Le osservanze quaresimali: digiuno, elemosina, preghiera

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Digiuno.

Intorno ad esso confluiscono frequenti riflessioni. Occorre però aggiungere che S. Agostino, a differenza di alcuni suoi contemporanei, non sollecita a questa pratica con toni minacciosi, ma invita ad essa tenendo conto delle proprie forze. Il digiuno ha perciò un carattere strumentale, non assoluto, e presuppone una presa di coscienza dello stato in cui ciascuno si trova.

Certo, non è cosa di poca importanza o superflua, ma necessaria nel cammino umano, tale anche, però, da essere fraintesa. C'è, in effetti, un digiuno specificamente cristiano che si differenzia da quello praticato da pagani, giudei ed eretici. È la motivazione che conta per S. Agostino, il quale vede tale esercizio all'interno di un più vasto impegno di mortificazione che tiene conto della realtà del cristiano: “un atto proprio alla via di mezzo, la nostra, per cui viviamo distinti da chi non ha fede e con l'aspirazione di essere uniti agli angeli”.

Al riguardo egli precisa che il digiuno non va contro l'uomo e non si radica in un disprezzo manicheo della materia, sia del corpo umano, sia degli alimenti, entrambi creature di Dio. “Chi digiuna”, dichiara, “secondo la consuetudine della Chiesa, non pensi a sé, non si dica, ascoltando il tentatore che nell'intimo suggerisce: 'Che fai? Perché digiuni? Defraudi la tua vita, non le dai ciò che la allieta; tu stesso ti procuri una pena, ti fai carnefice e punitore di te stesso. A Dio può piacere che tu ti tormenti? Sarebbe crudele se si dilettasse delle tue pene' ”. A questo quesito S. Agostino trova una risposta nella natura composita dell'uomo. Premesso che tutta la realtà è buona e la carne non è nemica dello spirito, il vescovo osserva: “Noi non odiamo chi vogliamo semplicemente che ci ubbidisca... la carne ha, per sua condizione terrena, certi suoi appetiti: su questi puoi esercitare un freno. Se ti lasci dirigere da chi sta sopra di te, puoi ben dirigere chi sta sotto di te. Sotto di te c'è la tua carne, sopra di te il tuo Dio”.

C'è dunque nel digiuno cristiano un motivo ascetico consistente nell'esprimere o riacquistare la piena padronanza su di sé. Da questo punto di vista si tratta di un impegno che va accettato volontariamente e non subìto, magari ricorrendo a sotterfugi per renderlo un affare meno aspro. Tale è l'atteggiamento di quanti, formalisticamente attaccati al precetto, di fatto non fanno astinenza, ma cambiano soltanto il tipo di piacere. “Ti devi guardare”, raccomanda, “dal pericolo di mutare anziché diminuire i piaceri. Osserva, infatti, come taluni ricercano bevande insolite al posto del vino... escluse le carni, costoro vanno in cerca di una molteplice varietà e ricercatezza di cibi... in tal modo l'osservanza quaresimale non costituisce una repressione di passioni inveterate, ma un'occasione per nuovi piaceri”.

Accanto alla giustificazione del digiuno e ai modi errati di intenderlo, Agostino esibisce nei Sermoni diversi motivi a sostegno di questo esercizio. Richiama anzitutto il “motivo di merito”, avente una finalità sociale, là dove quello che non si spende per il cibo va dato in elemosina. Un digiuno senza misericordia, infatti, non giova a nulla. Mangiare di meno perché altri mangino e non astenersi dal cibo per accrescere l'avarizia: questa è, in sintesi, la finalità sociale del digiuno cristiano. Se poi, come Agostino rileva, vi fosse qualcuno che per qualche ragione non potesse digiunare, deve fare maggiori elemosine perché la preghiera del povero interceda per lui e supplisca alla sua debolezza.

S. Agostino giustifica l'osservanza del digiuno con un “motivo penitenziale”. Chi ha sofferto un certo impoverimento spirituale, chi è provato dal demonio come lo fu Cristo nel deserto, trova in questa penitenza uno dei modi per vincere. Essa rimane comunque un esercizio che trova la sua giustificazione ultima in un incremento di vita cristiana.

In più punti S. Agostino insiste su una spiritualizzazione del digiuno (“digiuno pneumatico”) del quale parla in senso traslato, non limitandolo così a una semplice astensione dai cibi. Il digiuno va fatto dalle liti e dalle contese, dall'odio. Occorre, dichiara nel sermone 207,3, che la preghiera “digiuni sempre dall'odio, si nutra sempre di amore”. Questa osservanza quaresimale, dunque, per quanto appaia importante a S. Agostino, non gli fa mai perdere di vista il suo carattere di mezzo: “Bisogna considerare quale sia il fine dei nostri digiuni in rapporto al nostro cammino, quale sia il cammino, quale la meta”.

Elemosina.

S. Agostino presenta il digiuno e l'elemosina come le “ali della pietà” che permettono alla preghiera di raggiungere più facilmente Dio. L'elemosina non costituisce un sovrappiù per il cristiano, il quale deve intendere che “è simile alla frode il non dare all'indigente le cose che a lui sono superflue”. Per ribadire la necessità dell'elemosina e del suo carattere espiatorio, il vescovo si richiama all'immagine della nave che contiene acqua nello scafo. “Pregare”, commenta S. Agostino, “è come vuotare la sentina. Non dobbiamo però soltanto pregare, ma anche fare elemosine: poiché quando si vuota la sentina per non far affondare la nave, si agisce con le parole e con le mani”.

Osservando come la parola “elemosina” sia termine greco che significa “misericordia”, egli mette in evidenza come tutto l'agire di Dio per noi è elemosina. Il cristiano deve prendere atto di questo incessante flusso di bontà ed è chiamato a restituire a Cristo presente nel povero quanto riceve. Chiederebbe sfrontatamente la misericordia a Dio qualora egli la negasse al prossimo.

S. Agostino non limita il concetto di elemosina al solo aiuto materiale, ma allarga alle diverse opere di misericordia corporale. E, anzi, riconosce, l'esistenza di una duplice elemosina: quella del dare e quella del perdonare o, come dichiara nel Sermone 58,9,10, “quella che si compie con il cuore quando a un tuo fratello perdoni un peccato. L'altra che si fa con i mezzi di sussistenza, quando a un povero offri del pane”. Le sue riflessioni sull'elemosina passano così al piano dei rapporti interpersonali; e questo concetto spirituale di elemosina gli permette di affermare che essa può essere fatta anche dal povero, perché dipende soltanto dalla volontà. “In questo genere di elemosina”, afferma, “nessuno è povero, può farla per vivere eternamente anche chi al presente, non ha di che vivere. Si dà gratis e nel dare si accumula quanto non si consuma se non quando non si elargisce”.

In tempo di quaresima, dunque, diviene un'occasione per migliorare i rapporti tra “conservi”. “Anche questa è un'elemosina di grande profitto: rimettere al conservo un debito” dal momento che tutti siamo debitori.

S. Agostino invita così ripetutamente ad allontanare il sentimento della vendetta muovendo dalla considerazione che è possibile perdonare: c'è chi lo fa partendo dal convincimento che non è impossibile perdonare. Egli conduce poi il suo uditorio a riflettere sul fatto che non la natura umana è nemica, ma la colpa che uno commette. Da qui l'invito a pregare contro la malizia del nemico: “Muoia quella ed egli viva. Se infatti morisse il tuo nemico, potrebbe sembrare che non hai più un nemico, ma non troveresti nemmeno un amico: se invece morrà la sua malizia, avrai trovato anche un amico”.

Nella prospettiva agostiniana l'elemosina passa dunque dai beni materiali alla volontà di perdono e si muta in una preghiera che abbraccia tutti, amici e nemici.

Preghiera.

Se S. Agostino parla del digiuno e dell'elemosina come delle due “ali della preghiera”, lascia altresì intendere il valore eminente che egli annette a quest'ultima. Per la stessa ragione inculca insistentemente l'astensione dai rapporti coniugali. E non vi è in questi inviti alcunché di manicheo, bensì l'idea che nel tempo quaresimale l'uomo deve acquisire una maggiore padronanza di sé, riducendo il lecito per astenersi dall'illecito.

Finalità primaria, perché più frequentemente richiamata, dell'astensione dai rapporti coniugali resta, comunque, l'impegno alla preghiera che va compiuta accantonando quanto, come la legittima attività sessuale, può distrarre o toglierle tempo. Come leggiamo nel Sermone 205,2: “Il tempo impiegato nel rendere il debito coniugale sia utilizzato nelle suppliche. Il corpo che si illanguidiva nelle passioni carnali, si prostri in caste preghiere. Le mani che avvincevano negli amplessi, siamo estese in orazioni”. Per sostenere quest'impegno quaresimale S. Agostino si appoggia unicamente a 1Cor 7,5 dove Paolo esorta ad astenersi dal rapporto in vista della preghiera. A commento di questo testo, poi, nel Sermone 210,6,9 osserva: “La preghiera è una cosa spirituale e per questo risulta tanto più gradita quanto più è compiuta secondo la sua natura. E tanto più si produce con atto spirituale, quanto più l'animo di chi la produce è libero dal piacere carnale”. L'esempio di vedove e vergini, nelle quali la continenza è stato permanente di vita, costituisce per Agostino una dimostrazione e un incentivo nell'attuazione dell'astinenza temporanea.

A giustificazione della preghiera più frequente e intesa che deve contrassegnare il periodo quaresimale il vescovo sottolinea alcune ragioni: vi è anzitutto un “motivo espiatorio”. Di fatto la vita sulla terra non si può condurre senza colpa. “Ci sono dei peccati quotidiani”, dichiara, “senza dei quali l'uomo quaggiù non può vivere, e per i quali è necessaria la preghiera quotidiana”. Tali peccati S. Agostino li paragona a minuscoli granelli di sabbia o a piccole gocce. “Se tutti questi peccati si ammucchiassero contro di noi, forse che non premeranno per il fatto che sono minuscoli? Che differenza fa se è il piombo a opprimerti o la sabbia? Il piombo è una massa compatta, l'arena sono dei piccoli granelli, ma premono per la quantità. Sono peccati minuti: ma non vedi che piccole gocce riempiono i fiumi e portano via i poderi? Sono minuti, ma sono molti”.

La preghiera si presenta perciò come un mezzo necessario di espiazione, accanto al battesimo e alla penitenza pubblica. Evidentemente, perché essa sortisca effetto davanti a Dio occorre sia casta “perché non abbiamo a desiderare quanto ricerca non la carità, ma la cupidigia; perché non auguriamo alcun male ai nemici; perché nella preghiera non chiediamo il male di coloro che non possiamo altrimenti danneggiare o punire”.

S. Agostino riporta il caso di quanti, proprio in questo tempo di quaresima, “quotidianamente vengono qui, si inginocchiano, chinano a terra la fronte, talvolta hanno il loro volto solcato dalle lacrime e in una siffatta umiliazione e dolore, dicono: 'Signore, vendicami, uccidi il mio nemico'. Certo, prega che uccida il tuo nemico e salvi il tuo fratello; uccida l'inimicizia e salvi la persona. Prega così che Dio ti vendichi: perisca chi ti perseguitava, ma viva il fratello che può esserti restituito”.

Il rancore è perciò un ostacolo da rimuovere perché la preghiera s'innalzi fino a Dio. Essa, poi, secondo S. Agostino ha una “finalità escatologica”: deve alimentare il desiderio e l'amore per la patria celeste, accrescere il desiderio di Dio.

Della triade digiuno, elemosina, preghiera, S. Agostino mette dunque in luce i vincoli che uniscono tra loro queste espressioni. Di esse, poi, offre una lettura profonda e spiritualizzata non accontentandosi di inculcare dei doveri, ma mostrando altresì i diversi livelli e le modalità mediante le quali trovano una giusta applicazione.


Luigi Padovese (dal libro Sermoni per i tempi liturgici)

 


Documento stampato il 29/03/2024