti omosessuali quale occasione di piacere, va precisato che tali atti non erano esclusivi, essendo mero strumento di piacere non escludente la vera sessualità procreativa legata al matrimonio. Il matrimonio era prerogativa esclusivamente eterosessuale; mai una coppia omosessuale fu considerata famiglia e, anzi, la stessa pederastia, benché largamente praticata e tollerata, era, in realtà, considerata una debolezza morale, se non un vizio, al punto che il rifiuto opposto da Socrate alle offerte sessuali del giovane Alcibiade costituì ragione ulteriore di ammirazione per il Saggio ateniese (cfr. Platone, Simposio 217-219e). Giovenale, nelle Satire, condanna l’omosessualità quale vizio, causa e sintomo di decadenza morale della civiltà, mentre lo storico Tacito definisce i sodomiti “branco di debosciati” (Ann. XV, 37, 8) giudicando severamente, assieme a Svetonio e Dione, le deviate abitudini sessuali di Nerone. Quanto sopra lascia intendere quale fosse il giudizio sull’ omosessualità nel senso comune dei Gentili non dissimile, nel valutare con disprezzo e riprovazione morale la sodomia (specie passiva), da quello dei pagani odierni.

L’immoralità della sodomia è di tale lapalissiana evidenza che la stessa Modernità, benché atea e sorda alla legge naturale, non è giunta ad affermarne la bontà morale se non negli ultimi decenni, quando cioè anche i pochi baluardi intellettuali della retta coscienza sopravvissuti alle devastazioni precedenti sono crollati nella quasi totalità degli occidentali. Se l’opera popolar-divulgativa italiana per eccellenza, benché di chiara matrice illuminista, definisce la voce omosessualità come “aberrazione sessuale” (Enciclopedia Garzanti Universale 1962/69) e la stessa cultura marx-leninista catalogò la sodomia tra i vizi antisociali, per non parlare di Freud il quale, benché ostile alla fede e alla morale, si cimentò nella cura psichiatrica degli omosessuali, non si può che concludere riconoscendo, in queste testimonianze dei nemici della Verità, l’ovvietà del giudizio morale sugli atti omosessuali, tale per cui anche chi negava Dio e la Realtà non osava, pena il ridicolo, affermare il contrario.

Il malato di omosessualità, nel compiere atti omosessuali, può avere perfetto consenso della volontà e piena consapevolezza?

Sì. La natura patologica dell’ omosessualità non priva chi si macchi di atti omosessuali della responsabilità morale perché la devianza sessuale non priva l’ammalato dell’uso della ragione e del libero arbitrio essendo una semplice inclinazione alla quale la persona può dare o negare il suo assenso. Così come il naturale appetito sessuale non necessita l’uomo alla fornicazione, lo stesso deve dirsi per il patologico desiderio sodomitico. La concupiscentia carnis (che abbia oggetto naturale o deviato) trae origine dalla carne infetta a causa del peccato originale, ma la volontà personale, essendo di natura spirituale e non materiale, è libera di acconsentire o meno al desiderio. Impariamo da Dante il quale, dopo aver scritto, schiavo dell’errore, che “liber arbitrio già mai fu franco”  di fronte alla passione amorosa (Rime CXI, v. 10), rinsavito, emendò se stesso abbandonando l’assurdo determinismo psicologico così da donarci una preziosa verità: “poniam che di necessitate / surga ogne amor che dentro voi s’accende, / di ritenerlo è in voi la potestate” (Pg XVIII, vv. 70-72; cfr. Genesi 4, 7: “eccoti il peccato appostarsi alla tua porta (…), ma tu puoi dominarlo”).

Sì, gli stessi malati di omosessualità, benché irrazionalmente percepiscano gli atti sodomitici come a sé connaturali, sono possibilitati a conoscere razionalmente l’immoralità di dette pratiche non essendo l’intelletto corrotto dalla deviazione.  

Gli atti omosessuali sono causa di dannazione eterna?

Certamente la sodomia è materia grave (Compendio CCC, 492) così che, qualora vi sia piena consapevolezza e deliberato consenso, un solo atto omosessuale priva il peccatore della grazia santificante, distrugge in lui la carità e lo condanna all’inferno (CCC, 1033; 1035; 1472; 1861).

Si tenga presente che il peccato impuro contro natura – il peccato di lussuria più grave (S. Th. II – IIae, q. 154, a. 11; Graziano, D. II, XXXII, 7, cc. 12 e 14) – grida vendetta al cospetto di Dio appartenendo, come lo Spirito Santo insegna, alla categoria dei peccati “più gravi e funesti perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio” (san Pio X, Catechismo della Dottrina Cristiana, 154) (verità questa confermata da un’antica quanto venerabile rivelazione privata: un angelo di Dio rivelò al monaco Wettinio che “in nullo tamen Deus magis offenditur quam cum contra naturam peccatur”; Hatto vescovo di Basilea, Visio Wettini, 19). Il III Concilio lateranense sanzionò la sodomia con la pena medicinale della scomunica confermandone così la rilevanza penale: “quicumque incontinentia illa quae contra naturam est (…)si laici, excommunicationi subduantur, et a coetu fidelium fiant prorsus alieni” (canone 11; confermato da Gregorio IX, Decretales lib. V, tit. 31, cap. 4). Il severo giudizio del Magistero circa gli atti omosessuali risulta perfettamente coerente con se stesso nel tempo, fondato com’è sulla Santa Tradizione Apostolica (ad es. san Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; san Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34; etc.) e la Sacra Scrittura, ove le pratiche omosessuali sono “condannate come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio” (Persona humana, 8) a partire da Genesi (19, 1-29) sino al Nuovo Testamento (1Tm 1, 10; Rm 1, 18-32) passando per il Levitico dove Mosè – definendo la sodomia “pratica abominevole” (Lev. 18, 22) – “esclude dal Popolo di Dio coloro che hanno un comportamento omosessuale” (Cura, 6) sì che san Paolo può confermare tale esclusione in prospettiva escatologica (1Cor. 6, 9-10). Non si può neppure tacere l’intimo legame tra l’ omosessualità e il Maligno, legame oggettivo che non implica di necessità un servaggio degli invertiti a Satana ma che afferma l’origine diabolica della perversione. Tuttavia, benché peccato gravissimo, anche la sodomia trova il perdono di Dio purché il peccatore contrito riceva l’assoluzione sacramentale dopo aver accusato i propri peccati mortali in una confessione umile, intiera, sincera e prudente accompagnata dal proponimento assoluto, universale ed efficace di non più peccare.

Considerata la finalità della sessualità e la natura oggettiva degli atti omosessuali, “le persone omosessuali sono chiamate alla castità” (CCC, 2359) ovvero sono tenute all’astinenza sessuale attraverso la virtù della padronanza di sé sostenuta dalla grazia sacramentale e dalla preghiera (la castità è il dodicesimo frutto dello Spirito Santo). Ricordino gli omosessuali timorati d’Iddio le parole di san Paolo: “non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal 5, 22-24). La legge naturale e divina impone agli omosessuali di esercitare la propria razionale libertà rifiutando la tentazione e rinnegando la propria malata inclinazione sessuale: “la conformità dell’ autorinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di autodonazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli” (Cura, 12). La Chiesa, per parte sua, si impegna ad assistere spiritualmente questi suoi sfortunati figli sostenendoli nella dura lotta contro la tentazione e proteggendoli dalle insidie di errate dottrine morali, causa certa, se ascoltate e praticate, di morte spirituale. 

Può l’autorità civile modificare l’istituto matrimoniale disconoscendo l’eterosessualità dei nubendi quale conditio sine qua non?

No. Il matrimonio, essendo un istituto di diritto naturale, è eternamente determinato; pertanto nessuno, neppure Dio stesso, e dunque tanto meno l’autorità civile, può intervenire a modificarne la natura essenziale. Siccome i soggetti e la materia del contratto nuziale sono un uomo e una donna ed è finalità prima dell’istituto la procreazione, l’unione di due persone dello stesso sesso non può e non potrà mai essere matrimonio.  

È lecito all’autorità civile riconoscere le unioni di fatto tra omosessuali?

A tale ipotesi si oppongono argomenti razionali di ordine relativo alla retta ragione, di ordine biologico-antropologico, sociale e giuridico sinteticamente esposti nelle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali pubblicate dalla Suprema Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede il 3 giugno 2003.

Riconoscere pubblicamente le unioni di fatto contrasta con gli stessi princìpi del diritto liberale compendiati nel Codice napoleonico ove si afferma la simmetria: i conviventi ignorano la legge, la legge ignora i conviventi. L’errata concezione liberale del diritto fa sì che qui si giudichi indifferente alla legge la convivenza more uxorio quando, in verità, di delitto trattasi. Dovendo correggere il Legislatore liberale, ribadiamo che, essendo il contubernio di pubblico scandalo (oltre che un oggettivo disordine), spetta all’autorità civile perseguire penalmente i concubini (il che avviene ad es. negli Stati USA di Florida, Michigan, Mississipi, Carolina Nord, Virgina e West Virginia). Tale dovere persecutorio riguarda, con ovvia maggiore severità, i conviventi omosessuali. Le unioni omosessuali sono una grave offesa all’ordine civile e, come tali, non solo non possono ricevere pubblico riconoscimento, ma devono, anzi, subire legale proibizione. 

L’autorità civile può discriminare e perseguire penalmente gli omosessuali?

Sì, l’autorità civile può, anzi deve, discriminare gli omosessuali. Infatti le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito, ma obbligatorio. L’autorità civile deve provvedere a che gli omosessuali siano esclusi dall’ insegnamento come da altre funzioni pedagogico-educative (l’educatore deve essere “vita pariter et facondia idoneus” C. Th. XIII, 3, 6), dalla vita militare, dalla cura fisico-sportivo-sanitaria dei fanciulli, dalla possibilità di adottare, etc.

Sì, l’autorità civile può, anzi deve, perseguire penalmente i rei di sodomia o tribadismo in quanto colpevoli di violenza contro Dio Creatore (cfr. If XI, vv. 46-51) ovvero di gravissima violazione della legge naturale e divina. Lalex divina vetus, non abrogata da Cristo (cfr. Mt 5, 17; Lc 16, 17), afferma la natura criminale dell’atto omosessuale e quindi la sua necessaria punizione. Un ordinamento che non riconosca l’atto omosessuale quale crimine, costituisce, data la funzione pedagogica della legge, una legittimazione della perversione e, aperta così la porta al disordine morale, non ci si potrà stupire che lentamente anche altre forme di deviazione sessuale, tuttora riprovate e punite, rivendichino gli stessi diritti accordati all’omosessualità trovando, peraltro, un terreno culturale loro favorevole: “quando (…) l’attività omosessuale è accettata come buona oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano” (Cura, 10).

Benché la lex divina sia straordinaria rivelazione di giustizia, non è necessaria la fede per conoscere la rilevanza penale della sodomia bastando la lex naturalis, la legge naturale, disponibile alla conoscenza razionale di tutti gli uomini: una storica testimonianza ne è il Ta-Tsing-Leu-Lee (Codice penale cinese del 1799) dove l’omosessualità, conformemente alla retta ragione mediata dalla tradizione morale del Celeste Impero, è condannata quale crimine contro natura (cfr. Sez. CCCLXVI, statuto n. 3). La comunità politica, finalizzata al bene comune ovvero alla perfezione dell’ uomo, deve, conosciuta la verace antropologia e con essa la lex naturalis, dotarsi di “una legge che costringa a un uso naturale della sessualità finalizzato alla procreazione e quindi escludente i rapporti omosessuali” (Platone, Leggi VIII, 838E); non certo ponendo la sessualità onesta sotto controllo statale come avviene nei regimi totalitari (es. controllo delle nascite o eugenetica), ma bensì impedendo quelle forme immorali di sessualità che negano in se stesse il fine naturale della procreazione.

L’azione pubblica, oltre che agli atti omosessuali, deve rivolgere la propria attenzione anche alla tendenza omosessuale discriminando i devianti in ragione del bene comune e garantendo (o, se è il caso, anche imponendo coercitivamente) agli omosessuali una adeguata cura finalizzata al ri-orientamento sessuale. Così come la inclinazione omosessuale non costituisce peccato, allo stesso modo sarebbe illegittima una sua persecuzione penale, in quanto indipendente dalla volontà, la quale sola può, in virtù del libero arbitrio, determinare una colpa; il che non impedisce la cura coatta degli invertiti renitenti al ri-orientamento in quanto tale azione dell’autorità pubblica non si configurerebbe quale esercizio della potestà punitiva, bensì quale trattamento sanitario obbligatorio. Quando le autorità civili, affermata – esplicitamente o implicitamente – la naturalità dell’ omosessualità, non si impegnano per il ri-orientamento sessuale degli omosessuali ed anzi lo ostacolano, “si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura di cui hanno bisogno e diritto” (Cura, 15). 

CONCLUSIONI

La Santa Madre Chiesa ricorda:

– ai poteri temporali che “riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità” (Cons., 11);

– al parlamentare o altro legislatore cattolico che, di fronte a proposte di legge tendenti al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, “ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto a un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale” e che, in relazione a eventuali leggi già in vigore, “deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione: si tratta di un doveroso atto di testimonianza della verità” (Cons., 10);

– ai fedeli tutti che “sono tenuti a opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali” (Cons., 10);

– agli omosessuali che sono tenuti all’astinenza sessuale.

Già nel 1986 la Suprema Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede denunziava il tentativo, in atto in alcune nazioni, di “manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l’ omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocente, se non totalmente buona” (Cura, 9). Di fronte a tale diabolica azione l’ex Sant’Uffizio ricordava che la Dottrina morale “non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento” (Cura, 9) e che i gruppi attivi, anche all’interno della Chiesa, per l’accettazione dell’ omosessualità e la legittimazione degli atti omosessuali sono “mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, (…). Essi manifestano (…) un’ideologia materialista, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo” (Cura, 8).

Constatando il generale degrado morale degli stessi cattolici, suona ancor più perentoria e obbligante la richiesta della Suprema Congregazione ai Vescovi “di essere particolarmente vigili nei confronti di quei programmi che di fatto tentano di esercitare una pressione sulla Chiesa perché essa cambi la sua dottrina” (Cura, 14); il ministero episcopale, infatti, impone loro di respingere, censurare e combattere “le opinioni teologiche che sono contrarie all’ insegnamento della Chiesa” (Cura, 17) e di ritirare “ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l’insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti o che lo trascuri completamente” (Cura, 17).

Se, come abbiamo precedentemente evidenziato, è diffusa anche nel mondo cattolico l’idea secondo la quale condannare gli atti omosessuali sarebbe una forma di “razzismo” inconciliabile col Vangelo, il Magistero, invece, insegna la bontà morale di una giusta discriminazione in base alla tendenza omosessuale; perché “la tendenza sessuale non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, etc. rispetto alla non-discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo e richiama una preoccupazione morale” (Alcune cons., 10) “dal momento che non vi è un diritto all’omosessualità” (Alcune cons., 13).

Alla luce di quanto sopra, si evidenziano in tutta la loro immoralità quelle legislazioni civili che rendono “illegale una discriminazione sulla base della tendenza omosessuale” giungendo sino a perseguire penalmente quanti ricordino la natura deviata e peccaminosa dell’omosessualità impedendo di fatto la missione della Chiesa.

Se Dio, attraverso la legge morale naturale e la Rivelazione affidata alla Chiesa, chiede agli omosessuali di essere casti nell’astinenza, l’ unica via per giungervi è praticare costantemente la castità con forza di volontà sostenuta dalla grazia sacramentale e dalla preghiera così che l’anima si rivesta dell’abito morale della castità (gli abiti morali non si posseggono per oscura sorte ma si acquistano con la costante prassi di vita). Invece ogniqualvolta un omosessuale cede alla tentazione compiendo atti omosessuali, non solo commette un peccato mortale gravissimo, ma rafforza al suo interno “una inclinazione sessuale disordinata” (Cura, 7) facendosi così schiavo di un abominevole vizio. 

 


Documenti ecclesiali citati

Cura = Suprema Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede: Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986

Cons. = Suprema Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede: Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali. 3 giugno 2003.

Alcune cons. = Suprema Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede: Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non-discriminazione delle persone omosessuali.


(Fonte: sìsìnono)

 


Documento stampato il 09/10/2024