La vita
San Giacomo detto il “maggiore”, per essere distinto dall'apostolo omonimo Giacomo d'Alfeo, era figlio di Zebedeo e di Salome, nativo di Betsaida, città della Galilea distante due leghe da Cafarnao, situata sulla spiaggia del lago di Genesaret. Egli aveva un fratello minore, di nome Giovanni, che fu poi il santo Evangelista: tutti e due, per merito della buona madre, la quale fu una delle prime a seguir Gesù Cristo e ad ascoltare avidamente la sua parola, si recavano spesso ad ascoltare il Salvatore, ogniqualvolta il loro mestiere da pescatori lo permetteva. I loro cuori erano rapiti dalla presenza e dai discorsi del nuovo Maestro, ma decisero di seguirlo solo dopo qualche mese.
Un giorno tutti e due i fratelli erano nella barca con il loro padre Zebedeo; erano stanchi e mesti, perché si erano affaticati tutta la notte senza poter prendere niente. Quando venne sulla spiaggia Gesù, seguito da una grande moltitudine di popolo, poiché veniva quasi oppresso da tanta gente, salì sulla barca di san Pietro, e dopo aver compreso la triste pesca fatta nella notte, il Salvatore gli ordinò di avanzare in alto mare e di gettare nuovamente le reti. Pietro si affidò al suo Maestro, e la pesca fu così abbondante che la rete quasi si rompeva, e il buon apostolo fu costretto a chiamare Giacomo e Giovanni in soccorso. Le due barche si riempirono di un così gran numero di pesci, che quasi andarono a fondo. Per un tale miracolo, i due fratelli pescatori si affezionarono ancora di più a Gesù, e nacque in loro un profondo rispetto verso il Salvatore. Avvenne che di lì a pochi giorni, camminando il Redentore sulle sponde del lago di Genesaret e veduti Giacomo e Giovanni nella loro barca, che insieme col padre sistemavano le reti, li chiamò perché Lo seguissero e i due fratelli, obbedienti a quella voce divina, lasciati senza tardare neppure un momento le reti, la barca e i parenti, si misero a seguirlo.
Questi due fratelli, vista la loro pronta obbedienza senza alcuna esitazione, il loro staccamento perfetto da ogni cosa terrena e la loro saggia condotta, divennero due dei più favoriti del divino Messia, di modo che in certe azioni e in certi miracoli che compì li volle come testimoni, distinguendoli durante la sua vita mortale con singolari contrassegni di confidenza e di tenerezza.
Una tal predilezione ispirò nel cuore della madre e dei figli sentimenti di così dura tempra, che ben conoscevano quanto la loro virtù fosse ancora imperfetta e quanto debole fosse la loro conoscenza delle verità e dei principi della fede che dovevano professare. Il Fglio di Dio aveva detto che i dodici apostoli si sarebbero seduti con Lui sopra i dodici troni per giudicare le dodici tribù d'Israele, ma non aveva detto quali di essi sarebbero stati più vicini a Lui. La madre, ben consapevole della bontà particolare che Gesù Cristo nutriva verso i due figli, non dubitò di domandare per loro i due primi posti, e così si presentò un giorno al Redentore, Lo adorò profondamente, e Lo supplicò di permetterle di domandargli una grazia: “Maestro - gli disse con molta confidenza e familiarità – vi domando che permettiate ai miei due figli di sedere nel vostro regno uno alla vostra destra e l'altro alla sinistra”. Il Salvatore, rivolto ai due fratelli vicini alla loro genitrice, senza rinfacciargli la loro ambizione, si mise ad istruirli e diede loro lezioni importanti di umiltà, e assicurò loro che se volevano essere grandi nel suo regno, dovevano prima aver parte del suo amaro calice e rendersi piccioli ed umili in questo mondo.
Non per questo si raffreddò l'amore e lo zelo dei due discepoli verso il loro Maestro. Voleva un giorno entrare Gesù in un certo castello della provincia di Samaria, ma quei samaritani nemici degli ebrei dopo il loro scisma, gli chiusero in faccia le porte. Stavano in sua compagnia Giacomo e Giovanni, ed offesi per l'affronto fatto al Maestro, gli domandarono di far discendere fuoco dal cielo per sterminare quegli scellerati. Il Redentore represse la troppa vivacità del loro zelo, insegnando loro che lo spirito del Vangelo, ch’Egli annunciava, non era uno spirito di rigore, come quello della legge antica, ma uno spirito di dolcezza e di carità.
San Giacomo era stato scelto dal Redentore sia per testimone della sua gloriosa trasfigurazione sopra il Tabor, sia per testimone delle sue agonie nell'orto, e ben presto il Signore tolse l'afflizione concepita dall'amato discepolo per la sua morte, consolandolo con frequenti apparizioni dopo la sua gloriosa ed immortale risurrezione.
Si dice che il santo, mosso dal suo ardente zelo dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, uscì dal cenacolo per andare nelle città e nei castelli della Giudea ad annunciare la nuova fede e, o a causa della persecuzione degli ebrei o a causa del poco frutto che ritraeva da quella nazione dura e cieca, senza aspettare la divisione degli Apostoli delle terre da evangelizzare, san Giacomo partì di sua volontà per i mari, e divenne il primo Apostolo della Spagna. Sino ad oggi si conserva un pilastro di valore, su cui si dice che gli sia apparsa la Vergine ancora vivente, e gli ordinasse di fabbricare in quel luogo un oratorio in suo onore, assicurandolo della sua protezione. Dopo avere sparsi i lumi del Vangelo in quel regno ritornò a Gerusalemme, dove impiegò tutta la sua eloquenza, il suo coraggio e la sua possanza per far conoscere la verità della venuta del Salvatore, convertendo molti dei suoi fratelli.
Le ragioni convincenti e i miracoli operati concitarono gli ebrei contro il santo, i quali non tralasciarono niente per rovinarlo. Guadagnarono a forza di denari due famosi magi: Fileta ed Ermogene, ì quali s'impegnarono di confondere coi loro prestigi l'Apostolo alla presenza del popolo. Andarono gli incantatori un giorno in cui san Giacomo predicava e appena udirono quella voce animata dallo Spirito Santo, si convertirono.
I perfidi giudei, vedendo tutte le loro macchinazioni sventate, risolsero di usare la forza. Condotta a soldo una compagnia di soldati romani, stabilirono che, dato il segnale, gli dovessero saltare addosso e legarlo. Dopo aver preparato ogni cosa, colta l'occasione in cui il Santo parlava al popolo con molta forza della divinità di Gesù Cristo e la confermava coll'adempimento delle profezie, il capo della congiura, non potendo più tollerare quella lingua benedetta, gli lanciò una corda al collo e lo trascinò a terra; la soldatesca gli fu addosso e dopo aver impedito il tumulto del popolo, che si sollevava a rumore, legatolo strettamente lo condussero da Erode Agrippa, re della Giudea, che era nipote di quell'Erode che fece a suo tempo il macello di tanti innocenti. Era molto tempo che questo empio re cercava qualche occasione di guadagnarsi il favore degli ebrei con far loro qualche piacere, quindi appena intese le accuse contro l'innocente, e conosciuto il loro desiderio, senz'altre ricerche e prove si consumò il processo, e il santo apostolo fu condannato a morte.
Mentre il santo veniva condotto al suo patibolo, per strada incontrarono un paralitico che a lui si raccomandava, e l'apostolo, con il segno di croce, in quell'istante lo risanò. Era presente a quell'incontro quell'ebreo che lo catturò per il collo e per primo lo arrestò, e illuminato dalla divina grazia riconobbe il suo errore e si convertì: si prostrò ai piedi del santo e gli chiese perdono dell'insulto fattogli. San Giacomo l'abbracciò, e dandogli in fronte un amoroso bacio, gli disse: “La pace sia con voi”. Parole che sono poi appartenute alla Chiesa e ripetute durante le celebrazioni per dare la benedizione al popolo e la pace prima della comunione. Di questo novello convertito fu avvisato Agrippa, il quale lo condannò ad incontrare la stessa morte. Giunti al luogo del supplizio, dopo aver san Giacomo fatta a Dio la sua orazione e reso grazie a Gesù Cristo dell'onore che gli impartiva di poter dare e spargere il suo sangue per la gloria del suo santissimo Signore, e di essere il primo fra tutti gli apostoli a sostenere il martirio, sotto la spada del carnefice lasciò di vivere acquistando, undici anni dopo la morte di Cristo, la corona del martirio.
Dopo essere stato seppellito dai cristiani il suo sacro corpo, poco tempo dopo alcuni dei suoi discepoli (probabilmente quelli condotti dal Santo in Spagna) presero la venerabile salma e la trasportarono nella città d'Iria, situata nella parte denominata Galizia. Sbarcati che furono, a causa dell'invasione dei mori, nascosero sotto terra l'urna di marmo che accoglieva quelle sacre spoglie. Il luogo rimase occulto a tutti per più di 500 anni, finché al tempo del re don Alfonso detto il Casto fu scoperto il prezioso tesoro. Era già nato e cresciuto nel corso di quei secoli un bosco di alberi nel luogo dove stava depositato il sacro Apostolo, quando la Divina Maestà volle manifestare a tutti il luogo nascosto: fece vedere a parecchie persone in una notte una viva e raggiante luce. Vedutasi questa più volte, ne fu avvisato il vescovo d'Iria, il quale certificato della comparsa della luce, fece tagliare tutta quella parte boscosa che ingombrava il luogo assegnato dallo splendore notturno, e fatto scavare il terreno scopri l'urna marmorea che racchiudeva il sacro deposito. Avvisatone il re don Alfonso, si portò con la corte ad adorare il venerabile pegno, quindi fabbricato un superbo e ricco tempio, in esso fu depositata la sacra spoglia verso l'anno 816. Il luogo divenne in breve famoso per il concorso dei popoli che da ogni parte correvano, e papa Leone III trasferì la sede vescovile da Iria in quella di Compostela, così quel santuario divenne, dopo Gerusalemme e Roma, il pellegrinaggio più conosciuto e frequentato del mondo cattolico.
Riflessione
Non c'è dubbio che l'apostolo san Giacomo, da Gesù chiamato al suo seguito, fosse vergine come suo fratello Giovanni, e perciò non c'è da meravigliarsi se il Salvatore li avesse tutti e due distinti dagli altri compagni. Dio, che è la Purezza, non si compiace se non delle anime caste, e le persone vergini sono le favorite dell'Agnello senza macchia. Quanto sarebbe amata e seguita la bella virtù della verginità, se gli uomini ne conoscessero tutti i pregi! Il Redentore chiamò beati e degni della visione di Dio quelli che conservano un cuore puro e mondo. Dovranno dunque chiamarsi infelici e indegni della vista del cielo coloro che portano un cuore macchiato e impuro. Ma chi c'è ai giorni nostri che stimi, ami, e conservi questa purezza? “L'uomo animale - dice s. Paolo – non concepisce ciò che è dello spirito di Dio”. Le passioni nostre brutali acciecano la mente, né ci lasciano intendere le verità celesti; e così la maggior parte dei cristiani corrono dietro al piacere e non si curano di un così prezioso tesoro com'è quello della purezza. Vogliamo noi essere i favoriti di Dio? Amiamo questa virtù, e se questa in noi sussiste e regna, custodiamola con ogni diligenza; che se per nostra disgrazia l'abbiamo perduta, procuriamo prontamente di risarcirne il danno con la penitenza.
Veronica Tribbia