La civiltà cristiana non è più da inventare

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Come rimanere insensibili a un certo progresso? In campo meccanico apprezziamo la rapidità dei mezzi di trasporto inventati da due secoli a questa parte. Siamo felici quando vediamo guarire, grazie a nuove terapie, dei poveri infermi che una volta sarebbero stati votati a una morte orribilmente dolorosa. In altro campo, possiamo ammirare le scoperte dell’archeologia e della storia e, in generale, il perfezionamento nelle ricerche sul passato dell’umanità, per non parlare degli sviluppi raggiunti dall’agricoltura e dalle industrie di ogni tipo.

Tuttavia, una cosa che mi colpisce quanto il progresso è la sua contropartita: il pesante, massacrante prezzo da cui è gravato.

Anche nel settore, evidentemente meno importante, della padronanza dell’uomo sulla natura e sul mondo materiale, è necessario ancora molto tempo affinché l’avanzata sia rettilinea. È fuori dubbio che l’uomo (fino a un certo punto) ha vinto le distanze e si sposta a un ritmo che ha del prodigioso: ma non è meno vero che la sua facoltà di attenzione è rimasta invariata. Il tempo che gli è necessario per commuoversi alla vista di un paesaggio, per assorbire il fascino di una regione o di un paese, in breve, il tempo dell’attenzione umana non è progredito dall’epoca delle vetture a cavalli.

L’uomo ha compiuto enormi progressi nella velocità con cui effettua i suoi viaggi, ma non nei mezzi per trarre un profitto spirituale dai suoi viaggi. Il progresso dei mezzi di locomozione non ha proporzionalmente comportato dei progressi in umanità. Potremmo fare considerazioni del genere sulla terapeutica, sulla coltivazione della terra o sulle industrie di ogni genere. Anche se ci siamo liberati di alcune schiavitù che erano connesse alla nostra condizione carnale – diciamo alla nostra condizione umana dopo il peccato – per contro, abbiamo trovato altre schiavitù nell’ordine stesso della condizione carnale. E soprattutto il progresso in campo utilitaristico, nelle macchine e nelle tecniche, è divenuto per esseri così fragili e peccatori quali noi siamo la fonte di una tentazione particolarmente violenta di prometeismo e di messianismo terreno. La nostra civiltà, nel suo insieme, soccombe a questa tentazione; sono rari coloro che resistono. È necessario un immenso amore di Dio per imporsi la mortificazione e il regime ascetico che sono indispensabili quando si vuole usare delle comodità moderne, secondo la saggezza cristiana (*).

Considerando la storia nel suo insieme, ciò che mi colpisce molto più del progresso meccanico o scientifico, nel dominio di una natura in disarmonia con l’uomo dopo il peccato, ciò che soprattutto ammiro sono le nuove manifestazioni dell’eterno, l’originalità che esplode quotidianamente nella realizzazione dell’immutabile.

Osserviamo, per esempio, una famiglia cristiana. Non so se il focolare cristiano dei nostri giorni sia veramente progredito in confronto a quello del tempo della Vergine Maria e dell’incarnazione o di santa Giovanna d’Arco: ma la cosa di cui sono certo è che le note caratteristiche del focolare cristiano, pur rimanendo le stesse, presentano un aspetto nuovo. La maniera in cui vengono espressi l’affetto, il pudore, il rispetto è di una novità imprevedibile; ma sono sempre le stesse virtù essenziali del focolare cristiano che in fondo ci colpiscono.

Potremmo fare delle analoghe osservazioni per la parrocchia, con le sue leggi permanenti, il suo culto eucaristico, la sua fraternità e la sua coerenza. Finché ci saranno delle parrocchie, queste leggi resteranno in vigore, ma in maniera diversa nel corso dei secoli. Nel tempo dell’agricoltura motorizzata, l’aspetto di una parrocchia di campagna non è lo stesso dell’epoca, ancora vicina, dei carri trainati dai buoi e delle carrette. Tuttavia rimane sempre la fisionomia di una parrocchia e non di quella di un seminario o di un convento. Nel campo di ciò che è profondamente umano, vicino alla vita interiore, come la famiglia o la parrocchia, ciò che mi sembra da sottolineare non è tanto il progresso quanto il rinnovamento.

Per essere chiari, diciamo che in questo campo un progresso decisivo venne realizzato con la venuta di Nostro Signore.  Infatti, a partire dalla vita della sacra Famiglia a Nazareth, dalle nozze di Cana, poi dalla consacrazione delle vergini agli inizi della Chiesa, i costumi domestici e la vita familiare sono stati elevati a un livello di purezza, di pietà e di dolcezza che erano sconosciute all’antichità pagana e persino ebraica. Ma tale progresso venne realizzato una volta per tutte, come la venuta dello stesso Salvatore; tutti i perfezionamenti che si sono potuti verificare partendo da quel periodo assolutamente unico, non toccano più l’essenza delle cose. Per contro, da quando questo progresso è stato concesso alle case e alle famiglie degli uomini, grazie all’incarnazione del Figlio di Dio, quanto sono state diverse le realizzazioni, le manifestazioni imprevedibili della nobiltà e della purezza nei focolari cristiani!

Le considerazioni sul progresso nell’ordine delle cose temporali sono molto spesso ingannevoli. Si insiste sul progresso in un settore alquanto particolare, come per esempio la medicina, ma si trascura, come ho già fatto notare, l’esistenza di una contropartita. Si dimentica soprattutto di constatare che non ne deriva automaticamente un progresso nell’onestà dei costumi e nel retto vivere; e lo stesso si può dire per la riflessione filosofica e per la saggezza. In seguito ai parziali progressi conseguiti nei diversi campi, la civiltà è ora forse più consona al nostro ordine morale, meno ingiusta, meno portata all’impudicizia e alla profanazione? È più incline al rispetto della donna e del bambino, dell’orfano, del vecchio o del povero? Bisogna ammettere di no. Basta guardarci intorno per constatare che il progresso avvenuto nei costumi, nelle usanze e nelle istituzioni non è affatto correlativo al progresso medico o tecnico. Ai nostri giorni la donna può sì disporre di un’auto e servirsi di comodi elettrodomestici, ma non è affatto più onorata, più rispettata né, in definitiva, più tranquilla e felice che ai tempi di Bianca di Castiglia.

Osserviamo i quadri di Le Nain, il pittore degli umili del secolo XVII. L’artista ha rappresentato famiglie contadine in un’epoca in cui i lavori dei campi non erano certo meccanizzati. Ebbene, le figure di quei contadini o artigiani riflettono un equilibrio e una dignità che non si notano molto spesso negli agricoltori contemporanei. Perché quella calma, quella gravità, quella pace impresse sui volti? Senza dubbio perché i contadini che ritraeva conservavano ancora, quasi intatto, il patrimonio delle virtù cristiane portate nelle Gallie più di quindici secoli prima dai primi vescovi e dai primi martiri. Senza queste virtù cristiane non avremmo mai conosciuto quella pace del cuore, quella sicurezza di fronte alle avversità, quella forza d’animo che trasfigurano e innalzano le deboli virtù umane, che rendono la vita di quaggiù, ” in questa valle di lacrime “, benché disseminata di prove, né odiosa né disperata. Sui nobili visi di Le Nain sono impresse virtù umane innalzate dalla grazia.

E se rifiutassimo la testimonianza del pittore, potremmo ricorrere ai documenti scritti, alle carte di famiglia sulla nascita, il matrimonio e la morte in Francia prima della Rivoluzione. Ci renderemmo conto che le virtù umane e teologali erano appannaggio ordinario di una civiltà cristiana ancora vigorosa. Ciò che intendo dire è che il vero progresso nelle cose umane consiste prima di tutto nel vivere rettamente, il che è intimamente legato alla fede cristiana e alla redenzione. Soltanto dopo che il Figlio di Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza, dopo che la Chiesa ha iniziato a diffondere le ricchezze del Vangelo, gli uomini hanno raggiunto (benché in maniera imperfetta) un’onestà di vita e persino una felicità (fra le lacrime e i sacrifici) che prima non esistevano e che non potevano esistere finché il genere umano era avvolto dalle tenebre e non era stato riconciliato col suo Creatore, attraverso il sacrificio della croce.

Il balzo decisivo, per quanto riguarda la decenza dei costumi e il retto vivere, è stato realizzato con la venuta del Signore e la fondazione della Chiesa (e potremo affermare la stessa cosa in campo filosofico). In quel momento è stata varcata una soglia e non ne restano altre da attraversare fino al ritorno glorioso del Signore. Da allora le realtà che compongono la trama della vita umana hanno saputo qual era il loro significato ultimo: il lavoro e l’amore, l’educazione dei bambini, la cura dei malati e dei vecchi, l’autorità del capo e la lealtà dei sudditi, la protezione degli innocenti e il castigo dei colpevoli; insomma, le realtà fondamentali della vita di questo mondo hanno imparato a porsi di fronte al Crocifisso, alla Messa e ai sacramenti. Abbiamo ormai compreso come queste realtà potessero cessare di essere fonte di disperazione per divenire sante e luminose.

La venuta di Cristo e la fondazione della Chiesa sono dei misteri ultimi, non penetrabili. La luce che ci dispensano e il progresso che hanno determinato sono egualmente, per la parte essenziale, ultimi e impenetrabili. Ciò che le generazioni umane devono fare non è inventare una formula di rette vivere diversa da quella che deriva dal Vangelo, ma piuttosto di dare a questa formula una versione originale, poiché essa proviene dalla loro vitalità più autentica, più segreta. Che tale originalità apporti talora un progresso, è cosa certa; ma tale progresso consiste nel realizzare meglio le virtualità di un dato preesistente e non nel creare un dato differente. Anche se pensassimo che su questo o quel punto i costumi familiari dei focolari cristiani di oggi siano progrediti nei confronti di quelli del secolo XIII, non dimentichiamoci che sono rimasti immutati nell’essenziale. La famiglia cristiana non deve essere inventata.

La stessa cosa si può dire per l’ordine civico. Come scriveva san Pio X quando colpiva il ” Sillon ” nel 1910:  “La civiltà cristiana non è più da inventare, e neppure la nuova città da erigere nelle nuvole. Essa è stata, essa è: è la civiltà cristiana, è la città cattolica. Non si tratta che di instaurarla e restaurarla senza sosta sulle sue fondamenta naturali e divine contro gli attacchi sempre rinnovati della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà “.

Che si tratti dei diritti del cittadino o di quelli dello Stato, dei diritti dei corpi intermedi o di quelli della Chiesa, esistono su questi e altri punti, dal tempo dell’incarnazione, da quando la Chiesa ha goduto della libertà in seno alla città temporale, delle istituzioni civili degne dell’uomo. Istituzioni che devono essere realizzate secondo le necessità e le risorse della nostra epoca (il che può apportare alcuni progressi in uno o nell’altro campo), ma che non si può pensare di creare di tutto punto come se, per la parte essenziale, esse si trovassero ancora nel nulla. Lanciarsi con i rivoluzionari in questa folle impresa da demiurgo, significa gettarsi in sconvolgimenti senza fine, spaventosi e sterili.

Esaminiamo ora tutto ciò che vi è di modestia e di vitalità in questi rinnovamenti autentici, che sono in qualche modo degli accrescimenti. In effetti, rinnovamenti di questa specie si realizzano soltanto quando l’uomo ha raccolto con pietà le ricchezze autentiche che gli furono trasmesse, se ha avuto la forza necessaria per portarle con sé e farle fruttificare con le sue personali risorse. Molto spesso, soprattutto da due secoli a questa parte, l’atteggiamento che prevale è purtroppo del tutto diverso: è un atteggiamento di orgoglio, d’impotenza e di bramosia, caratteristico dei sovvertimenti rivoluzionari.

Che cosa si nasconde in molti rivoluzionari? Un orgoglio forsennato che rifiuta i valori umani più incontestabili per la sola ragione che sono trasmessi e che bisognerebbe avere l’umiltà di accogliere; e questo orgoglio va di pari passo con l’impotenza a comunicare con queste ricchezze e a valorizzarle; si preferisce allora distruggerle o corromperle.

Si tocca la vetta del male quando l’orgoglio, impotente e devastatore, osa rifarsi al Vangelo, pretende di giustificarsi con la rivelazione divina e legittimarsi, ad esempio, in nome della beatitudine dei poveri, della misericordia per i peccatori, dell’universalità della redenzione che, nel Cristo, “non opera distinzioni” fra ebrei o greci.

Certamente, questa dottrina evangelica è la verità stessa, ma tolta dalla sua sfera soprannaturale diviene una menzogna infinitamente pericolosa; il Vangelo viene completamente falsato dall’orgoglio dei rivoluzionari. L’orgoglio, sotto qualsiasi forma si presenti, non è mai lodevole; ma l’orgoglio dell’impotente che si ammanta del mantello evangelico è particolarmente spaventoso.

Dicevamo che, per compiere un rinnovamento degno di questo nome, è importante che l’uomo metta a frutto l’eredità trasmessa con le sue forze più vive e più intime. Altrimenti, il rinnovamento non si compie. È la sclerosi. Di fronte a una simile inerzia, i sovvertimenti rivoluzionari avranno partita vinta.

È veramente una disgrazia quando la buona dottrina, i sani costumi e i princìpi della saggezza vengono insegnati e difesi da pigri o, ancor peggio, da profittatori. Allora, degli esseri pieni di vita e di vigore, desiderosi di impiegare le proprie energie al servizio di una nobile causa, ansiosi di dedicarsi ad essa anche con rischio, si vedono messi da parte, senza una seria ragione, da “tradizionalisti” abulici o interessati.” Soprattutto, che nulla si muova e che non ci venga richiesto un dispendio supplementare di energia, un nuovo sforzo di virtù! “.

Scartati, messi alla porta, gli esseri ardenti e generosi non riescono a capacitarsi del motivo per cui la tradizione (o perlomeno coloro che la proteggono) non voglia impiegare la loro giovane forza, soprattutto perché hanno compreso immediatamente che le intemperanze della loro generosità e vitalità non sono la ragione determinante per cui sono stati messi in disparte; ciò che non viene loro scusato, più delle imprudenze e della stessa generosità, è il fuoco di cui ardono.

Rischiano in tal modo di venire scandalizzati da quelle famose buone tradizioni che, almeno in apparenza, fanno corpo con l’inerzia o con miseri interessi. Possono arrivare a pensare che la vita, l’originalità e il rischio siano incompatibili con i buoni costumi e la sana dottrina; da qui a gettarsi a corpo morto in sfrenate innovazioni, e persino in violenze rivoluzionarie, il passo può essere breve.

Il deviamento dovuto alla pigrizia e allo sfruttamento delle migliori tradizioni è una delle cause non trascurabili delle rivoluzioni. Non è però la causa determinante. Per credere una cosa simile bisognerebbe non essere coscienti della terribile gratuità delle forze del male, bisognerebbe ignorare che per l’uomo l’odio per l’autorità è una triste conseguenza della sua natura decaduta.

Tuttavia esiste un accordo fondamentale fra la vera tradizione e le forze vive, generose e creatrici. Le risorse della vita, per la loro realizzazione e la loro diffusione, chiedono di votarsi al servizio dell’autentica tradizione. Qualche volta possono essere esaudite. Ed è così che vengono alla luce rinnovamenti fecondi.

Se consideriamo ora la Chiesa e non più la città politica, come ci apparirà il progresso?Anche qui, la cosa che più ci colpisce è la novità nella partecipazione a ciò che è stato dato una volta per tutte. Con questa partecipazione, nuova e originale in ogni cristiano e in ogni generazione di cristiani, sono rese esplicite alcune ricchezze della redenzione; in questo senso si compie certamente un progresso, ma non è che si inventino altre ricchezze: non si scopre la rivelazione di un dato nuovo, non si aggiungono nuovi sacramenti. Non si giunge alla santità per una strada che non sia tracciata dal Vangelo.

Così, nel campo del culto, le benedizioni del santissimo Sacramento ci hanno portati a venerare con maggiore pienezza il mistero della reale presenza eucaristica: in ciò rappresentano un progresso, ma non ci inducono certo a venerare chissà quale mistero, ad esempio quello di un Cristo evolutore o di un Cristo cosmico. Inteso in questo senso, il progresso non rappresenterebbe che una corruzione.

Parimenti, nella vita spirituale, una Giovanna d’Arco ha posto in una luce sconosciuta sino al secolo XV la via del sacrificio nelle responsabilità temporali, e in questo senso possiamo parlare anche qui di progresso; ma esso non consiste assolutamente (ed è evidentissimo) nel fatto che Giovanna d’Arco avrebbe scoperto una santità diversa da quella del Vangelo per coloro che esercitano delle responsabilità temporali e sono colpiti dall’insuccesso e dal tradimento. Un’altra santità da scoprire non esiste, poiché Gesù è il solo santo, “ Tu solus sanctus “, e da lui deriva ogni santità. L’unica cosa da fare è di lasciarsi plasmare dalla sua azione, lasciarsi purificare e santificare dallo Spirito Santo. Solo allora, per l’ennesima volta, rifulgerà la novità imprevedibile degli effetti della sua grazia e l’immutabile Magnificat verrà cantato con un timbro di voce non ancora udito.


Padre R.Th. Calmel O.P. (brano tratto dal libro Teologia della storia)

 

(*) Sono ritornato spesso su questo tema. Trascrivo il mio articolo del dicembre 1962, pubblicato su “Itinéraires”, n. 68:”Che cosa serve all’uomo conquistare l’universo se poi perde la sua anima”. L’avvertimento solenne del Verbo di Dio incarnato che “sapeva ciò che vi è nell’uomo”, conserva ancora la sua terribile attualità nel secolo degli astronauti come nei lontani giorni in cui il Figlio dell’Uomo faceva la sua entrata nella città santa, fra le acclamazioni della folla, su di un’asina seguita dal suo asinello. Per l’uomo il pericolo di perdere l’anima dedicandosi alla dominazione della terra non è meno minaccioso nel secolo XX di quanto lo fosse nel primo. E lo è persino di più poiché l’uomo venendo sempre al mondo con la deprecabile inclinazione ad accontentarsi di questa terra distaccandosi da Dio, e per il fatto che il progresso tecnico gli ha permesso di dominare sempre più questo mondo, è ancora maggiormente esposto ad allontanarsi dal suo creatore e salvatore.

Mi potrete obiettare che ci sono la grazia, la Chiesa e la proiezione di una civiltà cristiana; quindi, avremmo i mezzi per non volgere contro il vero bene umano, contro il nostro bene integrale, il progresso che realizziamo in un determinato campo, per esempio in fisica, in meccanica o in biologia. L’obiezione è interessante.

Rimane però il fatto che gli uomini nasceranno sempre con le tre concupiscenze; il battesimo che ci purifica e che ci permette di vincerle non ci conferisce tuttavia la sicurezza infallibile di non cedere mai alle loro lusinghe.

Quanto alla civiltà cristiana, constatiamo ogni giorno a qual punto sia deteriorata; possiamo anche immaginare quanto le sarà difficile realizzare l’integrazione umana del progresso tecnico. Infatti, se i cristiani incontravano già abbastanza difficoltà nell’istituire dei “buoni costumi e delle giuste leggi” in epoche in cui la nostra avidità nell’inebriarci dei beni di questo mondo non disponeva che di modesti mezzi, non vi accorgete che ora viene richiesta loro una grande dose di saggezza, di moderazione e di spirito di rinuncia, più che mai necessari, poiché gigantesche coppe, una più invitante dell’altra, sono oggi a portata della nostra mano?

Mi domanderete: Ma dove intendete arrivare con queste considerazioni negative? Semplicemente a demistificare l’idea di progresso tecnico. Intendo unicamente portarvi a collocare tale progresso in rapporto all’uomo, aiutandovi a prendere coscienza, almeno in parte, di ciò che l’uomo è in realtà. Ma rassicuratevi. Non è mia intenzione escludere il progresso tecnico: non penso simili sciocchezze. Non ignoro le parole del Genesi, l’invito del creatore all’essere spirituale e libero uscito dalle sue mani, puro e perfetto, nel paradiso di delizie: “Dominate la terra e sottomettetela.


Documento stampato il 18/04/2024