Parte istruttiva

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PARTE ISTRUTTIVA o Messa dei Catecumeni

a) Le preghiere ai piedi dell’altare

La Messa comincia con delle preghiere recitate dal Sacerdote ai piedi dei gradini, per indicare che egli non si ritiene degno di salire all’altare. In particolare egli recita il Salmo 42, che esprime il suo desiderio di offrire il Sacrificio, e il Confiteor in cui riconosce i suoi peccati e si umilia chiedendo ai Santi e ai ministri di pregare perché Dio lo perdoni. Anche i ministri recitano poi il loro Confiteor.

Da notare che queste preghiere rappresentano la preparazione privata del Sacerdote: infatti furono introdotte gradualmente circa mille anni fa per aiutare il Sacerdote ad avere questi sentimenti di umiltà e contrizione, e nella Messa cantata sono recitate a voce bassa mentre si esegue l’Introito. Inizialmente potevano essere recitate in Sacrestia, poi andando all’altare, infine si scelse di dirle ai piedi dell’altare medesimo.

b) Saluto e venerazione dell’altare

Il Sacerdote a questo punto sale all’altare. L’altare è il simbolo di Gesù Cristo, come si è detto. Il bacio del Sacerdote è un saluto a Gesù e un atto di venerazione delle reliquie dei martiri chiuse nell’altare.

L’altare viene allora incensato dal Sacerdote. L’incenso benedetto ha innanzitutto funzione di purificazione (come l’Acqua Santa) e scaccia gli spiriti maligni che vagano nell’aria; inoltre è un segno di onore e simbolo della preghiera che sale verso Dio. Dopo essere stato egli stesso incensato dal Diacono il Sacerdote legge l’Introito, che anticamente veniva cantato durante la processione verso l’altare. Oggi laSchola lo canta mentre il celebrante recita le preghiere ai piedi dell’altare. L’Introito è un’antifona, il cui testo è tratto generalmente dai Salmi, ripetuta dopo un versetto. Anticamente si ripeteva tante volte quante erano necessarie a coprire la processione del Clero verso l’altare. Il Suddiacono del Papa, quando la processione entrava, agitava il manipolo del Pontefice per far segno alla Schola di intonarlo, così come gli antichi magistrati romani agitavano la mappula per dar inizio ai giochi del circo. Ancor oggi, alla Messa dei Vescovi, il Suddiacono entra tenendo nell’Evangeliario il manipolo del Celebrante.
Poi il coro canta il Kyrie eleison (che significa “Signore abbi pietà”), antica supplica in greco rivolta al Cristo, che il Sacerdote legge. Sarebbe ciò che resta di un’antica preghiera litanica, che era recitata anche fuori dalla Messa o nelle processioni; chiedeva la misericordia di Dio per una serie di intenzioni. All’inizio si ripeteva finché il Papa, giunto al suo Trono nell’abside e rivolto verso Oriente, non facesse segno di cessare. San Gregorio Magno (fine del VI secolo) fissò a nove il numero delle invocazioni: tre Kyrie, tre Christe e tre Kyrie. Secondo alcuni autori i primi tre Kyrie sono rivolti al Padre, i tre Christe al Figlio e gli ultimi tre Kyrie allo Spirito Santo.

c) Il Gloria o Inno Angelico

Anticamente il Gloria non era cantato nel corso della Messa ma all’aurora, al termine delle veglie di preghiera che duravano tutta la notte (e che divennero poi il Mattutino). Era recitato già in tempi antichissimi nella sua versione greca: Plinio il Giovane nella sua famosa lettera sui Cristiani all’Imperatore Traiano, parla del “canto a Cristo come a Dio” cantato all’alba nelle riunioni cristiane. Il suo testo comincia con le parole degli angeli nella notte di Natale, ed è una lode alle tre persone divine (ecco perché si fa il segno di croce alla fine). Verso il 530 ilLiber Pontificalis, che raccoglie notizie sulla vita dei Papi antichi, ci segnala che il Papa san Telesforo (+ 136) avrebbe ordinato di recitarlo durante la Messa di Natale; nel 514 Papa Simmaco permette ai Vescovi soli di dirlo la Domenica e nelle feste. Verso la fine dell’XI secolo il canto del Gloria si estese ad altre feste ed anche ai semplici Sacerdoti. Oggi si recita in tutte le feste dei Santi e nelle domeniche (tranne in Avvento, Settuagesima e Quaresima).
Il testo del Gloria nella sua versione più antica conteneva le più svariate suppliche.

d) La Colletta

A questo punto il Sacerdote bacia l’altare per salutare il Cristo prima di salutare i fedeli: egli riceve dal Cristo la grazia che comunica ai fedeli dicendo: “Dominus vobiscum” (“Il Signore sia con voi”). I fedeli rispondono ricambiando quest’augurio. Poi il Sacerdote invita tutti alla preghiera dicendo: “Oremus” (“Preghiamo”). Allora recita la Colletta, così chiamata perché raccoglie le suppliche di tutti i presenti in una sola preghiera. Una buona parte delle Collette ha origini molto antiche e ci è tramandata dai Sacramentari (antichi Messali). I più importanti Sacramentari del rito romano sono tre: il Leoniano, il Gelasiano e il Gregoriano (dal nome dei tre Papi che li avrebbero composti). Nell’antica liturgia romana la Colletta era recitata al riunirsi dei fedeli per la grande processione per recarsi alla Chiesa dove si celebrava la Messa. Le Collette terminano tutte chiedendo l’intercessione di Gesù Cristo il quale ha detto: “Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome ve la concederà”.
Il contenuto della Colletta è generale ed è legato alla festa o al periodo liturgico che si celebra.

e) L’Epistola

Dai tempi degli Apostoli, certamente sul modello delle riunioni nelle sinagoghe, è d’uso in tutti i riti d’Oriente e d’Occidente leggere dei brani della Santa Scrittura per istruire i fedeli e disporre gli animi a ricevere bene la Comunione. Nel rito romano queste letture sono generalmente due: la prima è detta Epistola perché è spesso tratta dalle lettere di San Paolo, la seconda è il Vangelo.
L’Epistola viene letta al lato destro dell’altare; colui che legge è rivolto verso l’altare stesso. Viene letta nella Messa Solenne dal Suddiacono, nella Messa Cantata dal Lettore e nella Messa Bassa dal Sacerdote stesso.
L’Epistola è scelta in relazione al giorno o alla festa che si sta celebrando. Il ciclo delle Epistole e dei Vangeli è fissato da molti secoli, anche se nei primi tempi ogni singolo Vescovo poteva scegliere le letture che riteneva più opportune.

f) I canti tra le letture

Per separare l’Epistola dal Vangelo si cantano dei brani generalmente tratti dai Salmi. Nei tempi normali, il coro canta il Graduale (così detto perché si cantava sui gradini dell’altare) e l’Alleluia (termine ebraico che significa “Lodate Dio”). L’Alleluia si sviluppa in lunghi melismi, segno di gioia. Durante la Settuagesima e la Quaresima, l’Alleluia è sostituito dal Tratto, un salmo che era cantato in tono lamentoso da un solista (oggi a cori alterni). Nel tempo Pasquale si omette il Graduale e si cantano due Alleluia. Nel Medioevo si introdussero le Sequenze, testi di composizione ecclesiastica in versi poetici. Nell’attuale Messale ne restano cinque: a Pasqua il Victimae Paschali, a Pentecoste il Veni Sancte Spiritus, al Corpus Domini il Lauda Sion, alle due feste della Madonna dei Sette Dolori lo Stabat Mater, alla Messa da morto il Dies Irae.

g) Il Vangelo

A questo punto si canta la più importante delle letture che ci riferisce le parole stesse di Nostro Signore Gesù Cristo. Viene cantato con solennità dal Diacono dal lato sinistro dell’altare. Nei tempi antichi, quando il Vescovo sedeva in fondo all’abside e le chiese erano orientate (cioè girate verso Est, dove sorge il sole, simbolo della luce del Cristo che illumina ogni uomo), il Diacono cantava avendo alla sua sinistra il Vescovo (o il Prete) e alla sua destra i fedeli, in modo da essere rivolto ad entrambi contemporaneamente.
Così facendo, tuttavia, il Diacono si trovava rivolto verso le donne, il che era reputato sconveniente. Lo si girò allora verso la parete, cioè verso Nord.
A questa nuova posizione si diede un significato simbolico: il Nord essendo il lato delle tenebre, si volle indicare che il Vangelo illumina gli uomini seduti “nell’ombra della morte”. Siccome poi da Nord venivano contro Roma gli invasori Longobardi, si disse anche che il Vangelo era cantato contro di loro.
Prima di cominciare il canto del Vangelo il Diacono recita una preghiera e riceve la benedizione dal Sacerdote; poi si reca in processione al luogo in cui deve cantare: è accompagnato dagli accoliti che portano le candele (simbolo della luce del Vangelo) e dall’incenso, mentre il Suddiacono porta il libro.
Il Diacono saluta i fedeli e legge il titolo segnandosi sulla fronte, sulle labbra e sul petto, poi incensa il libro in segno di onore per le parole del Vangelo. Al termine della lettura il Suddiacono porta il libro dal Celebrante per farlo baciare; il Diacono incensa il Celebrante perché sia santificato dal fumo che è stato in contatto con le sante parole del Vangelo.Nelle Messe senza ministri superiori il Vangelo è cantato o letto dal celebrante stesso, dopo che il messale è stato trasportato dal lato sinistro dell’altare, in modo da essere sempre rivolto verso il Nord, almeno simbolicamente.
Al Vangelo può far seguito la predica o omelia, durante la quale il celebrante o altro predicatore commenta le letture, o tratta di articoli di fede o morale, o tesse l’elogio di un Santo. Pratica certamente di origine apostolica, fu resa obbligatoria dal Concilio Tridentino nelle Parrocchie e nelle Cattedrali almeno ogni domenica e festa di precetto.
A questo punto della Messa, nei tempi antichi e secondo l’antica disciplina prebattesimale, venivano rinviati i catecumeni, che non potevano assistere alla parte sacrificale della Messa non essendo in grado di ricevere i frutti del sacrificio e di conoscere i misteri eucaristici. Altre formule di rinvio servivano ad allontanare gli eretici, i penitenti pubblici, gli sfaccendati etc., in modo che fossero presenti al sacrificio solo quanti erano capaci di riceverne i frutti.

h) Il Credo o Simbolo Niceno-Costantinopolitano

Nelle domeniche e in alcune festività più solenni a questo punto si recita il Credo. La formula usata nella Messa è quella elaborata dal Concilio di Nicea (325) e dal Concilio di Costantinopoli (381). Inizialmente serviva nel battesimo (ecco perché è recitato al singolare). L’idea di farlo recitare nella Messa si fece strada inizialmente in Oriente, dove le controversie dottrinali rendevano necessaria la proclamazione pubblica e collettiva della vera Fede. Questa regola fu specialmente voluta dagli Imperatori bizantini, preoccupati dell’unità di fede dei loro sudditi. In Occidente l’introduzione del Credo nella Messa avvenne più tardivamente e soprattutto in tempi diversi secondo le regioni. Se in Francia e in Germania Carlo Magno e altri sovrani franchi ne accelerarono la diffusione, l’uso era sconosciuto a Roma ancora nell’XI secolo. Fu infatti l’Imperatore sant’Enrico II ad insistere presso il Papa Benedetto IX perché l’introducesse anche a Roma.
L’attuale posizione del Credo nella Messa Romana indica l’adesione dei fedeli alle verità proclamate dalle letture nella parte istruttiva della Messa. Si genuflette alle parole “ET INCARNATUS EST…” per riverenza all’Incarnazione del Signore; e ci si segna alla fine perché sono state nominate le tre persone della Trinità. 

 

Don Mauro Tranquillo (sanpiox.it) 


Documento stampato il 29/03/2024