S. Luigi Gonzaga
Aforisma
“Dio mi indica la vera felicità”.
La vita
S. Luigi Gonzaga nacque a Castiglione delle Stiviere presso Mantova, il 9 marzo 1568. Il parto fu molto difficile tanto da far temere per la vita della madre e del bambino, ma un voto alla Madonna di Loreto fece risolvere la situazione. Mamma Marta, contessa Tana di Santena, avviò il figlio fin da piccolo alla preghiera, mentre il padre Ferrante Gonzaga, appartenente alla corte spagnola di Federico II, cercò di indurlo subito alla vita militare portandolo con sé, a soli quattro anni, nella caserma di Casalmaggiore sul Po. Il piccolo Luigi, affascinato dalle armi da fuoco, una notte prese di nascosto della polvere da sparo e caricò un pezzo d’artiglieria. Con una buona dose d’incoscienza sparò, rischiando di essere schiacciato dal retrocedere dell’arma.
In caserma assimilò il volgare linguaggio dei soldati senza peraltro capirne bene il significato. Quella polvere sottratta e quella parlata oscena furono probabilmente le uniche mancanze della sua infanzia, il cui rimorso lo accompagnerà fino alla morte. All’età di sette anni avvenne la conversione: iniziò a recitare per diverse ore al giorno le orazioni “ordinarie”, i sette salmi penitenziali, l’ufficio della Madonna e i quindici salmi graduali.
Nel 1577 si traferì con la famiglia a Firenze presso la corte del granduca Francesco de’ Medici. Iniziò qui gli studi ma, soprattutto, crebbe nella fede. Un giorno, durante una delle numerose confessioni, svenne dallo spavento al pensiero dei rischi che la sua anima correva se non rinunciava completamente alle piccole mancanze che, raramente, commetteva. Sviluppò una profondissima devozione alla madonna. Frequentava spesso il santuario della SS. Annunziata e il 25 marzo 1578, davanti al quadro della Vergine, fece con grande gioia voto di perpetua castità. La Madonna ricambiò donandogli la grazia di non subire più alcuna tentazione contro la purezza. Sentiva il desiderio di donarsi interamente a Dio. Quando una fastidiosa cistite gli impose una dura astinenza dal cibo e dalle bevande, benedì la malattia perché poteva offrire nuovi sacrifici e mortificazioni al suo amatissimo Dio. Il 22 luglio 1580 ricevette la Santa Eucaristia direttamente dalle mani del cardinale Carlo Borromeo, che volle amministragliela dopo aver appreso che già da tre anni si confessava.
Durante il soggiorno spagnolo del 1581 come paggio d’onore del principino Diego, Luigi si rese sempre più conto della vanità e dell’inconsistenza della vita di corte, verso la quale sentiva crescere sempre più la propria avversione. Pertanto volse il suo impegno verso gli studi di filosofia e lo sviluppo dell’orazione mentale, arrivando a dedicargli fino a cinque ore al giorno. Leggendo un libretto del beato Pietro Canisio rimase molto impressionato dall’intensa attività missionaria dei Gesuiti. Sarà proprio questa la congregazione in cui Luigi entrerà nel 1583 per soddisfare il suo desiderio di donazione totale a Dio. Il padre si oppose aspramente a questa decisione. Cercò in ogni maniera di fargli cambiare opinione, avendo per Luigi ben altri progetti. Ma in breve tempo si dovette arrendere all’autenticità della vocazione di Luigi, che potè così entrare nel noviziato dei Gesuiti di Roma il 25 novembre 1585, dopo aver rinunciato all’eredità del principato a favore del fratello minore Rodolfo.
Subito intraprese il cammino con ardore e slancio. Anzi, la preoccupazione maggiore dei superiori di Luigi fu quella di addolcire il più possibile le sue aspre pratiche di penitenza. Profondamente umile e obbediente, raggiunse ben presto un’intensa unione mistica con Dio, al quale si rivolgeva spesso con estrema familiarità nella preghiera.
La carità ardente lo conduceva a visitare spesso gli ammalati più trascurati, oltre a prodigarsi per ricomporre le discordie tra gli uomini (come quella tra suo fratello Rodolfo e il duca di Mantova che si contendevano la signoria del castello di Solferino). Nel novembre del 1590 si trasferì a Roma dove incominciò il quarto anno di teologia presso il Collegio Romano. In quel periodo la città era alle prese con una devastante epidemia di tifo. L’amore al prossimo lo spinse a supplicare i superiori per permettergli gli soccorrere i contagiati, forte anche della sua esperienza negli ospedali. I Padri, per evitare il pericolo della contaminazione, gli permisero di visitare solo l’Ospedale di Santa Maria della Consolazione dove vi erano i malati meno gravi.
Un giorno incontrò per strada un ammalato che giaceva per terra abbandonato. Senza pensarci troppo se lo caricò sulle spalle per trasportarlo all’ospedale. Fu proprio questo contatto che gli fece contrarre la terribile malattia che lo consegnerà alla morte il 21 giugno 1591, all’età di ventitré anni. Pio XI nel 1926 lo confermò patrono della gioventù, in particolare quella dedita allo studio.
Elisabetta Tribbia