Alcune riflessioni sul Concilio Vaticano II e la crisi attuale della Chiesa

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Negli ultimi decenni non soltanto alcuni modernisti dichiarati, ma anche teologi e fedeli che amano la Chiesa, hanno mostrato un atteggiamento che assomigliava ad una sorta di difesa cieca di tutto ciò che era stato detto dal Concilio Vaticano II. Un tale atteggiamento a volte sembra richiedere vere acrobazie mentali e una “quadratura del cerchio”. Anche ora, la mentalità generale dei cattolici buoni corrisponde spesso a una totale infallibilizzazione di ogni parola del Concilio Vaticano II o di ogni parola e gesto del Pontefice. Questo tipo di malsano centralismo papale era già presente da diverse generazioni nei cattolici degli ultimi due secoli. Una critica rispettosa e un dibattito teologico sereno, però, sono sempre stati presenti e permessi all’interno della grande tradizione della Chiesa, poiché è la Verità e la fedeltà alla rivelazione divina nonché alla tradizione costante della Chiesa che si deve cercare, il che implica di per sé l’uso della ragione e della razionalità, evitando acrobazie mentali. Alcune spiegazioni di certe espressioni ovviamente ambigue che inducono in errore, contenute nei testi del Concilio, sembrano artificiali e poco convincenti, specialmente quando si riflette su di esse, in modo intellettualmente più onesto, alla luce della dottrina ininterrotta e costante della Chiesa.

Istintivamente, si è represso ogni ragionevole argomento che potrebbe, anche in minima parte, mettere in discussione qualsiasi espressione o parola nei testi del Concilio. Tuttavia, un simile atteggiamento non è sano e contraddice la grande tradizione della Chiesa, come si osserva nei Padri della Chiesa e nei grandi teologi della Chiesa nel corso di duemila anni. Una opinione diversa da ciò che ha insegnato il Concilio di Firenze sulla materia del sacramento dell’Ordine, cioè della traditio instrumentorum, è stata permessa nei secoli successivi a questo Concilio e ha portato al pronunciamento di Papa Pio XII nel 1947 nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis, con il quale egli ha corretto l’insegnamento non-infallibile del Concilio di Firenze, stabilendo, che l’unica materia strettamente necessaria per la validità del sacramento dell’Ordine è l’imposizione delle mani del vescovo. Pio XII ha fatto con questo suo atto non un’ermeneutica della continuità, ma una correzione, appunto, perché questa dottrina del Concilio di Firenze non rifletteva la costante dottrina e prassi liturgica della Chiesa universale. Già nell’anno 1914 il Cardinale G.M. van Rossum scriveva riguardo all’affermazione del Concilio di Firenze sulla materia del sacramento dell’Ordine, che quella dottrina del Concilio è riformabile e che si deve persino abbandonarla (cfr. De essentia sacramenti ordinis, Freiburg 1914, p. 186). Quindi non c’era spazio per un’ermeneutica della continuità in questo caso concreto.

Quando il Magistero Pontificio o un Concilio Ecumenico hanno corretto alcune dottrine non-infallibili di Concili Ecumenici precedenti – anche se questo è accaduto raramente –, essi non hanno, con tale atto, minato le fondamenta della fede cattolica e nemmeno hanno contrapposto il magistero di domani a quello di oggi, come la storia lo dimostra. Con una Bolla del 1425 Martino V ha approvato i decreti del Concilio di Costanza e persino il decreto “Frequens” della 39a sessione (del 1417), un decreto che afferma l’errore del conciliarismo, cioè della superiorità del Concilio sul Papa. Però, il suo successore Papa Eugenio IV ha dichiarato nel 1446 di accettare i decreti del Concilio Ecumenico di Costanza eccetto quelli (delle sessioni 3 – 5 e 39) che “pregiudicano i diritti e il primato della Sede Apostolica” (absque tamen praeiudicio iuris, dignitatis etpraeeminentiae Sedis Apostolicae). Il dogma sul primato del Papa del Concilio Vaticano I ha poi definitivamente rigettato l’errore conciliarista del Concilio Ecumenico di Costanza. Papa Pio XII, come già menzionato, ha corretto l’errore del Concilio di Firenze riguardo alla materia del sacramento dell’Ordine. Con questi rari atti di correzione di precedenti affermazioni del Magistero non-infallibile non sono stati minati le fondamenta della fede cattolica, proprio perché tali affermazioni concrete (ad esempio dei Concili di Costanza e Firenze) non hanno avuto carattere infallibile.

Alcune espressioni del Concilio non possono essere così facilmente riconciliabili con la costante tradizione dottrinale della Chiesa, come p.e. espressioni del Concilio sul tema della libertà religiosa (nel senso di un diritto naturale, e quindi positivamente voluto da Dio, di praticare e di diffondere una religione falsa, che può comprende anche idolatria o cose peggiori), di una distinzione tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica (il problema del “subsistit in” dà l’impressione dell’esistenza di due realtà: da un lato la Chiesa di Cristo e dall’altro la Chiesa cattolica), dell’atteggiamento nei confronti delle religioni non cristiane e dell’atteggiamento nei confronti del mondo contemporaneo. Anche se la Congregazione per la Dottrina della Fede nelle Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa (29 giugno 2007) ha dato una spiegazione del “subsistit in”, ha evitato, purtroppo, di dire chiaramente che la Chiesa di Cristo è veramente la Chiesa cattolica, cioè ha evitato di dichiarare esplicitamente l’identità tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica. Resta, infatti, una nuance di indeterminatezza.

Si osserva inoltre un atteggiamento che respinge a priori tutte le possibili obiezioni alle menzionate discutibili affermazioni nei testi conciliari. Si presenta, invece, come unica soluzione il metodo chiamato “ermeneutica della continuità”. Sfortunatamente, non si prende sul serio i dubbi riguardo ai problemi teologici inerenti a quelle affermazioni conciliari. Dobbiamo sempre tenere presente il fatto che il fine principale del Concilio era di carattere pastorale e che il Concilio non intendeva proporre i propri insegnamenti in modo definitivo.

Le dichiarazioni dei papi prima del Concilio, anche quelle del diciannovesimo e ventesimo secolo, riflettono fedelmente i loro predecessori e la costante tradizione della Chiesa in modo ininterrotto. I Papi di due secoli, diciannovesimo e ventesimo, cioè dopo la Rivoluzione Francese, non rappresentano un periodo “esotico” rispetto alla bimillenaria tradizione della Chiesa. Non si può rivendicare alcuna rottura negli insegnamenti di quei papi riguardo al precedente Magistero. Per quanto riguarda il tema della regalità sociale di Cristo e dell’obiettiva falsità delle religioni non cristiane, ad esempio, non si può trovare una sensibile rottura nell’insegnamento dei Papi tra Gregorio XVI e Pio XII da un lato e l’insegnamento di Papa Gregorio il Grande (sesto secolo) e i suoi predecessori e successori dall’altro. Si può davvero vedere una linea continua senza alcuna rottura dal tempo dei Padri della Chiesa a Pio XII, specialmente su argomenti come la regalità anche sociale di Cristo, la libertà religiosa e l’ecumenismo nel senso che c’è un diritto naturale positivamente voluto da Dio di praticare solamente l’unica vera religione che è la fede cattolica. Prima del Concilio Vaticano II non c’era la necessità di fare uno sforzo colossale per presentare voluminosi studi per dimostrare la perfetta continuità della dottrina tra un Concilio e l’altro, tra un Papa e suoi predecessori, poiché la continuità era palese. Il fatto stesso della necessità p.e. della “Nota explicativa previa” al documento Lumen Gentium mostra che il testo stesso di Lumen Gentium nel n. 22 è ambiguo riguardo al tema del rapporto tra il primato e la collegialità episcopale. Documenti chiarificatrici del Magistero nel tempo postconciliare, come p.e. le encicliche Mysterium FideiHumanae Vitae, il Credo del Popolo di Dio di Papa Paulo VI erano di grande valore e aiuto, però loro non hanno chiarito le soprammenzionate affermazioni ambigue del Concilio Vaticano II.

Forse la crisi emersa con Amoris Laetitia e con il documento di Abu Dhabi ci costringe ad approfondire questa considerazione sulla necessaria chiarificazione o correzione di alcune delle soprammenzionate affermazioni conciliari. Nella Summa Theologiae, San Tommaso d’Aquino presentava sempre obiezioni (“videtur quod”) e contro-argomentazioni (“sed contra”). San Tommaso era intellettualmente molto onesto; si deve consentire obiezioni e prenderle sul serio. Dovremmo usare il suo metodo su alcuni dei punti controversi dei testi del Concilio Vaticano II che sono stati discussi per quasi sessant’anni. La maggior parte dei testi del Concilio è in continuità organica con il precedente Magistero. Alla fine, il Magistero Pontificio deve chiarire in modo convincente i punti controversi di alcune specifiche espressioni nei testi del Concilio, ciò che finora non è stato fatto sempre in modo intellettualmente onesto e convincente. Se fosse necessario, un papa o un futuro Concilio Ecumenico dovrebbero aggiungere spiegazioni (una sorta di notae explicativae posteriores) o presentare persino modifiche di quelle espressioni controverse, dal momento che non sono state presentate dal Concilio come un insegnamento infallibile e definitivo, come lo ha dichiarato anche Paolo VI, dicendo che il Concilio: “ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico” (Udienza Generale, 12 gennaio 1966).

La storia ce lo dirà a distanza. Siamo a soli cinquant’anni dal Concilio. Forse lo vedremo più chiaramente tra altri cinquant’anni. Tuttavia, dal punto di vista dei fatti, delle prove, da un punto di vista globale, il Vaticano II non ha portato una vera fioritura spirituale nella vita della Chiesa. E anche se prima del Concilio già vi erano dei problemi nel clero, però onestamente e per amore della giustizia, si deve riconoscere che i problemi morali, spirituali e dottrinali del clero prima del Concilio non erano diffusi su una scala così vasta e in un’intensità così grave come lo è stato nel tempo postconciliare fino ad oggi. Tenendo conto del fatto che già c’erano alcuni problemi prima del Concilio, la prima finalità del Concilio Vaticano II avrebbe dovuto essere, appunto, nell’emanare norme e dottrine più chiare possibile ed anche esigenti, prive di ogni ambiguità, come facevano tutti i Concili di riforma nel passato. Il piano e le intenzioni del Concilio Vaticano II erano principalmente pastorali, eppure, nonostante il suo scopo pastorale, seguirono conseguenze disastrose che vediamo ancora oggi. Certo, il Concilio possiede diversi bei testi. Ma le conseguenze negative e gli abusi commessi in nome del Concilio sono stati così forti che hanno oscurato gli elementi positivi che si trovano in esso.

Ecco gli elementi positivi che ha portato il Vaticano II: è la prima volta che un Concilio Ecumenico ha fatto un solenne appello ai laici affinché prendano sul serio i loro voti battesimali per aspirare alla santità. Il capitolo di Lumen Gentium sui laici è bello e profondo. I fedeli sono chiamati a vivere il loro battesimo e la loro cresima come coraggiosi testimoni della fede nella società secolare. Questo appello è stato profetico. Però, dopo il Concilio, questo appello ai laici è stato spesso abusato dall’establishment progressista nella Chiesa e anche da molti funzionari e burocrati ecclesiastici. Spesso i nuovi burocrati laici (in determinati Paesi europei) non erano essi stessi testimoni ma aiutavano a distruggere la fede nei consigli parrocchiali e diocesani e in altri comitati ufficiali. Sfortunatamente questi burocrati laici erano spesso fuorviati dal clero e dai vescovi.

Il tempo dopo il Concilio ci ha dato l’impressione che uno dei principali frutti del Concilio fosse la burocratizzazione. Questa burocratizzazione mondana nei decenni successivi al Concilio ha spesso paralizzato il fervore spirituale e soprannaturale in misura considerevole, e invece della primavera annunciata, è arrivato un momento di inverno spirituale. Ben note e indimenticabili rimangono le parole con cui Paolo VI ha diagnosticato onestamente lo stato di salute spirituale della Chiesa dopo il Concilio: “Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli” (Omelia del 29 giugno 1972). In questo contesto, fu in particolare l’Arcivescovo Marcel Lefebvre (sebbene non fosse l’unico a farlo) ad iniziare su una scala più vasta e con franchezza simile a quella di alcuni dei grandi Padri della Chiesa, a protestare contro l’annacquamento e la diluizione della fede cattolica, particolarmente riguardo al carattere sacrificale e sublime del rito della Santa Messa, che si stavano diffondendo nella Chiesa, sostenute, o almeno tollerate, anche dalle autorità di alto rango della Santa Sede. In una lettera indirizzata a Papa Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato, l’arcivescovo Lefebvre descrisse realisticamente e appropriatamente in una breve sinossi la vera portata della crisi della Chiesa. Colpiscono la perspicacia e il carattere profetico delle seguenti affermazioni: “Il diluvio di novità nella Chiesa, accettato e incoraggiato dall’Episcopato, un diluvio che devasta ogni cosa sul suo cammino: la fede, la morale, la Chiesa istituzione: non potevano tollerare la presenza di un ostacolo, una resistenza. Abbiamo quindi avuto la scelta di lasciarci trasportare dalla corrente devastante e di aggiungerci al disastro, o di resistere al vento e alle onde per salvaguardare la nostra fede cattolica e il sacerdozio cattolico. Non potevamo esitare. Le rovine della Chiesa stanno aumentando: l’ateismo, l’immoralità, l’abbandono delle chiese, la scomparsa delle vocazioni religiose e sacerdotali sono tali che i vescovi stanno iniziando a risvegliarsi” (Lettera del 24 dicembre 1978). Stiamo ora assistendo al culmine del disastro spirituale nella vita della Chiesa che l’arcivescovo Lefebvre ha indicato così vigorosamente già quarant’anni fa.

Nell’avvicinarsi a questioni relative al Concilio Vaticano II e ai suoi documenti, si devono evitare interpretazioni forzate o il metodo di “quadratura del cerchio”, mantenendo naturalmente tutto il rispetto e il senso ecclesiastico (sentire cum ecclesia). Il principio dell’ermeneutica della continuità non può essere utilizzato alla cieca al fine di eliminare a priori eventuali problemi evidentemente esistenti o per creare un’immagine di armonia, mentre persistono nell’ermeneutica della continuità sfumature di indeterminatezza. In effetti, un simile approccio trasmetterebbe in modo artificiale e non convincente il messaggio che ogni parola del Concilio Vaticano II è ispirata da Dio, infallibile e a priori in perfetta continuità dottrinale con il Magistero precedente. Tale metodo violerebbe la ragione, l’evidenza e l’onestà e non renderebbe onore alla Chiesa. Prima o poi – forse dopo cento anni – la verità verrà dichiarata così com’è. Esistono libri con fonti documentate e dimostrabili, che forniscono approfondimenti storicamente più realistici e reali sui fatti e sulle conseguenze riguardo all’evento del Concilio Vaticano II stesso, alla redazione dei suoi documenti e al processo di interpretazione e applicazione delle sue riforme negli ultimi cinque decenni. Raccomandabili, ad esempio, sono i seguenti libri che possono essere letti con profitto: Romano Amerio, Iota Unum: uno studio sui cambiamenti nella chiesa cattolica nel XX secolo (1996); Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II: una storia non scritta (2010); Alfonso Gálvez, El invierno Eclesial (2011).

I punti seguenti: la chiamata universale alla santità, il ruolo dei laici nella difesa e testimonianza della fede, la famiglia come chiesa domestica e l’insegnamento sulla Madonna – sono ciò che si può considerare i contributi veramente positivi e duraturi del Concilio Vaticano II.

Negli ultimi 150 anni la vita della Chiesa è stato sovraccaricata con una insana papolatria a tal punto che è emersa un’atmosfera nella quale si attribuisce un ruolo di centralità agli uomini di Chiesa invece che a Cristo e al Suo Corpo Mistico, e ciò rappresenta a sua volta un antropocentrismo nascosto. Secondo la visione dei Padri della Chiesa, la Chiesa è solamente la luna (mysterium lunae), e Cristo è il sole. Il Concilio fu una dimostrazione di un rarissimo “Magisterio-centrismo”, poiché con il volume dei suoi documenti prolissi ha superato di gran lunga tutti agli altri Concili. Però, il Concilio Vaticano II stesso fornì una bellissima descrizione di ciò che è il Magistero, che non era mai stato detto prima nella storia della Chiesa. Si trova nella Dei Verbum, n. 10, dove è scritto: “Il Magistero non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve.” Con “Magisterio-centrismo” si intende qui che gli elementi umani e amministrativi, specialmente la produzione eccessiva e continua dei documenti e frequenti forum di discussione (con il motto della “sinodalità”) che furono messi al centro della vita della Chiesa. Sebbene i Pastori della Chiesa devono sempre esercitare con zelo il munus docendi, l’inflazione dei documenti e spesso dei documenti prolissi si è rivelata soffocante. Documenti meno numerosi, più brevi e concisi avrebbero avuto un effetto migliore.

Un esempio lampante del malsano “Magisterio-centrismo”, dove rappresentanti dal Magistero si comportano non come servi, ma come padroni della tradizione, è la riforma liturgica di Papa Paolo VI. In un certo senso, Paolo VI si mise al di sopra della Tradizione – non della Tradizione dogmatica (lex credendi), ma della grande Tradizione liturgica (lex orandi). Paolo VI ha osato iniziare una vera rivoluzione nella lex orandi. E in una certa misura, ha agito in contrasto con l’affermazione del Concilio Vaticano II in Dei Verbum, n. 10, che afferma che il Magistero è solo il servitore della Tradizione. Dobbiamo porre Cristo al centro, Egli è il sole: il soprannaturale, la costanza della dottrina e della liturgia e tutte le verità del Vangelo che Cristo ci ha insegnato.

Attraverso il Concilio Vaticano II, e già con Papa Giovanni XXIII, la Chiesa ha iniziato a presentarsi al mondo, a flirtare con il mondo e a manifestare un complesso di inferiorità verso il mondo. Eppure i chierici, in particolare i Vescovi e la Santa Sede, hanno il compito di mostrare Cristo al mondo, non se stessi. Il Vaticano II ha dato l’impressione che la Chiesa Cattolica abbia iniziato a mendicare simpatia al mondo. Ciò è continuato nei pontificati postconciliari. La Chiesa chiede la simpatia e il riconoscimento del mondo; questo non è degno di lei e non guadagnerà il rispetto di coloro che cercano veramente Dio. Dobbiamo chiedere simpatia a Cristo, a Dio e al cielo.

Alcuni che criticano il Concilio Vaticano II affermano che, sebbene ci siano dei buoni aspetti, è come una torta con un po’ di veleno, e così tutta la torta deve essere buttata. Penso che non possiamo seguire un tale metodo e neppure il metodo del “gettare il bambino con l’acqua sporca”. Riguardo ad un Concilio Ecumenico legittimo, anche se c’erano punti negativi, dobbiamo mantenere un atteggiamento globale di rispetto. Dobbiamo valutare e stimare tutto ciò che è vero e veramente buono nei testi del Concilio, senza chiudere irrazionalmente e disonestamente gli occhi della ragione a ciò che è oggettivamente ed evidentemente ambiguo in alcuni dei testi e ciò che può indurre in errore. Bisogna sempre ricordare che i testi del Concilio Vaticano II non sono l’ispirata Parola di Dio, né sono giudizi dogmatici definitivi o dichiarazioni infallibili del Magistero, perché il Concilio stesso non aveva tale intenzione.

Un altro esempio è Amoris Laetitia. Vi sono certamente molti punti che si devono criticare dottrinalmente. Ma ci sono alcune sezioni che sono molto utili, davvero buone per la vita familiare, ad esempio, sugli anziani in famiglia: di per sé sono molto buoni. Non si deve rifiutare l’intero documento ma ricevere ciò che è buono. Lo stesso vale per i testi del Concilio.

Anche se prima del Concilio tutti dovevano fare il giuramento anti-modernista, emanato da Papa Pio X, alcuni teologi, sacerdoti, vescovi e persino cardinali lo fecero con riserve mentali, come hanno dimostrato i fatti storici successivi. Con il pontificato di Benedetto XV, iniziò una lenta e cauta infiltrazione di ecclesiastici con uno spirito mondano e parzialmente modernista in posizioni alte nella Chiesa. Questa infiltrazione crebbe soprattutto tra i teologi, tanto che in seguito Papa Pio XII dovette intervenire condannando alcune ambiguità e errori di noti teologi della cosiddetta “nouvelle théologie” (Chenu, Congar, De Lubac, ecc.), pubblicando nel 1950 l’enciclica Humani generis. Tuttavia, dal pontificato di Benedetto XV in poi, il movimento modernista era latente e in lenta e continua crescita. E così, alla vigilia del Concilio Vaticano II, una parte considerevole dell’episcopato e dei professori nelle facoltà teologiche e nei seminari era imbevuta di una mentalità modernista, che è essenzialmente relativismo dottrinale e morale, nonché mondanità, amore per il mondo. Alla vigilia del Concilio, questi cardinali, vescovi e teologi adottarono la “forma” – il modello di pensiero – del mondo (cfr. Rm 12, 2), volendo compiacere il mondo (cfr. Gal 1, 10). Hanno mostrato un chiaro complesso di inferiorità verso il mondo.

Anche Papa Giovanni XXIII dimostrò una sorta di complesso di inferiorità verso il mondo. Non era un modernista nella sua mente, ma aveva un modo politico di guardare il mondo e stranamente mendicava simpatia dal mondo. Aveva sicuramente buone intenzioni. Ha convocato il Concilio, che ha poi aperto un portone enorme per il movimento modernista, protestantizzante e mondano all’interno della Chiesa. Molto significativa è la seguente acuta osservazione, fatta da Charles de Gaulle, presidente della Francia dal 1959 al 1969, riguardo a Papa Giovanni XXIII e il processo di riforme iniziato con il Concilio Vaticano II: “Giovanni XXIII ha aperto le porte e non ha potuto chiuderle ancora. Era come se fosse crollata una diga. Giovanni XXIII fu sopraffatto da ciò che innescò” (vedi Alain Peyrefitte, C’était de Gaulle, Parigi 1997, 2, 19).

Il discorso di “aprire le finestre” prima e durante il Concilio era una sorta di illusione e una causa di confusione. Da queste parole, molta gente ha avuto l’impressione che lo spirito di un mondo non credente e materialista, che era già evidente in quei tempi, poteva trasmettere alcuni valori positivi per la vita della Chiesa. Invece, le autorità della Chiesa in quei tempi avrebbero dovuto dichiarare espressamente il vero significato delle parole “aprire le finestre”, che consiste nell’aprire la vita della Chiesa all’aria fresca della bellezza e della chiarezza inequivocabile delle verità divine, ai tesori di santità sempre giovane, alle luci soprannaturali dello Spirito Santo e dei Santi, ad una liturgia celebrata e vissuta con un senso sempre più soprannaturale, sacro e riverente. Nel corso del tempo, durante l’era postconciliare, il portone aperto parzialmente ha lasciato spazio ad un disastro che ha provocato danni enormi alla dottrina, alla morale e alla liturgia. Oggi, le acque di inondazione che sono entrate stanno raggiungendo livelli pericolosi. Ora stiamo vivendo l’apice del disastro.

Oggi il velo è stato sollevato ed il modernismo ha rivelato il suo vero volto, che consiste nel tradimento di Cristo e nel diventare amico del mondo, adottando allo stesso tempo il suo modo di pensare. Una volta terminata la crisi nella Chiesa, il Magistero della Chiesa avrà il compito di respingere formalmente tutti i fenomeni negativi, presenti nella vita della Chiesa negli ultimi decenni. La Chiesa lo farà, perché è divina. Lo farà con precisione e correggerà gli errori che si sono accumulati, iniziando con alcune espressioni ambigue nei testi del Concilio Vaticano II stesso.

Il modernismo è come un virus nascosto, nascosto in parte anche in alcune affermazioni del Concilio, ma che ora si è manifestato pienamente. Dopo la crisi, dopo questa grave infezione virale spirituale, la chiarezza e la precisione della dottrina, la sacralità della liturgia e la santità di vita del clero risplenderanno più intensamente. La Chiesa lo farà in modo inequivocabile, come ha fatto in tempi di gravi crisi dottrinali e morali negli ultimi duemila anni. Insegnare chiaramente le verità del deposito divino della fede, difendere i fedeli dal veleno dell’errore e condurli in modo sicuro alla vita eterna appartiene all’essenza stessa del compito divinamente affidato al papa e ai vescovi.

Il documento Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II ci ha ricordato la genuina natura della vera Chiesa, che è “in modo tale, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati” (n. 2).


S. E. mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana - 24 giugno 2020 Festa di San Giovanni Battista (Fonte: corrispondenzaromana.it)


Documento stampato il 09/10/2024