La castità nel matrimonio e nella vita consacrata
La castità è comunemente conosciuta come la virtù che impone un’astinenza dal piacere sensuale; la dottrina cattolica spiega in maniera molto più precisa ed edificante questa virtù.
Partendo da una piccola premessa, ricordiamo che le virtù cardinali sono il rimedio alle deficienze dell’anima riscontrate dopo il peccato originale, cioè quelle che riguardano l’intelligenza (difficoltà nel conoscere la verità), la volontà (indebolimento della capacità di volere), l’irascibile (debolezza davanti alla lotta per il bene) e il concupiscibile (desiderio di soddisfare i sensi contro l’uso razionale). La virtù di temperanza è il rimedio contro il concupiscibile, ovvero la moderazione nel desiderio di soddisfare il bisogno del mangiare, bere e riprodursi: la castità è la temperanza nell’ambito della sessualità.
Essa si manifesta in due gradi, perfetta e imperfetta: perfetta quando c’è un’assoluta astinenza dal piacere sensuale, imperfetta quando il desiderio della carne è soddisfatto laddove è lecito, ovvero nel matrimonio.
La castità nel suo grado più perfetto è, come ricorda Papa Pio XII, “per la chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità.” (En. Sacra Virginitas). Non a caso, la castità perfetta viene esercitata da coloro che hanno scelto la vita consacrata, che sta al di sopra della vita coniugale, perché permette di unirsi a Dio più facilmente e più intimamente.
Ricorda ancora San Paolo “Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a Lui... E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1 Cor 7, 32.34). Questo è lo scopo principale e la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi mente e spirito per piacere a Dio in tutto, in anima e corpo servire Lui solo.
La verginità, nell'ambito femminile, è da sempre lodata dai padri della Chiesa non in quanto tale, ma in quanto “consacrata a Dio con devota continenza”. Anzi, si parla di una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e Cristo, e alcuni Padri arrivano a considerare adulterio la violazione del voto fatto: difatti, la vergine viene chiamata “sposa di Dio”. Sant’Ambrogio approfondisce la questione confrontando il rito nuziale con quello della consacrazione delle vergini, sottolineando la grande somiglianza dei due riti.
Agli uomini poi che si sono conservati vergini, Sant’Agostino scrive: “Seguite l'Agnello, perché la carne dell'Agnello è anch'essa vergine... voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos'è infatti seguire se non imitare? Perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, "affinché seguiamo le sue orme" (1 Pt 2, 21).
Vediamo dunque come davvero la strada della vita consacrata sia la più nobile per servire Dio, rimasto anch’esso vergine fino alla morte e nato dalla Vergine. San Fulgenzio lo spiega perfettamente: “È proprio il Figlio unico di Dio e Figlio unico della Vergine, l'unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell'integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell'eternità”.
Pio XII condanna tuttavia chi abbraccia la vita consacrata per sfuggire agli oneri e ai doveri della vita coniugale: “Non possono arrogarsi il merito della verginità quei cristiani e quelle cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant'Agostino, o anche per ostentare con superbia farisaica l'integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità.”
Sempre Sant’Agostino infine, più di tutti, si è dedicato alla correlazione tra verginità e umiltà: egli infatti scrive “La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa... Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l'ha concesso; e "Dio è carità" (1 Gv 4, 8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l'abitazione di tale custode è l'umiltà”.
La castità imperfetta invece, come è stato detto, riguarda il matrimonio, perché il desiderio della carne viene soddisfatto, ma in modo lecito.
Nel matrimonio, la coppia deve osservare la castità in quanto mantenimento della purezza della mente e del corpo, benché parziale, per evitare che il piacere che deriva dalla sessualità prenda il sopravvento sui doveri dei coniugi, sulla loro dignità stessa di persone trasformandoli in oggetto di piacere fine a sé stesso ed accrescendo enormemente il rischio di adulterio.
Riporta ancora Pio XII: “La virtù della castità non pretende da noi l'insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile.”
La castità è infatti un dono dello Spirito Santo, e per mantenere viva questa virtù è indispensabile la preghiera e una vita di grazia. La castità stessa è un elemento fondamentale alla vita della grazia perché disciplina i sensi e la mente, evita le occasioni di peccare, osserva la modestia, modera lo svago, si interessa di occupazioni sane, predispone a una preghiera più costante e sviluppa il santo desiderio dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
I genitori devono essere di esempio verso i figli, oggi fin dalla più tenera età braccati dai mass media che deformano le coscienze e corrompono la loro innocenza, attraverso l’esercizio, appunto, della castità, che mantiene puri il cuore e la mente, accresce l’amore per Dio e il prossimo.
Anche nella castità imperfetta la santità è perfettamente raggiungibile come riporta ancora lo stesso Papa: “È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l'esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno.” Non tutte le anime infatti sono chiamate alla verginità, né la via del matrimonio è biasimata dalla Chiesa: Sant’Ambrogio giustamente nota che la castità non è imposta, ma proposta. La castità perfetta è quindi un consiglio, per giungere con più sicurezza e facilità nel regno dei cieli.
Ma esempi come quelli di San Luigi Martin e Maria Zelia Guerin (genitori di santa Teresa di Lisieaux), Santa Felicita (madre dei sette santi fratelli di Roma), beato Ludovico e Santa Elisabetta d'Ungheria, Santa Monica (madre di S. Agostino), Santa Margherita di Scozia, madri e padri dall’energia, dalla forza e dalla carità instancabili, confermano come la via del Paradiso sia perfettamente percorribile da coloro che non hanno praticato la castità perfetta ma che hanno saputo eccellere nei loro doveri verso Dio e il prossimo.
Ancora, esistono i matrimoni di castità, cioè quelle unioni che rinunciano deliberatamente al primo bene del matrimonio, cioè la prole, per rafforzare il secondo bene, cioè quello del mutuo soccorso, preoccupandosi esclusivamente della santificazione delle anime e, poiché nel secondo bene è compreso il rimedio contro la concupiscenza, in questo caso è superato dall’esercizio della castità perfetta. Questo tipo di unioni sono possibili e anzi tenute in alta considerazione dalla Chiesa, basti pensare all’unione di Maria SS. e San Giuseppe, i quali, prima che avvenisse l’Annunciazione di Maria e quindi l’Incarnazione del Verbo, avevano scelto un matrimonio casto per preservare appunto sia la purezza del corpo che dello spirito.
Elisabetta Tribbia