Tobia, il racconto

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Il libro di Tobia fa parte dei libri deuterocanonici, cioè dei libri della Bibbia utilizzati nel canone della Chiesa romana. Originariamente scritto in aramaico, grazie alla traduzione latina di S. Girolamo e l'utilizzo in ambito liturgico da parte di numerosi santi, quali S. Agostino, S. Policarpo, S. Clemente di Alessandria, S. Atanasio e S. Ambrogio, la Chiesa incluse il libro di Tobia tra quelli canonici solo nel Concilio di Trento, nel 1545, dove dichiarò definitivamente che tale libro era da considerare tra quelli ispirati. L'utilizzo in ambito liturgico è molto limitato, non compare mai nelle letture della domenica, ma viene utilizzato nell'Introito della Messa per gli sposi. La storia di Tobia ci insegna che anche in mezzo alle disgrazie della vita dobbiamo sempre affidarci a Dio, che non abbandona mai chi confida in Lui.

La storia di Tobia

Tobia, della tribù di Neftali, era stato fatto prigioniero dal re degli Assiri, Salmanassar. Ma nonostante la schiavitù, egli continuava ad operare col timor di Dio, tanto che ogni giorno assisteva con l'elemosina i suoi compagni d'esilio. Tobia si era sempre comportato in modo giusto, sin da giovane, osservando la Legge e i precetti. Quando tutti andavano ad adorare i vitelli d'oro costruiti dal re d'Israele, Tobia invece si recava a Gerusalemme, al tempio del Signore, e lì offriva fedelmente tutte le sue primizie e le decime, e allo stesso modo distribuiva i suoi averi ai forestieri e ai proseliti. Quando aveva raggiunto l'età, prese in moglie Anna e generò con lei un figlio, a cui diede il suo stesso nome, insegnandogli sin dall'infanzia a temere Dio e a fuggire il peccato. Ed ecco che, fatto prigioniero insieme con tutta la sua famiglia, Tobia mantenne pura la sua anima, rimanendo fedele a Dio con tutto il cuore.

Dio guardò la devozione di Tobia e fece in modo ch'egli trovasse favore presso il re che lo teneva prigioniero, il quale gli permise di andare dovunque volesse e di fare con libertà qualsiasi cosa.

Arrivò però il tempo in cui il re Salmanassar morì, e prese il trono suo figlio, Sennacherib; quest'ultimo odiava i figli d'Israele e ne fece uccidere e perseguitare in gran numero. Tobia, al contrario, si adoperava per riparare come poteva l'ira del re, andando a visitare i suoi parenti, consolandoli e soccorrendoli privandosi delle sue stesse sostanze; Tobia dava da mangiare agli affamati, vestiva gli ignudi, seppelliva i morti. Quando il re ebbe saputo delle opere buone che Tobia riservava alla sua gente, ordinò ch'egli fosse ucciso e che fosse privato di tutti i suoi averi: Tobia, però, riuscì a fuggire con la moglie e col figlio, aiutato dalla stessa gente che aveva beneficiato, e nascosto tra di loro apprese la notizia della morte del re, ucciso dai suoi stessi figli. Così, Tobia ritornò alla sua casa, e tutti i suoi averi gli furono restituiti.

Tobia continuò a seppellire i morti, nonostante i rimproveri di chi poco prima lo aveva nascosto dalla furia del re; portava nella sua casa i corpi degli uccisi, li nascondeva e nel cuore della notte li seppelliva, temendo più Dio che gli uomini.

Accadde dunque un certo giorno che, stanco del lavoro della sepoltura, tornato a casa, si sdraiò presso il muro, e s'addormentò. Ora, mentre dormiva, da un nido di rondini gli cadde sugli occhi dello sterco caldo, e lo rese cieco. Questa prova permise il Signore che gli sopravvenisse, acciocché i posteri avessero l'esempio della pazienza di lui, come di quella del santo Giobbe. (2, 10-12)

Tobia infatti non si lamentò col Signore di quella disgrazia, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendo grazie al Signore per tutti i giorni della sua vita. E così com'era capitato a Giobbe, anche per Tobia vi furono parenti e prossimi che lo schernivano e, insultandolo, dicevano: “Dov'è ora la tua speranza, tu che seppellivi i morti e facevi le elemosine?”. Ma Tobia rispondeva: “Non dite così; perché noi siamo figli di santi, ed aspettiamo la vita che Dio darà a quelli che non perdono mai la loro fede in Lui”. Anche la moglie Anna lo rimproverava, reputando inutili le opere buone da lui compiute tutta la vita. Allora Tobia, piangendo, pregò il Signore:

Tu sei giusto, o Signore, e giusti sono tutti i tuoi giudizi, e tutte le tue vie sono misericordia, verità e giustizia. Ora, Signore, rammentati di me: non far vendetta dei miei peccati, e non ricordare i peccati miei e dei miei genitori. Siccome non obbedimmo ai tuoi comandamenti, ecco che siamo stati spogliati, fatti prigionieri, messi a morte, e divenuti la favola e il ludibrio di tutti i popoli tra i quali Tu ci hai dispersi. Grande è, Signore, la tua giustizia, perché non abbiamo agito in conformità dei tuoi precetti, e non abbiamo camminato rettamente dinnanzi a Te. Ed ora, Signore, fa di me secondo la tua volontà, e comanda che l'anima mia passi in pace; perché per me è meglio morire che vivere”. (3, 2-5)

Tre giorni prima, accadde che una fanciulla di nome Sara, della città dei Medi, si sentì rimproverare ingiustamente da una sua ancella, che la reputava un'assassina. Sara, anch'ella timorata di Dio, era perseguitata da un demonio, di nome Asmodeo: Sara aveva già avuto sette mariti, e tutti e sette erano morti per opera del diavolo non appena le si erano avvicinati. Quel giorno, dunque, dopo essere stata così accusata, Sara si chiuse nella sua camera tre giorni e tre notti, senza mangiare né bere, ma continuando ininterrottamente a pregare. L'ultimo giorno, con lacrime e gemiti, pregò il Signore di liberarla da quella maledizione. Ed il Signore nello stesso giorno ascoltò la preghiera di Sara e di Tobia, e mandò l'arcangelo Raffaele.

Tobia, credendo che la sua preghiera di poter morire sarebbe stata presto esaudita, chiamò suo figlio, il giovane Tobia, e gli diede diversi ordini: di onorare sua madre finché fosse vissuta; di dare degna sepoltura ai suoi genitori quando fossero venuti meno; di avere sempre Dio come unico pensiero; di fare elemosine; di evitare a qualunque costo il peccato, la fornicazione, la superbia e qualunque vizio; di essere giusto con il prossimo; di benedire in ogni circostanza il nome del Signore. E così dicendo, con numerosi consigli, infine gli raccomandò:

Ti faccio sapere, figlio mio, che quando tu eri bambino, io detti dieci talenti d'argento a Gabelo, in Rages città della Media, ed ho presso di me la sua ricevuta. Cerca dunque il modo di andare da lui, per riaverne la detta somma d'argento, e rendergli la sua ricevuta. Non temere, figliuol mio; noi conduciamo veramente una vita da poveri; ma avremo grandi beni se temeremo il Signore, se staremo lontani da ogni peccato, ed opereremo il bene”. (4, 21-23)

Il giovane Tobia, preoccupato poiché non conosceva la strada per arrivare da Gabelo, chiese al padre come avrebbe potuto ritirare il denaro, e il padre gli rispose di trovare qualche uomo giusto che lo accompagnasse. Appena uscito di casa, Tobia incontrò un giovane bellissimo, ch'era in realtà Raffaele. Non sapendo fosse l'arcangelo di Dio, Tobia gli chiese chi fosse:

Di dove sei tu, buon giovane?”. Quegli rispose: “Dei figli d'Israele”. E Tobia a lui: “Conosci tu la strada che porta al paese dei Medi?”. Rispose: “La conosco, ed ho fatto più volte tutte quelle strade, fermandomi presso Gabelo nostro fratello, che dimora in Rages città della Media posta sul monte d'Ecbatane”. Tobia allora gli disse: “Aspettami, ti prego, tanto ch'io annunzi queste cose a mio padre”. (5, 6-9)

E rientrato in casa, Tobia riferì ciò che aveva visto e udito al padre, il quale volle che gli fosse presentato il giovane straniero. Avendo appreso ch'egli era di casata nobile e che avrebbe condotto e riportato Tobia sano e salvo da Gabelo e poi al padre, il vecchio Tobia li benedisse per la partenza. Si lamentò molto Anna, la moglie di Tobia, per la partenza del figlio, ma il marito la rassicurò, dicendo che i due giovani erano sicuramente protetti dall'angelo di Dio. La madre tacque e li lasciò andare. Accadde che durante la strada, Tobia e Raffaele si fermarono sul fiume Tigri. 

Andato per lavarvisi i piedi, un pesce enorme uscì per addentarlo. Spaventato, Tobia mandò un gran grido, e disse: “Signore, mi viene addosso!”. Ma l'angelo gli disse: “Prendilo per una branchia e tiralo a te”. Così fece, e lo tirò a secco, e il pesce cominciò a boccheggiare ai suoi piedi. Allora l'angelo disse: “Sventralo, e mettine da parte il cuore, il fiele e il fegato, perché sono necessari per medicamenti molto utili”. (6, 2-5)

Più tardi, dopo che ebbero mangiato le carni del pesce, l'angelo svelò a Tobia che il cuore e il fegato bruciati sul carbone ardente potevano scacciare qualunque sorta di demoni, mentre il fiele era utile per medicare gli occhi.

Tobia e l'angelo continuarono il percorso. Ad un tratto, Raffaele disse a Tobia che in quei pressi abitava un suo parente che aveva una figlia di nome Sara, e gli consigliò di sposarla. Ma Tobia, che sapeva la fine che avevano fatto i sette mariti precedenti della fanciulla, ebbe paura di morire anche lui come loro.

Gli disse allora l'angelo Raffaele: “Stammi a sentire, e ti mostrerò quali sono quelli sui quali il demonio può prevalere. Quelli che vanno al matrimonio dimenticando Dio, solo per sfogare la propria libidine, come il cavallo ed il mulo che non hanno intelletto; su quelli il demonio ha potestà. Ma tu, quando l'avrai ricevuta in sposa, per tre giorni non la toccherai, ed entrato in camera non ad altro attenderai che a pregare con lei. La notte stessa, bruciando il fegato del pesce, verrà messo in fuga il demonio. La seconda notte, sarai ammesso al consorzio dei santi patriarchi. La terza notte, conseguirai la grazia che da voi nascano, sani e salvi, dei figli. Passata poi la terza notte, t'accosterai nel timore del Signore a quella fanciulla, mosso dal desiderio della prole, e non dalla passione, per essere benedetto nei tuoi figli discendenti di Abramo.” (6, 16-22)

Entrarono dunque in casa di Raguele e sua moglie Anna, i quali riconobbero Tobia, figlio di loro cugino. Per la gioia, Raguele ordinò che fosse preparato un grande banchetto, e Tobia chiese subito la mano di Sara. I genitori sbigottirono ad una tale richiesta, perché sapevano quale fine avevano fatto i precedenti mariti, ma l'angelo Raffaele li tranquillizzò, dicendo loro che i mariti precedenti non erano timorati di Dio, e perciò erano morti. Senza più obiezioni, Raguele e Anna acconsentirono e diedero la figlia in sposa a Tobia.

La prima sera di nozze, Tobia si ricordò delle parole dell'angelo e, preso un pezzo di fegato del pesce, lo bruciò sui carboni ardenti. Raffaele prese così il demonio e lo confinò nel deserto dell'Egitto. Tobia ammonì Sara e le disse: “Levati, Sara; preghiamo Dio oggi, domani e domani l'altro. In queste tre notti, non ci uniremo che a Dio; passata poi la terza notte, saremo marito e moglie; giacché noi siamo figli di santi, e non possiamo congiungerci alla maniera dei gentili che non conoscono Dio”. Levatisi dunque ambedue, di gran cuore pregavano il Signore d'esser fatti salvi. (8, 4-5)

Dopo tre giorni, Raguele credeva che anche a Tobia fosse successo come per i precedenti mariti di Sara, ma quando domandò ai servi di vedere se fosse morto, essi gli risposero che dormiva sano e salvo insieme con la moglie. Allora Raguele comprese che il demonio era stato scacciato e fece una grande festa, dove implorò Tobia di trattenersi per due settimane. Il giovane, preoccupato per il tempo che avrebbe trascorso nei festeggiamenti, implorò allora il suo giovane accompagnatore, e gli chiese di raggiungere al posto suo Gabelo e di ritirare il denaro. L'arcangelo Raffaele partì, giunse da Gabelo, ritirò il denaro, gli raccontò le vicende di Tobia e lo convinse a raggiungerlo per i festeggiamenti. E così, anche Gabelo giuse a casa di Raguele e, trovando Tobia che banchettava, benedisse Dio, dicendo: “Iddio di Israele ti benedica, perché sei figlio d'un ottimo e giusto uomo, che teme Dio e fa elemosine; venga la benedizione sopra la moglie tua e sui vostri genitori; possiate vedere i vostri figli, ed i figli dei figli sino alla terza e quarta generazione; e sia la vostra discendenza benedetta dal Dio d'Israele, che regna nei secoli dei secoli”. (9, 9-11)

Già da molti giorni Tobia mancava da casa sua e, nonostante l'insistenza di Raguele per farlo rimanere ancora, si decise a ripartire in fretta, per non angustiare i suoi anziani genitori. Allora i genitori di Sara, baciata ed abbracciata la figlia, diedero a Tobia metà dei loro averi, di servi e serve, armenti, cammelli, vacche e molto denaro; poi, ammonirono Sara di onorare il marito e i suoceri, d'amare il marito, di tenere a dovere la servitù, di governare la casa e di mantenersi irreprensibile.

Partirono dunque gioiosi Tobia, Sara, tutta la servitù e le ricchezze, e il loro giovane accompagnatore, che ancora ignoravano fosse l'arcangelo Raffaele. A metà strada, l'angelo disse a Tobia di affrettarsi ad arrivare dal padre, lasciando che Sara e la servitù li raggiungessero con comodo più tardi; inoltre, gli ricordò, non appena fosse entrato in casa, di ringraziare Dio e poi di salutare il padre, e di spalmare sui suoi occhi ciechi il fiele del pesce. Tobia fece come Raffaele gli aveva consigliato e, raggiunto il padre, adorarono Dio e si abbracciarono, dopodiché, preso del fiele del pesce, lo spalmò sugli occhi del padre. Dopo mezz'ora, dagli occhi cominciò a fuoriuscire una membrana biancastra; Tobia la tolse e suo padre riacquistò la vista. E tutti glorificavano Dio. Dopo sette giorni, giunsero anche Sara e la servitù, e gli armenti e i cammelli, e tutto il denaro della moglie e quello ritirato da Gabelo. Tobia narrò ai suoi genitori tutti i benefizi che aveva ricevuti per merito di quel giovane che lo aveva sempre accompagnato.

Allora Tobia chiamò a sé il figliuolo e gli disse: “Che possiamo noi dare a questo sant'uomo che è venuto con te?”. Rispose Tobia al padre: “Padre, qual mercede gli daremo? Mi ha condotto e ricondotto sano, ha ritirato egli stesso il denaro da Gabelo, m'ha fatto aver moglie, e da essa ha tenuto lontano il demonio, riempì d'allegrezza i genitori di lei, mi liberò da esser divorato dal pesce, ti ha fatto di nuovo veder la luce del cielo, e per suo mezzo siamo stati ricolmati d'ogni bene. Che gli potremo dare di degno per tutto ciò?” (12, 1-3)

Padre e figlio si risolsero di offrire al giovane metà di tutti i loro beni e, chiamatolo, lo pregarono di accettare la loro offerta. Ma Raffaele rivelò loro di aver visto tutte le loro opere buone e le offerte che continuamente avevano rivolte a Dio per tutta la loro vita, e dichiarò di aver portato egli stesso al Signore le loro orazioni; perciò, rivelò di chiamarsi Raffaele, uno dei sette angeli che stanno davanti al Signore. Udite tali parole, Tobia e il padre caddero tremanti con la faccia a terra, ma l'angelo disse loro: “La pace sia con voi; non temete. Se infatti sono stato con voi, è stato per volontà di Dio; Lui benedite, a Lui cantate lodi. A voi sembrava che io mangiassi e bevessi, ma io ho un cibo invisibile e una bevanda che gli uomini non possono vedere. È tempo ch'io ritorni a Colui che m'ha mandato. Voi poi benedite Iddio, e fate conoscere tutte le sue meraviglie”. (12, 17-20)

E detto ciò, l'arcangelo scomparve dai loro occhi, e non lo rividero più. Tobia e il padre rimasero per tre ore prostrati in adorazione, benedicendo Dio; quindi si rialzarono e narrarono tutte le meraviglie compiute dal Signore.

Il vecchio Tobia visse ancora quarantadue anni, maturando sempre di più nel santo timore di Dio, e vide i figli dei suoi nipoti, finché se ne partì in pace. La sua discendenza perseverò in buona vita ed in una santa condotta, così da essere accetti tanto a Dio quanto agli uomini, ed a tutti gli abitanti di quella terra.


Veronica Tribbia


Documento stampato il 19/04/2024