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Alle radici del totalitarismo moderno

La pervicacia con cui i parlamenti occidentali continuano a mettere agli atti leggi in antitesi con la morale cristiana, ultima la proposta volta a blindare con una tutela specifica l’omosessualità, ci costringe a riflettere sulle cause fondanti l’attuale onnipotenza legislativa.

Nell’antichità potere religioso e civile erano di norma unificati in unica figura. Con Gesù Cristo l’autorità di Cesare viene riconosciuta e, nel contempo, il potere spirituale viene sottratto allo Stato: è quindi legittimata l'esistenza di due città. I tentativi assolutisti susseguitisi nei secoli ad opera degli ultimi imperatori romani, del partito ghibellino e dei re di Francia, avevano trovato nel papato una decisa e intransigente opposizione. 

La cesura col passato viene preparata da una nuova concezione dello Stato, l’assolutismo, un regime politico in cui il sovrano concentra su di sé l’amministrazione, cancellando i precedenti organi di origine feudale e creando ad hoc, alle sue dirette dipendenze, una nuova efficiente e fedele burocrazia. Egli si libera dei legami col papato romano e sottomette a sé le Chiese operanti nella nazione. Esempi di questo dispotismo, che ancora si mantiene vincolato alla legge naturale, sono i re di Francia Luigi XV e quello di Prussia Federico II, gli imperatori asburgici Maria Teresa e Giuseppe II, e gli zar russi Pietro I e Caterina II.

Con la filosofia moderna sorge una concezione di Stato del tutto secolarizzata. Le sue prime formulazioni sono di tipo contrattualistico: la comunità politica è una costruzione che nasce da un patto iniziale con cui i singoli individui cedono i loro diritti, devolvono il potere ad un’entità altra. 

Il contrattualismo di Hobbes (1588 –1679) è fondato sulla premessa pessimistica che lo stato di natura sia un male da cui fuggire, una “guerra di tutti contro tutti”. Conviene quindi agli uomini rinunciare ad alcune della loro libertà e diritti per ottenere in cambio dallo Stato la tutela della propria vita materiale. Con il patto viene sancita la completa alienazione di tutti i poteri da parte di tutti gli individui a un’entità (il re o un’assemblea) che diventa sovrana (di conseguenza ogni altro componente della società diventa suddito). Al detentore del potere è concesso l’uso illimitato della forza e la facoltà di revocare tutti i diritti, compreso quello di proprietà. Dato poi che i concetti astratti, tra cui bene e male, per Hobbes sono pure convenzioni, è il sovrano con le leggi a stabilire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre per i sudditi è giusto obbedire e ingiusto ribellarsi. Lo Stato unisce le due chiavi del potere, esercitando la sovranità religiosa oltre a quella politica (la Chiesa, stato all'interno dello stato, costituirebbe una potenziale minaccia per il potere del sovrano e dunque va espulsa). 

Rousseau (1712 – 1778), di famiglia ugonotta, ripropone all’opposto il mito dello stato di natura idilliaco e perfetto (bon sauvage). Tale mito, presente sottotraccia nella libellistica calvinista del tempo, indicava il male nella civiltà con le sue sovrastrutture, tra cui in particolare la proprietà privata, produttrice di una disuguaglianza economica e causa di disparità sociali e politiche.

Da una premessa opposta Rousseau arriva però ad una soluzione analoga a quella di Hobbes: per rigenerare l’umanità creando una società libera ed egualitaria, è necessaria la cessione di tutti i poteri da parte di tutti gli individui ad un’entità totalizzante che è la volontà generale: nell’organismo-popolo il cittadino si realizza attuando la sua più autentica volontà, che non può non identificarsi con la volontà di tutti gli altri.

Si tratta di un contrattualismo fondato sulla premessa ottimistica che considera innato negli uomini l’orientamento verso il bene comune.

Anche in Rousseau, lo Stato ha una connotazione assolutistica.

Il filosofo ginevrino, reputa razionale l’obbedienza allo Stato: obbedire alla volontà generale è obbedire alla parte razionale e morale di se stessi, dato che lo Stato per definizione agisce per il bene. I cittadini, pur avendo ceduto i loro diritti alla comunità, sono da considerare liberi, in quanto godono della sola libertà degna di questo nome.

Visto però l’inquinamento esistente, dovuto ai retaggi del passato, diventa fondamentale formare dei veri cittadini, che devono essere liberi da vincoli ed orientati a trascendere il proprio particolare: la nuova società sarà possibile solo se, con una radicale trasmutazione, gli individui saranno trasformati in cittadini.

In materia religiosa, il filosofo francese teorizza una religione civile basata su pochi articoli di fede (la credenza in un essere supremo e nell’immortalità dell’anima) ed una precettistica morale. Spetta al sovrano fissare gli articoli e i precetti di questa fede puramente civile, basata sulla “santità del contratto sociale e delle leggi” e sulla tolleranza di tutte le religioni, tranne quelle che osano “dire che fuori della Chiesa non c’è salvezza” (leggi: cattolicesimo). La Chiesa di Roma va combattuta anche in quanto si pone come un contropotere: solo la religione praticata interiormente è tollerata (come si può constatare, sono le medesime tesi avanzate dal ministro Peillon nel suo libro del 2008 e da lui riproposte nel corso di quest’anno).

Anticipando i ragionamenti dei tribunali totalitari, Rousseau considera irrazionale la dissidenza politica.

I giacobini furono l’espressione più pura e perfetta delle sue teorie, Ma anche la spettrale democrazia attuale, completamente in mano agli oligarchi della finanza globale, è un frutto dell’albero roussoiano.

Osserviamo che lo status naturae, belluino come in Hobbes o innocente come in Rousseau, è una finzione che nega in modo postulatorio l’esistenza di legami sociali naturali, immaginando un modello di uomo astratto, per costruire, a partire da esso, la società nuova e perfetta.

L’idealismo tedesco va oltre il contrattualismo anglo-francese, conferendo allo Stato una potenza numinosa. 

La filosofia di Hegel (1770 – 1831) è essenzialmente una filosofia della storia. Nella storia lo Spirito si realizza attraverso una evoluzione incessante. La dialettica hegeliana prevede che nel processo storico, la distinzione tra contrarie istanze (tesi e antitesi) si risolva in una superiore sintesi, che li fa coesistere in unità. La dialettica dello Spirito, il farsi di Dio nella storia, era una tesi professata negli ambienti estremi della riforma, in polemica con il luteranesimo dei principi tedeschi, mentre la conjunctio oppositorum è uno dei punti chiave della gnosi ermetica (IV secolo), rispolverato nel ‘600 dal mistico protestante Böhme.  

Politicamente, in Hegel lo Stato incarna l'idea collettiva, sintesi superiore delle configgenti idee individuali, ne è il custode e lo strumento esecutivo. Lo Stato hegeliano si auto-concepisce come consustanziale allo Spirito, di cui è la manifestazione nel mondo; un’entità superiore ai particolarismi, investita dalla missione di educare ed emancipare il popolo. 

I politici hegeliani si sono posti e si pongono come coloro che vedono e incarnano il destino della storia, a loro spetta la guida del processo di emancipazione vuoi come statisti (tesi) vuoi come rivoluzionari (antitesi). Stato e rivoluzione, entrambi divinizzati, sono le due facce della medaglia, sono gli unici legittimi soggetti politici della modernità, gli unici cui compete perseguire il bene pubblico: il potere di questo mondo (l’attuale o quello che lo sostituirà) si pone come la massima espressione della realizzazione umana o dello Spirito, che dir si voglia.  

Gli Stati moderni, nati dalle rivoluzioni, sono debitori di tutte le concezioni suesposte: autodeterminazione, eliminazione delle Chiese dalla vita pubblica, drastica rottura con i modi di essere della civiltà precedente, ri-educazione del cittadino. 

In particolare, gli Stati illuministi, nati laici e privi di base sacrale, si sono trovati ad un bivio: o rinunciavano ad una consistente parte del potere assoluto, oppure dovevano confermare la propria legittimità e sovranità con lo strumento dell’ideologia o, meglio ancora, con quello della teologia, accentrando il fattore religioso nel civile. 

Il grande interprete del tomismo Cornelio Fabro lo aveva diagnosticato: "la politica o è religiosa o si sostituisce alla religione. Non esiste una politica neutra".  

Iniziati e marxisti erano consci di questa necessità. Per Guénon il vero potere, viene dall’alto, e “perciò non può essere legittimato che attraverso la sanzione di qualcosa di superiore all’ordine sociale, vale a dire di un’autorità spirituale”. Per Gramsci “è impossibile distruggere la religione dalla coscienza dell’uomo senza nello stesso tempo sostituirla”.

Constatiamo infatti come le istituzioni moderne, pur respingendo con decisione la religione nel privato, non esitano ad assumerne tutta la potenza numinosa, rivestendosi dei miti e della liturgia proprie del culto divino.

I detentori del potere politico hanno giustificato questa usurpazione del fattore religioso in nome di due diverse opzioni: la deista/immanentista (lo Stato è “l’ingresso di Dio nel mondo”) e l’ateista (“non c’è Dio, c’è solo lo Stato”). 

Svincolato da legami spirituali, lo Stato ha preso a poco a poco su di sé il compito di filtrare i comportamenti, condannandone alcuni e premiandone altri. Lo Stato, divenuto unica fonte del diritto, delibera indipendentemente e anche contro quelle che erano in precedenza ritenute norme oggettive e universali. A relegare il diritto naturale tra le morali opinabili, imponendo il positivismo giuridico che riconosce solo il diritto costituito dalle leggi vigenti, è stata la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo (1789). In essa la legge è definita come l'espressione della volontà popolare, cancellando di fatto la distinzione tra norme giuste e ingiuste e sacralizzando come inviolabile ciò che la volontà generale decide di includere tra i “diritti umani” (indietro non si torna).

Si sta percorrendo con moto accelerato il pendio verso uno Stato assoluto, che osa arrogarsi il diritto di stabilire ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è virtuoso e ciò che è anatema e, in modo inaudito, ciò che è vero e ciò che è falso, sia in campo teoretico che in campo storico.

Si ingigantiscono alcuni reati, se ne inventano di nuovi, si depenalizzano altri. In modo sempre più palese si stanno capovolgendo i principi cristiani, proponendo definizioni di normalità e di devianza antitetiche alla dottrina rivelata. 

Si arriva a legiferare contro la realtà. Per rendere testimonianza a Orwell, il governo francese sta riscrivendo il vocabolario, cominciando a cassare come criminosa la parola “razza”. Mentre, per rendere testimonianza alla preveggenza di Huxley, la Spagna ha sostituito nei documenti pubblici le parole padre e madre con le diciture progressivamente stranianti di genitori, coniugi, genitore a e genitore b.

E naturalmente, oltre a stabilire il lecito, il potere punisce il dissenso con pene di una severità intimidatrice. Gli eredi di quelle rivoluzioni che erano sorte allo scopo di liberare l’uomo dalle catene, si stanno affannando nell’imporre sempre nuove restrizioni alla libertà di pensiero, di parola, di ricerca storica, di operatività professionale. 

È superfluo osservare come la proposizione che una legge sia giusta solo perché decretata dal parlamento, sia pure investito da una maggioranza popolare, sia un autoinganno: la storia è piena di codici di diritto, antichi, recenti e attuali, che sono un catalogo di errori; in realtà, al contrario, l’uomo, la famiglia e la società sono detentori di diritti naturali, non negoziabili. La politica, rigettata la Rivelazione tra le opinioni private, non si fa scrupolo di prescindere dai “principi indiscutibili, immutabili” (p. S. Lanzetta), osando anzi impudentemente calpestarli. Contro coloro che si ostinano a non rompere il legame con la luce donataci dal Creatore, i custodi del tempio della laicità agitano lo spettro dell’eteronomia (il voler dipendere da altri), riproponendo l’insinuazione del serpente antico. Concezione del resto comune tra gli adepti di molte società segrete. 

Ma è veramente la volontà popolare il soggetto che legifera? Nietzsche e poi Sartre misero sotto accusa la pretesa di produrre giudizi morali oggettivi in un contesto irreligioso, svelandone la vera natura, quella di maschere indossate dalla volontà di potenza, espressione del diritto del più forte.

Negli Stati illuministi, generati dalle rivoluzioni, la politica si presenta esteriormente priva di limitazioni mentre in realtà è pesantemente condizionata dai centri di potere, dai gruppi di pressione e dalle società segrete. La produzione di molte norme etiche è in realtà un processo dialettico interno alle logge: le concezioni religiose e filosofiche che il sinedrio degli illuminati elabora ed approva, viene poi calato dai diversi pulpiti (università, giornali, spettacolo, parlamenti) per catechizzare la popolazione, colpevolizzando con durezza estrema i comportamenti non omologabili. Solo dopo che una buona parte della società ha introiettato le nuove prescrizioni etiche, si procede alla loro codificazione in leggi e alla repressione dei dissenzienti.

Tutto ciò ha un nome: totalitarismo democratico, come ci ha insegnato Augusto Del Noce.

La più nefasta conseguenza è questa progressiva introiezione delle norme civili. Come inevitabile corollario dell’eclissarsi del potere spirituale, le regole dello Stato gradatamente soppiantano nelle coscienze la legge naturale. Il lecito nelle menti dei politici e di molti cittadini diventa buono in sé e l’illecito naturalmente assume i contorni del male.

Scomparso il senso del peccato, per l’uomo secolarizzato è rimasto solo il crimine sancito dalla legislazione, non esistono delitti extra-giuridici, tutto ciò che la legge esplicitamente non vieta è considerato innocente. I reati diventano peccati e, se le autorità religiose, come alcune stanno cominciando a fare, terranno bordone, i soli peccati sussistenti resteranno gli illeciti contro lo Stato (totalitarismo democlericale).

Se poi il mandante della sovversione non è lo Stato, ma un’entità opaca ed incontrollata come l’Unione Europea, questo non fa che rendere la situazione meno facilmente reversibile.

Tutti, non solo i cattolici sono penalizzati da questo imbarbarimento. La devoluzione di un potere onnipotente alla politica minaccia tutte le persone di buona volontà. Non è il riconoscimento dei diritti dell’uomo che salva l’uomo. Solo il riconoscimento dei diritti di Dio sono in grado di proteggerci dalla prevaricazione del più forte, sia esso singolo individuo, gruppo di pressione o associazione segreta. 

Oreste Sartore