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La fidanzata di Giambattista

LA FIDANZATA DI GIAMBATTISTA

Quella fu una giornata memorabile.

Seduti democraticamente sulla sabbia, passammo in rassegna tutti i problemi della Colonia e li risolvemmo. Per noi, gente per bene, non esistevano difficoltà: religione, economia, politica, lavoro, relazioni esterne… tutto venne organizzato.

Il mio discorso durò una mezzora e gli applausi occuparono ben quindici minuti. Infine volevano portarmi in trionfo. Mi sentivo completamente soddisfatto di me stesso.

Ma ce n’era uno che se ne stava seduto in un angolo, muto e serio come una minaccia di temporale.

“Quello lì è dell’opposizione – pensavo io sbirciandolo – scommetto che è comunista”.

“Ed ora, amici miei, arrivederci. Vado in città. Per chi desidera qualcosa sono a completa disposizione di tutti”.             E come sempre tutti desideravano qualcosa: un rosario, una medicina, un pacchetto di sigarette e via dicendo.

L’uomo dell’opposizione continuava in silenzio.

“E tu, Giambattista, non vuoi niente?”.

Finalmente l’uomo parlò: “Voglio una fidanzata”.

Mi accompagnò fino al cancello del lebbrosario. Lo ispezionai in silenzio: la sua faccia sembrava una piazza senza monumenti, le sue mani…beh, avevo più dita io in una mano che lui nelle due; e il resto del corpo lo si intravvedeva a stento, perduto com’era nella camicia e nei pantaloni.

Non ci capivo niente: “Ma dimmi, Giambattista, e che te ne faresti di una moglie?”.

“Io? Niente… Ma potrebbe essere la mia infermiera… e avrei qualcuno che mi consolerebbe nella vita… Come, le pare poco?”.

No, non mi pareva poco…perché è una cosa terribile la solitudine per un lebbroso.

Nella mia celletta francescana c’è un poco di tutto: candele, fiammiferi, sigarette, vecchie camicie, medicinali, palloni, cappelli, occhiali, giornali, bottiglie, immaginette, rosari. Sarà una vera festa, domani, per i miei lebbrosi.

Ma non c’è la fidanzata per Giambattista. Non l’ho incontrata; dovrò inventargli una storia. E lui ci crederà, poveraccio, perché lui è mezzo comunista e beve tutto.

E ci credette davvero che in Colonia c’era una ragazza cotta di amore per lui. Da quel giorno lo chiamarono - il fidanzato.

Si comprò, Dio solo sa come e dove, una giacchetta bianca, una cravatta rossa e un paio di scarpe bianco/nere.          

Solo i pantaloni erano gli stessi di un tempo, con due grandi rattoppi a ponente. Ma in complesso faceva una gran bella figura, vestito così.

Gli amici gli offrivano profumi e brillantina e la notte gli facevano la serenata.

Ma la ragazza che andava matta per lui non appariva.

“È molto timida, Giambattista, ma quando ti vede passare ti mangia con gli occhi. Perfino in chiesa rimane incantata, guardando te”.

Il fidanzato non perdeva più neanche una Messa.

Ma la lebbra continuava il suo lavoro lento e inesorabile.

E un mattino Giambattista si accorse che non poteva più reggersi in piedi. Lo incontrai in delirio: “Mariuccia…Agnese…Annamaria…”. Sentii un’immensa pena.

“Giambattista…”. Aprì gli occhi a stento, mi riconobbe e sbozzò un sorriso pieno di tristezza e di simpatia. “Ella ti sta aspettando…la Madonna…ora andrai a trovarla: è un viaggio di nozze”.

Ed il fidanzato approvò con un cenno. Difatti doveva essere bello incontrare la Madonna, dopo tanta sofferenza e tanta solitudine.

Il giorno dopo lo portavano già al cimitero. Venne sepolto con il vestito di fidanzato: giacchetta bianca, cravatta rossa e scarpe bianco/nere.

“Ciao Giambattista…”, colsi alcuni fiori al margine della strada e li posi sulla sua tomba, solennemente, come se in quel momento rappresentassi tutte le ragazze d’Italia in un omaggio di gentilezza.

(Fonte: dal libro HO BACIATO UNA BAMBINA - PICCOLE STORIE DEL MIO LEBBROSARIO DI CARPINA - Ed. San Paolo) 


Il fatto, raccontato dapadre Valentino Lazzari, realmente verificatosi nel lebbrosario di Carpina in Brasile, ha l’incommensurabile pregio di squarciare la nostra spesso spensierata (nel senso di vuota) esistenza imponendoci una seria riflessione: pensiamo che la nostra vita, le nostre azioni, non abbiano ripercussioni su nessuno e siamo convinti che la vita degli altri non le abbia sulla nostra.

La verità è l’esatto contrario!

Nel caso del fatto accaduto nel lebbrosario di Carpina  la sofferenza di Giambattista (come risulta dall’amorevole commiato di padre Valentino che sapeva bene il senso di quel dolore) aveva uno scopo: quello di unirsi alla sofferenza patita da Gesù, quindi soffrire ed espiare per gli altri;  nel suo caso riparare e salvaguardare l’esistenza di tante relazioni tra innamorati vissute, potremmo dire, non nella Verità ma nell’oscurità, forse in modo “disordinato”, certamente lontane da ciò che il Signore non vede l’ora di donare a chi lo richiede: la Sua benedizione su quel loro amore!

Mi rendo conto che una tale riflessione possa sconvolgere molte persone e soprattutto molti giovani ma credo che dobbiamo iniziare a guardare ciò che accade nella nostra vita non con i nostri occhi spesso coperti da uno strato impermeabile di egoismo ed egotismo, ma con quelli della fede (San Tommaso diceva che “chi ha fede vede con gli occhi di Dio”): ci accorgeremmo che l’esistenza non si esaurisce  con il nostro piccolo mondo che riteniamo ruoti attorno a noi poiché la nostra dimensione viene costantemente sovrastata da un’ altra realtà che è più grande, che è eterna.

In una testimonianza riportata nel libro di Francesco CastelliPadre Pio sotto inchiesta, l’autobiografia segreta” (edizioni Ares) viene chiarito proprio questo concetto della sofferenza come espiazione per la salvezza degli altri, quando il Santo da Pietralcina raccontò un dialogo avuto con Gesù; padre Pio, dinanzi ai lamenti per “la mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Cristo e più da Lui favoriti”, disse: “Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce:- Ti associo alla mia Passione-. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo-.

Il tema dell’offerta vittimale di se stesso nell’apparizione precedente le stimmate mette in evidenza come l’offerta di padre Pio per la salvezza dei fratelli sia l’aspetto caratteristico della sua vita e della sua missione di sacerdote stimmatizzato.

Certo siamo dinanzi a padre Pio, un uomo santo e come spesso accade in presenza di uomini di tale spessore, si pensa che la santità sia una qualità dell’essere quasi non umana.

Ma padre Pio era una persona in carne ed ossa, così come lo siamo noi, ne più ne meno. Dunque la santità è possibile a tutti ed il cristiano sa che proprio alla santità risiede l’impegno di conformare la sua vita terrena poiché solo in tal modo ci si realizza.

Compreso questo avremo compreso tutto!

Ora, che lo si voglia o meno, ci sono persone che, in base ad un disegno per noi misterioso, sono state individuate dal Signore per una missione speciale, probabilmente perché verso di esse il buon Dio nutre un affetto particolare e una particolare fiducia.

Il problema è che una concezione della vita siffatta ci spaventa: la sofferenza (anche non necessariamente fisica) ci fa paura perché riteniamo ci impedisca di vivere felici, senza fastidi...

Certamente, da un punto di vista prettamente umano, è comprensibile e normale poiché a nessuno, tantomeno a chi si professa cristiano,  è richiesta la ricerca masochistica della sofferenza, tuttavia, se giunge, come rapportarci con essa? Non dovremmo vivere con animo pronto nel richiedere la grazia di comprenderla e uniformarci alla volontà di Cristo? In caso contrario che cristiani (cioè seguaci di Cristo) diamo a intendere di essere? E che ipocriti saremmo se con le parole diciamo di amare Gesù nonostante segretamente riteniamo che ciò vale purché  non ci venga richiesto alcun sacrificio?

Una cosa è certa: il Signore  sa scegliere le persone giuste essendo il Solo capace di conoscerle, individuando quelle che sono in grado e pronte a servirLo accettando la Sua volontà.

È il caso di Giambattista, uomo lebbroso per nulla potente o degno di considerazione agli occhi del mondo, sconosciuto ai più… ma non a Cristo, e che, in apparenza inconsapevole ma in realtà col cuore ben disposto,  accettando la sua sofferenza, nel nascondimento, lontano dai riflettori del mondo, ha espiato le mancanze di tanti ignari giovani, viziati e disinteressati a comprendere il senso della loro vita e per nulla spronati nel conoscere Colui che li ha pensati e voluti venissero ad esistere.

Per tali giovani ingrati, che si credono autosufficienti,  la vita è un assurdo susseguirsi di giorni, il tempo nient’altro che uno scorrere inesorabile di accadimenti senza senso, la vita un noioso e insieme ansioso affannarsi alla ricerca di presunte felicità.

Vivono inconsapevoli che da qualche parte c’è un Giambattista che, per amore di quel Dio che essi non conoscono né vogliono conoscere (perché non lo cercano), si è immolato per salvarli o per tenere lontano il più possibile la collera di Dio su di loro.

Questi giovani dovrebbero imporsi una seria riflessione  e in uno slancio di ritrovata umanità omaggiare con una sentita preghiera l’amore per loro di Gesù e del loro Giambattista!

 

Stefano Arnoldi