Come la Fede ci fa vincere il mondo

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Che cos’è la fede? È l’omaggio totale della intelligenza alla veracità divina.

Dio, mostrandoci il Figlio a sè uguale, ci disse: «Ascoltatelo» (Mt 17,5); e il Cristo a sua volta: «Io sono l’unico Figlio dl Dio; e ciò che conosco dei segreti eterni rivelo a voi; la mia parola è infallibile, perchè Io sono la Verità» (Mt 11,27; Gv 14,6). Accettando la testimonianza di Gesù, e accordando a ogni sua parola, a ogni suo detto, l’assentimento dell’intelligenza, noi facciamo un atto di fede.

Ma dev’essere una fede integra, che si estende, nel suo oggetto, a tutto ciò che ha detto o fatto il Cristo Gesù: non dobbiamo soltanto credere alle sue parole, ma nella divinità della sua missione, al valore infinito dei suoi meriti e della sua soddisfazione: la nostra fede deve abbracciare tutto il Cristo. Quando è ancora viva ed ardente, ci fa cadere ai piedi di Gesù per compiere tutti i suoi voleri; ci stringe a lui per non più abbandonarlo: è la fede perfetta, che si espande nella speranza e nell’amore.

Per essere cristiani bisogna averla cotesta fede in Gesù Cristo; non si può portar questo nome se non si preferisce la parola, la volontà e i comandamenti di Cristo alle nostre proprie idee, ai nostri vantaggi personali.

Il monaco la possiede certamente; ma in lui essa è più feconda: gli fa anche abbandonare il mondo per unirsi a Gesù Cristo. Perchè siamo noi usciti dal mondo? Perchè abbiamo creduto alla parola di Cristo: «Vieni, seguimi, e sarai perfetto» (Mt 19,21). E noi abbiamo risposto al Signore: «Tu mi chiami? Eccomi. Ho In te fede così grande, sono così persuaso che sei la via, la verità, la vita, così convinto che troverò tutto In te, che voglio aderire a te solo. Tu sei così potente da sollevarmi al tuo Padre che è nei cieli; coi tuoi meriti infiniti e con la tua grazia mi puoi rendere simile a te afflnchè sia gradito al Padre; mi puoi far raggiungere la perfezione più alta e la suprema beatitudine; e perchè lo credo fermamente e ho fiducia in te che sei il bene infinito, senza del quale tutto è vano e sterile, mi voglio stringere a te solo, e abbandonar tutto per servirti. — Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te» (Ib 27). È questo un atto di fede pura nell’onnipotenza e bontà infinita di Gesù Cristo.

Questo atto di fede è appunto, dice S. Giovanni, una vittoria sul mondo «Haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra». E subito soggiunge che è la fede che noi abbiamo nel Cristo, Figlio del Dio vivo; «Quis est qui vincit mundum, nisi, qui credit quoniam Jesus est Filius Dei?» (1Gv 5,4.5). Meditiamo un poco coteste parole, importantissime per l’anima nostra.

Che significa «vincere mundum», vincere il mondo? Il mondo qui indica non i cristiani, fedeli discepoli di Gesù Cristo, obbligati dalla loro posizione a viverci; ma coloro per i quali esiste solo la vita naturale; e che restringono ogni loro desiderio, ogni loro gioia alla vita di quaggiù. Questo mondo ha principi, massime e pregiudizi ispirati, come dice S. Giovanni, dalla concupiscenza degli occhi, dalla concupiscenza della carne, dall’orgoglio della vita (1Gv 2,16). È questo il mondo per cui il Divin Salvatore non prega (Gv 17,9); e perchè? Perché tra Gesù e il mondo c’è assoluto divario: questi respinge le massime del Vangelo; la croce è per lui scandalo e follia.

Il mondo ci presenta ricchezze, onori, piaceri; egli adulava in noi l’uomo naturale e ci attirava con le sue lusinghe; ma noi, seguendo il Cristo e aderendo solo a lui, lo respingemmo; superammo ogni sua offerta o promessa per il cuore o per il corpo, e ci mostrammo insensibili alle sue attrattive. È la vittoria sul mondo.

Chi ha dato il trionfo? La fede in Gesù Cristo.

Ci siamo offerti a lui perché crediamo che egli è Figlio di Dio, e quindi è perfezione e beatitudine suprema. Osservate il giovane ricco, che si presenta a Dio e vuole essere suo discepolo: domanda che cosa deve fare per ottener la vita eterna; e Nostro Signore, che al subito vederlo lo amò, «intuitus eum dilexit eum» (Mc 10,21), gli suggerisce prima l’osservanza dei Comandamenti. «Li ho custoditi fin dall’adolescenza — risponde il giovane» (Ib 20). Allora il Maestro si eleva al consiglio: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi, ciò che hai, dallo ai poveri; e vieni, seguimi» (Mt 19,21). Ma, dice il Vangelo, quel giovane, dopo simili parole, se ne andò molto triste (Ib 22), e non seguì il Divin Salvatore. Perché si ritirò egli? Perchè aveva grandi ricchezze; il mondo lo teneva avvinto coi suoi beni; e poichè non ha creduto che il Cristo sia il tesoro infinito, non potè vincere il mondo. Ma a noi il Cristo Gesù ha dato la luce della fede; è la vocazione; e in questa luce, la quale ci mostrava la vanità del mondo, le cui gioie sono vuote, le opere sterili, e ci rivelava che cosa sia la perfezione, l’imitazione di Cristo, noi abbiamo vinto il mondo «Haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra». Vittoria fortunata, che ci svincola dalla dura servitù per darci la libertà dei figli di Dio; affine di poterci unire pienamente a colui che solo merita il nostro amore!

Ciò che rende tanto preziosa cotesta vittoria è la sua speciale natura di dono insigne a noi fatto dal Cristo: lo pagò col suo sangue. Diceva egli ai suoi discepoli negli ultimi momenti della sua vita: «Confidate; io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). Come lo ha vinto? col danaro? con l’appariscenza delle azioni esteriori? No; giacchè per il mondo Gesù non era altro che il figlio del fabbro di Nazareth: fabri filius. Visse umile per tutta la sua vita: nacque in una stalla, lavorò in una officina; durante le corse apostoliche non ebbe luogo in cui posare il capo; e i sapienti del mondo alzano le spalle al solo pensiero che si possa trionfare con la povertà e la rinuncia. Gesù vinse il mondo forse coll’immediato buon successo nelle cose temporali? o con altri vantaggi naturali che fanno colpo e portano al dominio? No davvero; fu beffato e crocifisso. Agli occhi dei savii d’allora, la sua missione finì male, con la croce; i suoi discepoli sono dispersi, la folla scuote il capo; i Farisel sogghignano: «Ha salvato gli altri e non può salvar se stesso; scenda dalla croce, e allora — ma allora soltanto — gli crederemo» (Mt 27,42).

Ma lo scacco era solo apparente; e allora appunto Gesù riportava la vittoria. Agli occhi del mondo, per chi guarda secondo la natura, Gesù era un vinto; ma agli occhi di Dio egli era proprio allora il vincitore del principe delle tenebre e del mondo: «Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo. — Confidite; ego vici mundum». E da quell’ora il Cristo Gesù è stato costituito dal Padre come re delle nazioni (Sal 2,6); non v’è sulla terra altro nome nel quale possiamo trovar salvezza e grazia (Atti 4,12; Sal 109,1) e i suoi nemici gli faranno da sgabello ai piedi (Eb 1,13; 10,13).

Gesù dà ai suoi discepoli il potere di vincere in egual maniera il mondo; e come li rende partecipi della vittoria? Con l’adottarli a figli di Dio nella fede. Questo profondo insegnamento di San Giovanni va chiarito meglio.

Dio è l’essere per eccellenza, la vita; egli conosce se stesso; s’intende con pienezza, ed esprime con parola infinita, tutto ciò che è: cotesta parola è il Verbo, che esprime tutta l’essenza divina, non solo considerata in se stessa, ma in quanto può essere esternamente imitata. Nel Verbo, Dio contempla l’esemplare di ogni creatura, anche di quelle possibili; nel Verbo è tutta la vita. «In principio era il Verbo e il Verbo era Dio; senza di lui nulla è stato fatto, e ciò che è stato fatto era vita in lui... — In principio erat Verbum... et Deus erat Verbum... Sine ipso factum est nihil; quod factum est in ipso vita erat» (Gv 1,1-4).

La vita naturale ha l’origine prima dal Verbo, ma ci viene immediatamente dai genitori. Però voi sapete che noi siamo chiamati a uno stato superiore, partecipando alla vita stessa di Dio e alla sua natura: «Efficiamini divinae consortes naturae» (2Pt 1,4); e cotesta vocazione a un’infinita beatitudine è opera d’amore per eccellenza, la quale corona, — e in un senso profondo spiega — tutto il resto. La vita naturale viene dalle mani divine: «Manus tuae fecerunt me et plasmaverunt me totum in circuitu» (Gb 10,8; Sal 118,73); ma la vita soprannaturale sgorga dal suo Cuore. Vedete, diceva S. Giovanni, quale amore il Padre ci ha dimostrato, facendo sì che possiamo chiamarci figli di Dio ed essere veramente tali: «Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur et simus (1Gv 3,1). Cotesta vita divina non distrugge la natura in ciò che ha per sè e che è un bene; ma la innalza e la trasfigura, rendendola capace di far di più, conferendole altri diritti e altri bisogni.

La sorgente di questa vita divina è ancora nel Verbo; da lui si effonde; in lui Iddio ci vede, non quali semplici creature, ma in istato di grazia. Ogni predestinato rappresenta un’idea eterna di Dio: «Volontariamente egli ci generò nella sua parola di verità. — Voluntarie enim genuit nos verbo veritatis» (Gc 1,18); il Cristo, Verbo Incarnato, è l’immagine a cui dobbiamo conformarci in quanto figli di Dio: «Praedestinavit [nos] conformes fieri imaginis Filii sui» (Rm 7,29). Egli è Figlio di Dio per natura; noi, per grazia; ma la stessa vita divina inonda l’umanità di Cristo e le anime nostre; figlio unico, nato da Dio nei santi splendori di una generazione eterna e ineffabile, il Cristo è Figlio di Dio vivo, perchè possiede in sè la vita; e, anzi, la vita stessa: «Ego sum vita» (Gv 16,6); e s’incarna per comunicarla a noi: «Ego veni ut vitam habeant» (Ib 10,10).

Come potremo partecipare a cotesta vita? Ricevendo Cristo per mezzo della fede. «A tutti quelli che l’hanno accolto ha dato il potere di diventar figli di Dio, a quelli che hanno creduto nel nome suo e sono nati da Dio. — Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine ejus... qui ex Deo nati sunt» (Gv 1,12 e 13). Il nostro ingresso nella nuova vita è una vera nascita, che avviene per mezzo della fede e del battesimo, sacramento di adozione: «Renatus ex aqua et Spiritu Sancto» (Ib 3,3.5); per questo scrive S. Giovanni: «Chi crede nel Figlio di Dio, da lui è nato. — Qui credit quoniam Jesus est Christus, ex Deo natus est» (1Gv 5,1).

Ecco dunque: per nascere da Dio, per essere figli di Dio bisogna credere in Gesù Cristo e accoglierlo: la fede è il fondamento di cotesta vita soprannaturale, che ci fa partecipare in modo ineffabile alla vita divina; la fede ci introduce in quest’atmosfera soprannaturale, che gli occhi dei mondani non possono penetrare: «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. — Vita vestra est abscondita cum Christo in Deo» (Col 3,3). E’ la sola vita vera, perchè non finisce con la morte naturale, ma fiorisce nell’eternità con una beatitudine completa.

Il mondo non vede, o meglio, non vuol vedere e conoscere altro che la vita naturale, per l’individuo e per la società; stima ed ammira solo ciò che apparisce, che brilla, che si effettua quaggiù; e giudica solo dall’esterno, secondo gli occhi della carne; si affida solo agli sforzi umani, alle virtù naturali. E’ il suo solito modo: trascura e misconosce per sistema la vita soprannaturale e si burla della perfezione che oltrepassa la ragione; e davvero i raziocini umani possono produrre solo risultati naturali; lo sforzo della natura ha per effetto una produzione dello stesso ordine naturale: «Ciò che è nato dalla carne è carne, dice S. Giovanni: — Quod natum est ex carne, caro est» (3,6); e quello che può produrre la natura sola agli occhi di Dio non ha valore. «Caro non prodest quidquam» (6,64). Un uomo che non ha la fede nè la grazia, può con lo sforzo della volontà vigorosa e perseverante acquistare una certa perfezione naturale; può diventare buono, integro, leale, giusto; ma si tratta di virtù morali umane, e sempre manchevoli, per certi lati; tra esse e la virtù soprannaturale, e la beatitudine eterna, c’è un abisso. Eppure il mondo si contenta della perfezione e della vita naturale.

La fede invece si solleva con un colpo d’ala; e trasportando l’anima più in su dell’universo intero, la innalza fino a Dio; Essa ci fa nascere da Dio, ci rende suoi figli, nel Cristo, e ci fa anche vincitori del mondo: è la dottrina mirabile di S. Giovanni nella sua Epistola: «Chi è nato da Dio trionfa sul mondo... E chi vince il mondo se non colui il quale crede il Cristo Figlio di Dio? — Omne quod natum est ex Deo vincit mundum... Quis est qui vincit mundum, nisi qui credit quoniam Jesus est Filius Dei?» (1Gv 5,4-5).

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Il giusto, ossia colui che nel Battesimo è rinato nella giustizia, vive, come tale, di fede e di luce, ricevute nel sacramento d’illuminazione; e più vive di fede, più gode la vera vita soprannaturale, verificando in sè la perfezione dell’adozione divina. Notate bene quest’espressione: ex fide. Che cosa significa precisamente? Che la fede deve esser la radice di ogni nostro atto, di tutta la nostra vita. Ci sono anime che vivono «con fede: cum fide»; hanno la fede, e innegabilmente la praticano; ma se ne ricordano efficacemente soltanto in certe occasioni; per esempio, alla Messa, alla Comunione, all’Ufficio divino; perchè in queste azioni essa viene eccitata, essendo di per se stesse dirette a Dio, soprannaturali.

Ma si direbbe che queste anime se ne contentano; e finiti gli esercizi, entrano in un’altra atmosfera, nella vita puramente naturale. Se l’obbedienza comanda loro un atto penoso, mormorano; se un confratello ha bisogno d’aiuto, non se ne accorgono; stuzzicate, impermaliscono. Sono in questi momenti illuminate dalla fede? Ad ogni modo, non ne vivono; in teoria conoscono che l’abate fa le veci di Cristo, che il Cristo vive in ciascuno dei nostri fratelli, che dobbiamo dimenticare noi stessi per imitare Gesù obbediente; ma in pratica, è come se queste verità per loro non valessero, perchè sono senza influsso sulla vita, ed essi non agiscono in virtù della fede che hanno; la adoperano in certe circostanze, ma poi ridiventano puramente naturali e pare che abbiano per un certo tempo messo la fede in disparte. La vita naturale prepondera, ridiventa dominatrice; e questo non è certo un viver di fede: ex fide vivere.

Una vita simile, così poco omogenea non può essere stabile nè ferma; è alla mercè delle impressioni, degli impulsi del temperamento e dell’amore, della salute cagionevole, delle tentazioni: e cambia ogni giorno, secondo la capricciosa bussola che la guida.

Quando invece la fede è vivace, forte, ardente, e noi viviamo in lei, quando ci guidiamo sempre coi principi di fede, che è la radice di ogni nostra azione, il principio interiore di ogni nostra attività; allora diventiamo forti e stabili, anche nelle difficoltà esteriori ed interiori, nelle oscurità, contraddizioni, tentazioni. E perchè? Perchè giudichiamo tutte le cose come Dio le vede, le giudica, le stima; partecipiamo all’infallibilità, all’immutabilità, alla stabilità divina.

È ciò che disse Nostro Signore: «Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica — ossia, vive di fede — sarà come l’uomo savio, che fabbricò la casa sulla pietra. Cadde la pioggia, si gonfiarono i torrenti, i venti si scatenarono contro d essa, ma non poterono rovesciarla». E aggiunse subito Gesù: «perchè era fondata sulla pietra» (Mt 7,25).

Noi lo proviamo quando abbiamo fede viva e profonda. Viviamo allora di vita soprannaturale; entriamo nella famiglia di Dio, apparteniamo alla sua casa divina, «della quale Cristo, dice San Paolo, è la pietra angolare. Ipso summo angulari lapide Christo Jesu» (Ef 2,20). Per la fede ci stringiamo a lui, e l’edificio della nostra vita soprannaturale diventa per lui fermo e stabile; il Cristo ci rende partecipi della fermezza che è propria della roccia divina, contro la quale non prevarranno le furie infernali: «Portae inferi non praevalebunt» (Mt 16,18). Così divinamente sostenuti, vinciamo gli assalti e le tentazioni del mondo e del demonio, principe del mondo: «Haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra» (1Gv 5,4). Il diavolo, e il mondo di cui si serve come complice, ci violentano o ci sollecitano; ma noi vinciamo i loro assalti per la fede nella parola di Gesù.

Avrete osservato che il demonio insinua sempre il contrario di quello che Dio afferma; e ne fecero la triste esperienza i nostri progenitori: «Il giorno in cui mangerete il frutto proibito, morrete» (Gn 2,17); ecco la parola divina. Il demonio impudentemente dice il contrario: «Non morrete - Nequaquam morte moriemini» (Ib 4). Quando noi prestiamo l’orecchio al demonio, di lui ci fidiamo e mostriamo di avere fede in lui, non in Dio; ma il demonio è «padre di menzogna e principe delle tenebre» (Ef 6,12); mentre Dio è la verità (Gv 14,6); è la luce senza tenebre (1Gv 1,5); se ascoltiamo lui, vinceremo sempre. Che fece nella tentazione Nostro Signore, che è modello per noi in ogni cosa? Ad ogni invito del maligno oppose l’autorità della divina parola; dobbiamo far lo stesso, e respingere gli assalti dell’inferno con la fede nella parola di Gesù. Il demonio ci dice: «Come mai il Cristo può essere presente sotto le specie del pane e del vino?». Rispondiamogli: «Il Signore ha detto: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue (Mt 26,26 e 28); egli è la verità, e questo mi basta». Il demonio ci suggerisce di vendicare le ingiurie, gli affronti; rispondiamogli: Il Cristo ha detto che ciò che faremo al minimo dei nostri fratelli lo faremo a lui (Ib 25,40); dunque se volontariamente dimostro ai miei fratelli un sentimento di freddezza, o lo serbo in cuore, offendo Gesù».

Altrettanto si dica del mondo: lo vinceremo con la fede; perchè quando si crede fermamente in Cristo, non si temono le difficoltà, nè le contraddizioni; nè i giudizi del mondo; il Cristo abita in noi per la fede e ci appoggiamo sopra di lui. Gesù lo assicurava esplicitamente a S. Caterina, quando la mandava attorno per il bene della Chiesa, e per ricondurre il Sommo Pontefice da Avignone a Roma. La Santa, nella sua dolcezza e umiltà temeva una missione che portava seco gravissime difficoltà; ma Gesù le disse: «Poichè hai la forza della fede, tu trionferai felicemente di ogni avversario» (Vita scritta dal B. Raimondo). Nel suo Dialogo, Caterina parla della fede con santo entusiasmo: «Nel lume della fede, dice rivolgendosi al Padre, acquisto quella sapienza che si trova nella sapienza del Verbo, tuo Figlio; nel lume della fede divengo più forte, più costante, più perseverante; nel lume della fede io trovo la speranza che tu non mi lascerai mai venir meno nel cammino. Cotesta luce m’insegna la via per cui debbo passare; senza di essa camminerei nelle tenebre; ed ecco perchè, Padre santo, ti ho domandato d’illuminarmi col lume della santissima fede».

Domandiamo noi pure al Padre, al Cristo Gesù, suo Verbo, questa luce della fede. Noi abbiamo avuto il germe nel battesimo; dobbiamo conservarlo, svilupparlo; e come potremo noi cooperare con Dio su questo punto?

Egli vuole anzitutto che preghiamo. La fede è un dono di Dio; lo spirito di fede viene dal suo spirito. «Signore, aumenta in noi la fede. — Adauge nobis fidem» (Lc 17,5). Diciamo spesso a Gesù, come nel Vangelo il padre del povero lunatico: «Credo, Signore, ma aumenta la mia fede; ma aiuta la mia incredulità. — Adjuva incredulitatem meam» (Mc 9,23). Dio solo può, come causa efficiente, aumentare in noi la fede, ma dobbiamo meritare l’accrescimento con le preghiere e le buone opere.

Ottenuta la fede, abbiamo il dovere di esercitarla. Dio al battesimo ce ne conferisce l’habitus; è una forza, una potenza; quest’energia non deve restar inattiva, quest’abitudine non si deve irrigidire, ma fortificarsi sempre più con atti corrispondenti. Non lasciamo la fede sonnecchiare in noi; rinnoviamone spesso gli atti, non solo durante gli esercizi di pietà, ma eziandio, come vuole il santo Patriarca, in ogni momento della vita: quotidie, poichè dobbiamo sempre camminare nella sua luce.

Per S. Benedetto, come avrete notato, la fede è sempre pratica, non si separa mai dalle opere; egli vuole che abbiamo succinti i lombi con la fede e le buone operazioni (Prologo), e non promette gioia e beatitudine se non facciamo progresso tanto nell’operare quanto nel credere: «Processu vero conversationis et fidei» (Ib). Guardiamo ogni cosa con l’occhio della fede soprannaturale, che è il solo vero; e facciamo in modo che l’operare vi corrisponda, compiendo ogni azione in questa luce. Allora, potremmo dire che la fede si traduce nell’amore, diventando logicamente e praticamente perfetta, perchè l’anima per amore ne adempie le opere.

Così armati spiritualmente, eviteremo il formalismo, che è un grande nemico della vita regolare, e l’ardore della fede animerà ogni nostro menomo atto. Con questo la nostra vita sarà luminosa e lieta; ogni piccolo particolare della giornata sarà per noi una perla preziosa, e la vorremo acquistare per il tesoro del cielo. Più avanzeremo nella fede, più essa diventerà ardente, ferma, attiva, più l’anima nostra sarà inondata di gioia; procederemo di chiarezza in chiarezza, la speranza si farà sempre più vasta e ferma, l’amore più fervente ci renderà facile il cammino; e noi correremo nella via dei comandamenti del Signore. Ce ne assicura il grande Patriarca perchè ne aveva fatto esperienza. Ascoltiamo che cosa dice alla fine del Prologo dopo averci indicato lo scopo da raggiungere e mostrata la via: «Poi per uso di buona operazione e di fede, con dilatato cuore, per dolcezza d’amore che non si può esprimere, si corre per la via dei comandamenti di Dio. — Processu vero conversationis .et fidei, dilatato corde, inenarrabili dilectionis dulcedine, curritur via mandatorum Dei». S. Benedetto non ci dice che il monaco sarà lieto solo in certi momenti, ma gli promette la dilatazione del cuore nella gioia. Nel cielo godremo poi il possesso sicuro, perfetto, inammissibile del bene supremo e immutabile, nel pieno lume di gloria; quaggiù troveremo la gioia nel possesso iniziato da Dio, nell’unione a lui anticipata; possesso e unione tanto più intime quanto più saremo immersi nella luce della fede.

Abbiamo bisogno di cotesta gioia; Dio stesso ha formato il nostro cuore, e l’ha fatto tale che gli è necessaria l’allegrezza. Ci sono anime che vivono assorte nella speranza delle gioie eterne, ma sono poche privilegiate; e noi, che abbiamo lasciato tutto per seguire il Cristo, non possiamo mendicare la gioia dalle creature; dobbiamo aspettarla solo da Cristo. «Quid ergo erit nobis?» (Mt 19,27). Che cosa avremo? Il centuplo, che egli ci promette fin d’ora; e la gioia è compresa; gioia alimentata dalla fede, la quale ci mostra la grandezza e la beltà della vita soprannaturale a cui Dio ci ha chiamati. «Son io la vostra ricompensa magnifica — Ego merces tua magna nimis» (Gn 15,1). Ci mostra l’elevatezza e la sublimità della vocazione monastica, che ci fa vivere nella famiglia di Cristo; poichè per amore l’abbiamo preferito a tutto, come dice S. Benedetto.

La fede ci dà gioia anche perchè è sorgente di verità e di speranza; è il pegno dei beni promessi e già ce ne dà il possesso: «Sperandarum substantia rerum» (Eb 11,1). Essa ci rende come tangibili fin d’ora le realtà soprasensibili, le sole che durino eternamente.

Viviamo dunque di fede, quanto ci è possibile con la grazia di Cristo; tutta la nostra esistenza ne sia investita profondamente, e in ogni minimo atto, come vuole il nostro santo Patriarca. Allora non saremo feriti dalle tentazioni, il nostro edificio sarà fissato sulla roccia della stabilità divina, e vinceremo ogni assalto del mondo e del demonio; liberati dai nostri nemici, vivremo nella luce della mente e nella gioia del cuore. Quando Nostro Signore nell’ultima Cena rivelava ai discepoli i secreti divini che egli solo possedeva — poichè: «Nessun conosce il Padre tranne il Figlio, e colui a cui egli si compiace rivelarlo — Neque Patrem quis novit nisi Filius, et cui voluerit Filius rivelare» (Mt 11,25; Lc 10,22) — quale era l’intimo significato e lo scopo delle infallibili rivelazioni di Dio ai suoi figli? Colmarli di gaudio con la sua stessa gioia divina: «Vi ho detto coteste cose affinchè sia in voi la mia gioia, e sia gioia perfetta - Haec locutus sum vobis ut gaudium meum in vobis sit, et gaudium vestrum impleatur» (Gv 15,11).


Columba Marmion (Cristo Ideale del Monaco - Conferenze spirituali) 


Documento stampato il 29/03/2024