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La fuga dalla domanda fatidica

Contraddittoria. Questa è la parola che mi viene subito in mente per descrivere la realtà che abbiamo dinanzi agli occhi. Di questi tempi infatti si assiste da un lato ad una società allarmata alla disperata ricerca di soluzioni alla crisi economica che imperversa paurosamente ormai da anni, dall’altro alla stessa società che non ne vuole proprio sapere di riflettere se non si sia reso urgente ormai un cambiamento di registro nella propria vita sia umana, cioè a contatto con gli altri, che spirituale…del resto, se siamo convinti che i problemi siano solo di natura economica e che la crisi in atto sia esclusivamente un prodotto del mondo finanziario, stiamo andando fuori del seminato.

Tutto deriva dal perverso utilizzo che si è fatto degli strumenti finanziari anteponendo l’interesse personalistico ai valori morali e al bene comune; tutto deriva dalla scelta dell’uomo di ritenersi autosufficiente cioè dio al posto di Dio: il Papa da tempo lo va ripetendo e pure scrivendo…ma chi si prende più la briga di ascoltare un uomo che, a quanto si dice, è “semplicemente” il Vicario di Cristo in Terra?

Risulta pur vero che di etica e della sua necessità si sente ormai parlare dappertutto… peccato però se sempre in maniera astratta, senza cioè approfondire l’argomento per il semplice motivo che è ben lungi l’interesse di farlo. Così non rimane che aria fritta e nulla più: risulta utile citare tale termine per gettare continuamente fumo negli occhi ai propri interlocutori, perseguendo il solito fine: apparire per quello che non si è. Vien da chiedersi da dove provenga un atteggiamento tanto meschino, che fa della falsità la propria regola di vita…

Personalmente sono convinto che tutto parta da qui: l’uomo di oggi pare abbia rinunciato a porsi la domanda fatidica: perché sono al mondo? Domanda scomoda, certamente…interrogativo anche angosciante per certi versi, e anche questo è vero…ma una risposta va necessariamente trovata perché solo così si potrà accedere al secondo, decisivo, quesito: e qual’ è, di conseguenza, la mia vocazione? Cioè: che cosa devo fare, e come devo fare?  

La sensazione è che, riferendosi in particolare al mondo giovanile, ci siano molti intelligentoni (che si credono tali in quanto si descrivono modernisti, al passo coi tempi…) che hanno deciso di derubricare la soluzione di questo dilemma al pari del quesito “è nato prima l’uovo o la gallina?”: impossibile trovare una risposta …. E quindi non si risponde, pensando che aggirare l’ostacolo equivalga a superarlo; ma non si avvedono che il fatto di non decidere è esso stesso una decisione, ed equivale alla scelta di vita più stolta e insensata poiché si lascia ciò che di più prezioso si ha nelle mani - se stessi -  in balia del non senso, finendo per vivere senza perché, gettando alle ortiche un’occasione unica e irripetibile che è la vita e il vivere “in pienezza” (scoprendo e realizzando la propria vocazione). Ora, se si decide di non dare risposta alla domanda fatidica, che ne è della comprensione della propria vocazione? Eppure intelligentoni, si diceva…ma c’è chi li chiamerebbe con un altro termine che finisce sempre per “oni”…

Molti sono anche coloro che ricorrono alla furbizia più becera e squallida, convinti che gli altri, Padreterno compreso, lo siano sempre quel pizzico meno di loro: per costoro, la decisione di accantonare l’impegnativo interrogativo rappresenta la scelta di una voluta posizione di comodo: dal momento che decido di non decidere (perché trovo comodo non farlo), mi sento libero di fare tutto ciò che mi pare, convinto con l’autoinganno che così facendo, in merito alla responsabilità delle proprie azioni, ci si possa avvalere se non altro di numerose attenuanti. Ma ricorrere alla furbizia si rivela sempre un giochino pericoloso perché in fondo si sa che un simile atteggiamento non equivale ad una causa esimente ma ad una aggravante: possiamo pensare di prendere per il naso chicchessia ma non certo Dio che, piaccia o meno, conserva su ciascuno di noi un’indelebile potestà e presto o tardi a Lui e a Lui solo dovremo rendere conto di ciò che abbiamo deciso di essere…

Ci sono poi coloro che assumono un curioso atteggiamento dinanzi alla questione: trattasi di quelle persone, descritte (o meglio dire, smascherate) da  Kierkegaard, che lasciano sfogare il proprio orgoglio celato, prigionieri della propria arroganza. “Esiste una terribile passione – scrive il filosofo danese - che tu consideri come un’esigenza alla quale non intendi rinunziare: vuoi considerarti nel mondo come un creditore che non è stato pagato, piuttosto che annullare questa esigenza”.

In altre parole si tratta di chi piange continuamente su se stesso arrivando ad abbracciare morbosamente le proprie sofferenze e per nulla intenzionato a volerle superare (al contrario, lavora per conservarle!) poiché è convinto che il ritenere di non aver ricevuto quanto gli si aspettava lo ponga dinanzi alla Provvidenza come “un creditore che non è stato pagato”, acquisendo così il diritto di lamentarsi continuamente (e comportarsi, di ripicca, libero da vincoli etici e morali), con la conseguente quanto incomprensibile pretesa di rivendicare una sorta di autorizzazione ad essere esentato dall’impegno di rispondere alla domanda fatidica.

Suvvia! Basta fingere! Troviamo la forza di fermarci e riflettere su dove abbiamo indirizzato la nostra vita!  

Decidiamo una volta per tutte chi vogliamo essere: persone che ritengono di non aver bisogno di nessuno (anche se quel nessuno si chiamasse Dio) e tantomeno di non aver bisogno di inginocchiarsi dinanzi al loro Creatore (e allora, visti il percorso che si è deciso di seguire e i risultati a cui assistiamo di questi tempi: tanti auguri!) o persone che decidono di non mutilare l’innato impulso di incontraLo.

Sant’Agostino scriveva nelle Confessioni: “Inquieto il mio cuore finché non riposa in Te”, avendo ben compreso che solo accostandosi a Dio, solo incontrando e toccando Gesù (sì, proprio toccando Gesù: ci dice qualcosa la parola “Sacramenti”?), l’uomo diventa migliore e diventando migliore trasforma la società in cui vive in una realtà veramente umana, riuscendo a sfiorare se non a raggiungere quelle serenità e felicità tanto agognate…in fondo si cercano chissà quali pozioni per risolvere le tanti crisi (tra cui quella finanziaria) che assillano la realtà che viviamo, ma la soluzione è sotto il nostro naso pinocchioso, tanto lungo quanto il numero di menzogne che abbiamo costruito e alle quali abbiamo codardamente deciso di credere e sottometterci. 

 

Stefano Arnoldi