Aforisma
"L'umiltà ci fa crescere in perfezione davanti a Dio, e la dolcezza davanti al prossimo".
La vita
L'ammirabile Francesco di Sales, che a ragione si può ben chiamare l'onore della sua patria, l'amore della Francia, l'ornamento della Chiesa, l'ideale dei prelati, lo specchio della vita cristiana, l'angelo incarnato, l'apostolo di questi ultimi tempi, il vero ritratto dell'uomo spirituale e la norma della perfezione evangelica, nacque da una delle più nobili e antiche famiglie di Savoia nel castello di Sales il giorno 21 di agosto dell'anno 1567.
Sin dalla più tenera età, Francesco si distingueva per la sua pietà, mansuetudine e obbedienza; parve nata con lui la tenerezza verso i poveri, perché distribuiva ad essi non solo quanto riceveva da sua madre per i suoi innocenti divertimenti, ma toglieva a se stesso parte dei suoi alimenti per soccorrere l'indigenza altrui. Alla pietà sempre crescente unì il progresso nello studio delle scienze, e siccome era dotato di un intelletto vivo, saldo e penetrante, apprendeva in modo meraviglioso la letteratura, la filosofia e la teologia.
Il demonio, avendo avuto il permesso dal Signore di tentare quell'anima eletta, lo assalì in modo strano per due volte. La prima fu con una tentazione così forte di essere dannato nonostante tutto il bene che operava, e l'orrore dell'inferno e lo stato terribile di reprobo lo gettarono in una profonda malinconia; piangeva e sospirava giorno e notte il giovanetto, e spesso esclamava: “Ah mio Dio, e dovrò restar senza di voi? Fate almeno che vi ami, e che mille volte piuttosto muoia, che mai vi offenda! Dovrò essere nel numero dei dannati? Se così vi piace, così sia. Ma non sia mai vero che abbia a bestemmiarvi, a maledirvi, perché né la morte, né la vita, né tutto l'inferno potranno impedirmi che io vi ami e vi benedica in eterno!”. Poco prima di rimanere oppresso da questa terribile tentazione, invocò la protezione di Maria, e subito la tentazione cessò, il demonio si allontanò e il giovane santo ritrovò la calma.
La seconda tentazione fu una terribile insidia alla castità. Sotto il pretesto di fare una visita necessaria ad un certo dottore di Padova, il giovane fu condotto dai compagni in casa di una famosa cortigiana; e mentre si tratteneva in vari discorsi con la finta moglie del dottore, i compagni lo lasciarono da solo. Il casto giovane dovette così sostenere un'ardua battaglia contro le lusinghe di lei e i suoi sfacciati artifici, ma superò la prova e si liberò dal pericolo lanciandole un tizzone di fuoco quasi in viso, e fuggendo via. Ritornato a casa rinnovò a Loreto il voto di castità che aveva fatto a Parigi, e la risoluzione di abbracciare lo stato ecclesiastico.
I genitori, saputa la decisione del figlio di consacrarsi a Dio, dapprima cercarono di ostacolarlo, poiché essendo il loro primogenito lo avevano destinato alle corti; ma Francesco fu così costante nel mantenere il suo proposito che ottenne l'approvazione, così si diresse subito dal vescovo di Ginevra per ricevere l'abito e prendere gli ordini minori. Il vescovo, monsignor Claudio Granieri, conosceva già il giovane e lo considerava già come il suo successore: lo accolse pieno di gioia e di affetto, e in breve tempo lo ordinò sacerdote.
Il vescovo incaricò Francesco del ministero della divina parola, ed egli lo esercitò con tale successo che il suo primo sermone fu seguito da tre conversioni famose. La sua eloquenza, le sue dolci maniere, l'amabilità del suo sguardo furono doti che lo resero benvoluto da tutti, e già si diceva in giro che non era possibile, per un peccatore, non convertirsi sentendo le sue parole. Francesco attraversava di continuo i villaggi e i casali per istruire un'infinità di gente povera, che viveva senza quasi aver cognizione di cosa fosse la vita cristiana, anzi imbevuti di errori contrari. Carlo Emanuele duca di Savoia temeva la perdita della fede in tutto il suo stato, perché settant'anni prima i fedeli avevano ceduto alle eresie, profanato le chiese, disfatto gli altari: quando ne scrisse al vescovo Claudio, egli mandò Francesco come missionario per questa difficile impresa.
Francesco accettò con coraggio e confidenza l'apostolato che gli era stato affidato, ed insieme al canonico Lodovico Sales, suo cugino, si diresse in mezzo ai protestanti di Tonone. Qui iniziò ad alzare la voce, come un nuovo Geremia, e predicò, con voce tuonante, e alle sue parole molti si scossero e cambiarono vita. Tutto il partito protestante vibrava di rabbia, ma la pazienza, la modestia e la dolcezza del giovane ammutoliva il popolo furibondo. Risolvettero di ucciderlo, ma la sua presenza e la sua parola disarmavano i sicari; non lo alloggiavano ed egli passava le notti nei boschi; lo calunniarono come un mago e stregone, ed egli superò ogni affronto con la pazienza. Tutti iniziarono a fuggire dal giovane indomabile, ed egli, senza scoraggiarsi, continuò a predicare alle poche persone che lo ascoltavano. Viaggiò da un luogo all'altro per portare la divina parola a quei popoli accecati dall'eresia, e non sospese il suo cammino neppure in mezzo a tempeste, tormente, piogge o nevi: la nuda terra gli faceva da giaciglio per il riposo. Si servì di rampini di ferro per non precipitare nei dirupi; essendo rotto il ponte del fiume, per un anno intero lo oltrepassò aggrappandosi con le mani e coi piedi ad una trave lunga e tutta ghiacciata. Il freddo a volte lo immobilizzava, tanto quasi da ucciderlo; la fame, la sete, il caldo, il gelo, le stagioni, le persecuzioni, i pericoli furono i fedeli compagni del giovane apostolo, il quale finalmente ebbe la consolazione di convertire tutto il paese. Ritornarono le croci, le chiese vennero riedificate, il culto divino venne ristabilito, la fede ritornò a trionfare. La città di Tonone, la quale non aveva che sette cattolici quando Francesco cominciò la missione, contava più di seimila convertiti, e alla fine dell'opera vi si contavano più di settantaduemila eretici ritornati in grembo alla Chiesa. Si fatica a credere come un solo uomo in tre anni abbia potuto fare tante azioni meravigliose, senza soccombere alle fatiche. Predicava più volte al giorno, agitava controversie di fede, istruiva singolarmente, visitava gli infermi, catechizzava i più abbandonati meschini sino a cercarli ad uno ad uno nei casali e nelle capanne più remote, udiva giorno e notte le confessioni, amministrava i sacramenti, assisteva ai funerali, e nulla fuggiva alla sua diligenza, al suo zelo.
Alla luce del suo fervore nel predicare e operare il Vangelo, la fama della sua missione arrivò fino in Italia, dove Francesco fu proposto come aiutante al vescovo Granieri. Sebbene il santo tentò di rinunciare con numerose ed umili richieste ad un compito di tale portata, tuttavia si assoggettò alla divina volontà. Francesco partì per Roma, e papa Clemente VIII lo accolse come un apostolo, lo ammirò come uno dei più dotti prelati del suo tempo e lo onorò come il maggiore santo che avesse avuto allora la Chiesa. Alla prima comparsa del santo, il Pontefice si alzò dalla sua sedia in presenza di tutti i cardinali e, abbracciandolo teneramente, gli disse col linguaggio della Scrittura: Bevete, o mio figliolo, dell'acqua della vostra cisterna e della fonte del vostro cuore, e fate che l'abbondanza di queste acque si diffonda per tutte le pubbliche strade e piazze, affinché ognuno ne possa bere, e dissetarsi. Francesco fu nominato vescovo di Nicopoli, coadiutore e successore del vescovo di Ginevra.
Appena il santo ritornò in Savoia, dovette di nuovo recarsi a Parigi, dove dal re Arrigo IV e dalla corte fu accolto con quella stima e rispetto che conveniva ad un santo. Francesco rifiutò benefici e pensioni, persino lo stesso vescovado di Parigi offertogli dal principe. La sua pietà e dottrina, e delle belle maniere, e soprattutto il suo distacco dall'interesse furono l'ammirazione di tutta la corte. Si trattenne nella corte predicando e suscitando numerose conversioni, ma poi, ottenuto il permesso di ritornare alla sua Chiesa, partì per Ginevra, e durante il viaggio apprese della morte del suo predecessore.
Francesco volle inaugurare la sua nuova dignità di vescovo visitando tutte le sue diocesi. Era un bel vedere camminare il Santo per lo più a piedi e con poca gente come comitiva, finché non arrivava al luogo destinato per la visita, dove gli veniva incontro una grande folla in processione, che lo riceveva con acclamazioni di giubilo e devozione. Dappertutto in ugual maniera insegnava la dottrina cristiana, faceva prediche, istruzioni pratiche, inculcava la frequenza dei sacramenti, udiva le confessioni, toglieva scandali, abusi, concordava gli animi contrari e guadagnava i popoli a Dio.
Ripeteva spesso: “Ah mio Dio, quando sarete voi conosciuto? quando sarete amato come meritate?”. Come un buon pastore premuroso e amante del suo gregge, non lasciò nulla di intentato per nutrire le sue pecorelle con il sacramento dell'Eucarestia, mettendo piuttosto la sua vita in pericolo più e più volte.
Il suo zelo si estese alla riforma del clero conforme agli ordini dei sacri Canoni, delle case religiose sia di uomini che di donne, in maniera tale che presto si vide rifiorire dappertutto l'antica disciplina e l'osservanza delle regole. Francesco aveva fondata a Tonone una casa dei preti della congregazione dell'oratorio simile a quella che aveva visto a Roma, di cui egli stesso ne era stato il moderatore e superiore, come appare nella Bolla di Clemente VIII per l'erezione della medesima nell'anno 1599: stabilì l'ordine famoso della Visitazione, dando una mano alla grande impresa della beata Giovanna Francesca Fremiot Madame di Chantal, destinata da Dio come fondatrice di questo nuovo istituto, nel quale sembra racchiudere quanto di più perfetto hanno tutti gli altri. Il santo Fondatore dettò loro regole piene di saggezza e di dolcezza: lo spirito vigoroso che ne scaturì è stato reso eterno nel libro da lui composto dell'Introduzione alla vita devota. A questo ne aggiunse degli altri, in particolare modo un suo scritto venne così lodato da un dotto vescovo: Francesco è un angelo che conduce i giovanetti Tobia nel viaggio di questa vita. Nel trattato dell'Amor di Dio è un ardente Serafino, che sparge il fuoco dell'altare celeste nel cuore dei perfetti. Questo insegna a volare, e quello a camminare nelle vie del Vangelo in maniera semplice ma sicura; l'uno somministra il pane dei forti per le anime forti, l'altro presenta del latte a coloro che non sono capaci di un più sodo alimento. Anche papa Alessandro VII nella Bolla della canonizzazione del santo scrive come gli scritti e le stesse lettere di Francesco sono come tante fiaccole ardenti, che portano il fuoco e la luce in tutte le parti della Chiesa.
Benchè Francesco di Sales non avesse che cinquantasei anni, la sua salute era consumata dalle sue austerità, dalle sue fatiche apostoliche, e presentiva la fine dei suoi giorni; se il corpo però andava deteriorando, il suo amore per Gesù andava sempre più crescendo ed ogni giorno diventava più tenero e ardente. Gli ultimi anni della sua vita furono un continuo esercizio del più puro amore, ardeva di desiderio di accendere tutti i cuori per l'amore di Gesù Cristo, e non parlava d'altro che di questo divino amore. Nell'ultima conferenza che ebbe con le sue figlie della Visitazione, diede loro importantissimi ricordi su questo argomento, e su altre materie di perfezione; infine dopo cinque ore di conferenza, nel licenziarsi lo pregarono di dare loro qualche altro avvertimento, e così rispose: Io già tutto vi dissi in quelle due parole: non desiderate mai nulla, e non rifiutate mai nulla. Non so che più dirvi. Addio.
Predicò la mattina di Natale sopra il mistero del giorno, e il giorno di San Giovanni si accorse che stava perdendo la vista, dicendo ai suoi: La mia vita va mancando, bisogna partire. Vivremo quanto piacerà a Dio. Andò nella casa del duca di Nemours per rimettere in grazia due ufficiali che lo avevano maltrattato, e ne ottenne il perdono. Sulla sera cadde in un deliquio, che fu seguito da un colpo di apoplessia. I padri Gesuiti furono i primi ad accorrere al letto del Santo, il quale vedendoli disse loro: Voi mi vedete, padri miei, in uno stato in cui io non ho bisogno d'altro che della misericordia di Dio. Domandatela a Lui per me: attendo tutto dalla sua bontà. E' già da tanto tempo che io gli feci un totale sacrificio della mia vita. Vennero i medici, i quali non seppero portare al santo altro soccorso che bruciarlo con ferro e fuoco, e con altri crudeli esperimenti che erano soliti praticare in circostanze simili; Francesco soffrì tutto con ammirabile pazienza, e nulla rifiutò per fare non la sua, ma la volontà divina. Si confessò dal padre provinciale della compagnia di Gesù, suo direttore spirituale; ricevette l'olio santo, ma fu costretto ad offrire la privazione del Santissimo Sacramento a causa del continuo vomito fortissimo che lo travagliava.
Il giorno 28 di dicembre, verso le quattro di notte dell'anno 1622, all'età di cinquantasei anni e dopo vent'anni di vescovado, nel giorno dedicato alla gloriosa morte dei Santi Innocenti, dopo che venne recitato per tre volte il salmo: Omnes sancti Innocentes orate pro eo, san Francesco di Sales spirò, consumato dalle fiamme del puro amore di Dio.
Sparsa la voce della sua morte, il concorso e la devozione del popolo fu straordinaria, tanto che al primo tocco delle campane tutta la gente pianse dirottamente per la memoria del loro santo Pastore; nel giorno destinato alla sua sepoltura accorsero tutti i religiosi, e il clero secolare accompagnato da tutti i magistrati, ed un popolo immenso accompagnò il corpo nella chiesa del primo monastero di Annisi, mentre il suo cuore, che si conserva tutt'oggi perfettamente integro, rimase presso le sue dilette figlie di Lione.
Riflessioni
Non mancò la divina bontà di illustrare i meriti e la santità del suo servo con innumerevoli miracoli. Invocato, san Francesco di Sales guariva i ciechi, risanò paralitici, risuscitò addirittura moriti e le sue dilette figliole della Visitazione trassero innumerevoli grazie in ogni luogo dove fondarono un nuovo monastero. Il re Ludovico XIII, essendo caduto in infermità a Lione, desiderò vedere il cuore di s. Francesco, che gli fu portato dal padre spirituale del monastero: appena il monarca lo vide, venne guarito istantaneamente.
Vogliamo approfittare dei suoi virtuosi esempi, delle sue dottrine sparse particolarmente nella sua Filotea, ossia Introduzione alla vita devota, servendoci di questa pratica e facile guida per acquistare la perfezione cristiana. Desideriamo di inseguire quel devotissimo cuore, quel suo dolcissimo spirito, per poter ottenere dalla sua intercessione le grazie necessarie per conseguire la perfezione del nostro stato e per glorificare il Signore.
La dolcezza è sempre stata una compagna inseparabile dalla pietà cristiana; lo zelo troppo austero e indiscreto fu sempre alieno alla carità evangelica. Con la prima si vince, e si abbatte il cuore più indurito; col secondo si inasprisce, e s'indurisce il cuore più docile e tenero. Lo abbiamo visto nelle ammirabili conversioni del santo di Sales, il cui carattere fu sempre pieno di dolcezza, con la quale superò anche l'animo più ostinato e caparbio di innumerevoli eretici. Cerchiamo anche noi di imitare questa sua virtù, e particolarmente se siamo superiori, capi di famiglia, che hanno la responsabilità di avere sotto di sé alcune persone. Una goccia di miele prende molte mosche, mentre un vaso pieno di assenzio neanche una, diceva il nostro Santo. Se i genitori correggessero i loro figli con dolcezza, e la loro correzione fosse accompagnata dal buon esempio, quanto presto li si vedrebbe migliorare! Che se invece non è così, il motivo sono le aspre e colleriche parole con le quali li si riprendono e si avvisano. Preghiamo san Francesco di Sales, che ci ottenga questa necessaria dolcezza.
Veronica Tribbia