La scelta di costruire una vera relazione d'amore

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Qualche giorno orsono l’Istat ha pubblicato le percentuali relative alle separazioni e ai divorzi: ne risulta un quadro della società devastante.  Ma a ben vedere, tali percentuali non possono sorprenderci più di tanto perché nella società del progresso è ben noto che piuttosto che costruire una relazione stabile, definitiva, piuttosto che sposarsi, risulta preferibile sentire l’ebbrezza della libertà pensando di fare l’esatto opposto di ciò che ci suggerisce la retta coscienza e il cuore: meglio lasciarsi trasportare dal sentimento e quindi ad esempio trascorrere le vacanze con la persona di cui ci si sente attratti come se si fosse già sposati, meglio convivere sentendosi emancipati e maturi piuttosto che fondare un vincolo d’amore indissolubile…insomma, meglio seguire gli istinti (e se trasgressivi, tanto meglio) che albergano in noi con tanti saluti all’insegnamento bigotto (si dice così, non è vero?) proposto dalla Chiesa cattolica (quella veramente cattolica, per intenderci).

Piaccia o meno, infatti, la vera Chiesa cattolica, che ha a cuore l’uomo,  non si è mai scostata di un millimetro dall’insegnamento sull’amore che ha ereditato da Cristo e non si è mai stancata di dire la verità sul matrimonio, sottolineandone l’estrema e nobilissima importanza: vincolo sacramentale, indissolubile… al contrario, la chiesa falsa, quella tutta intenta a piacere al mondo piuttosto che a Colui che l’ha creata e voluta per salvare l’uomo, farneticando sui temi relativi alla contraccezione, alla sessualità e via dicendo, sostiene il bisogno di stare al passo con i tempi, aggiornandosi  nella modernità…ciò dimostrando in realtà che più che al passo con i tempi quella chiesa va a spasso con i tempi, cioè alla deriva, avendo abbracciato eresie e depravazioni di ogni genere.

Allora qui è bene chiedersi una volta per tutte: è possibile oggi vivere la sessualità e costruire un vero rapporto d’amore così come ci è stato indicato da Cristo? Ci sono ancora giovani che intendono l’amore al netto del proprio egoismo, come un impegno per costruire in quel rapporto la testimonianza di quanto sia bello e strepitoso vivere nella Verità? È possibile trovare oggigiorno giovani che intendono la relazione di coppia con serietà e rispetto e che vedono nel matrimonio il mezzo per santificarsi mediante quel legame speciale con la persona amata?

Ma forse è proprio questo il punto: siamo consapevoli di cosa significhi amare? Siamo consapevoli di cosa significhi sposarsi?

La realtà che sta davanti agli occhi non lascia spazio ad illusioni: tutto è banalizzato e degradato (soprattutto il sesso).

Spesso si cade preda di una visione assai limitata: se non si sente la vocazione sacerdotale, significa che ci si deve sposare (primo errore grossolano); e se ci si convince della seconda ipotesi, più che sposarsi si cercherà una relazione con una persona che riempia più la paura della solitudine o le proprie voglie fisiche (secondo errore disastroso) piuttosto che impegnarsi in una relazione profonda che possa anche solo ipotizzare una certa dose di fatica nello smussare gli spigoli del proprio egoismo.

Una visione siffatta del proprio esistere smaschera in realtà una concezione della vita ben precisa: quella che mette se stessi al centro dell’universo mondo dove tutto e tutti devono girarvi intorno. D'altronde, io devo essere felice, se non lo sono più ecco che deve essere facile sganciarsi da qualsiasi responsabilità, e passare oltre.

Così facendo non ci si illuda di trovare quella serenità tanto agognata e nemmeno si pensi di poter scaricare i propri fallimenti o insoddisfazioni sempre sugli altri e su un destino che ci ha voltato le spalle. Se intendiamo vivere la nostra vita senza sapere perché siamo al mondo, ci sobbarchiamo un viaggio con un grosso handicap: se non so da dove vengo, come posso sapere dove devo andare? Se ignoro la verità circa l’uomo, come posso pretendere di conoscere la verità sull’amore? Se non so chi sono non potrò nemmeno conoscere l’altro, a maggior ragione se quest’altro è colei/colui che dico di amare! Alla fine, non conoscendo l’amore non potrò certo essere in grado di amare ma solo capace di fare confusione: si può parlare di diritto di essere felici o non, forse, di dovere di rendere felici? Ciò nel senso: amare significa più ricevere che dare, o più dare che ricevere? E ancora: il matrimonio (ma ciò vale in parte anche per una sincera relazione affettiva) è un contratto che ha valore “finché non staremo bene insieme”, oppure richiede anche il battersi con tutto se stessi per la sopravvivenza e la conquista di quell’amore tanto speciale?…

Queste domande non solo richiedono una risposta, la esigono… per il bene nostro innanzitutto, ma anche nei confronti della persona amata,  al fine di evitarci grosse sofferenze e grossi guai. Alla fine infatti la verità emergerà poiché è una legge incontrovertibile, naturale: prima o poi ciò che è vero si materializza e allora ognuno raccoglierà ciò che ha seminato. In quel momento, per arginare la delusione e la disperazione, non si potrà dire: non ho potuto conoscere l’amore…no, in realtà, non ho voluto conoscere l’amore. Tutto ha inizio sempre con una scelta: la nostra.

 

Stefano Arnoldi 


Documento stampato il 19/04/2024