La vita
Nella Giudea, nella città di Nazaret, circa il trentesimo anno prima dell'incarnazione del Verbo divino, nacque Giuseppe, discendente dalla tribù di Giuda e dalla famiglia reale di Davide.
Molti autori affermano che egli sia stato santificato nel ventre della madre, come fu per Geremia o il Battista, per il grande onore che doveva sostenere il padre putativo del futuro Messia e lo sposo della purissima Vergine e Madre Maria Santissima.
Nell'ottavo giorno, secondo il rito della Legge mosaica, fu circonciso, e non senza disposizione divina gli fu imposto il nome di Giuseppe, che significa "aumento", poichè doveva salire ad una sì sublime dignità.
L'anima di Giuseppe, così arricchita dalla grazia divina, aveva sortito un corpo fornito di tutte quelle doti che l'umana natura può dare su questa terra; inoltre, alcuni padri sostengono che riluceva nel volto del fanciullo un'indole superiore a quella umana e un'aria di Paradiso, per cui sembrava un prodigio della natura, uno specchio d'innocenza, un non so che di angelico. La prima e principale cura dei suoi santi genitori fu d'istruirlo nella cognizione del vero Dio, della Legge mosaica, delle promesse fatte ai patriarchi, e d'instillare nel suo tenero cuore le massime più sante e più conformi alla virtù e alla religione. Da una tale virtuosa e sollecita educazione, nacque nel cuore del giovanello Giuseppe un amore così fervente e puro a tutte le virtù, e principalmente alla castità, che fece voto a Dio di verginità, nonostante a quei tempi fosse una virtù ignota, e mai ne macchiò il candore in tutta la sua vita: per questo motivo S. Giuseppe viene ritratto con in mano un candido giglio, simbolo della sua castità incontaminata.
Cresciuto negli anni, gli venne insegnato il mestiere di falegname, il cui lavoro non lo disturbava dall'esercizio di quelle virtù per le quali fu canonizzato dallo Spirito Santo come uomo "giusto". Fu giusto Giuseppe per l'esatta e fedele obbedienza ai suoi superiori; giusto per l'odio e l'orrore concepito ad ogni minimo segno di colpa; giusto per l'inalterabile dominio delle sue passioni; giusto per la sua profonda umiltà, pazienza, mortificazione, amore verso Dio, verso il prossimo, onde poté meritare l'onore di essere fatto sposo della Madre di Dio.
Era Ella giunta verso l'età di quindici anni, adorna di tutte quelle virtù e pregi ormai note, quando il sacerdote, in vece dei genitori ormai morti, decretò di collocarLa in matrimonio. Radunati nel tempio i giovani della tribù di Giuda, con una verga nella destra, mentre ognuno stava raccolto in preghiera in attesa di un segno della divina volontà, ecco che ad un tratto la verga di Giuseppe fiorì: spuntarono foglie da più lati, e con esse un candidissimo fiore. Dopo questo miracoloso evento, una bianchissima colomba, che volava nel cielo, andò a posarsi con placido volo sulla spalla di Giuseppe. Il sommo sacerdote capì il messaggio divino e Maria fu consegnata in sposa a Giuseppe, secondo le cerimonie prescritte dalla Legge.
Compiuto il nobile e santo sposalizio, il novello sposo tutto allegro e contento condusse la sua sposa dal tempio alla casa di Anna, che spettava per eredità alla Vergine; lì si comunicarono vicendevolmente i voti fatti di verginità. Giuseppe esercitò l'uffizio di castissimo tutore della Vergine santa, con la quale condusse una vita interamente innocente e pura; quindi, per togliersi dai tumulti della città, si trasferirono a Nazaret per godere più tranquilli i loro giorni.
Intanto che Maria col suo Giuseppe si tratteneva in spender molte ore del giorno e della notte nella più sublime contemplazione dei divini misteri, e il rimanente della giornata nei lavori e uffizi necessari al governo e al mantenimento della casa, Dio, che nella sua divina mente aveva sin dall'eterno decretata la redenzione dell'uomo, essendo giunta la pienezza dei tempi stabilita dalla sua divina volontà per eseguire la grande opera dell'incarnazione del Verbo, spedì l'arcangelo Gabriele per trarne il consenso della Vergine, la quale chinò il cuore ai divini voleri e diede compimento alle divine promesse.
All'avviso dell'arcangelo del concepimento di sua cugina Elisabetta, Maria andò col suo Sposo divino a santificare il Battista e a servire la vecchia parente, e dopo tre mesi tornò a Nazaret. Non passò molto tempo che Giuseppe si accorse della gravidanza della sua sposa; turbato da mille pensieri, pensava di ripudiare Maria in segreto, ma un angelo del Signore gli svelò in sogno il mistero dell'incarnazione e Giuseppe implorò perdono a Maria per aver dubitato di Lei. Da quel momento, Giuseppe non considerò la Vergine Maria se non come Madre del Redentore, e concepì una grande venerazione e tenerezza verso la sua diletta sposa. Dopo sei mesi, vi fu una nuova preoccupazione per Giuseppe: fu costretto a partire verso Betlemme colla sua sposa gravida per dare il suo nome, come discendente da Davide, nell'enumerazione generale che Augusto faceva fare di tutto l'Impero. Questa era l'intenzione degli uomini, ma nella divina intenzione Maria vi andava per partorirvi il Verbo santissimo. Fu estremo il dolore e l'affanno di Giuseppe riguardo alla sua sposa per il lungo e difficile viaggio che doveva intraprendere, e per non avervi trovato altro albergo se non una casa rovinata che serviva come stalla ai passeggeri. Nonostante ciò, adorò le divine disposizioni, rispettò i divini ordini e di buon cuore vi si sottomise. In quel luogo, ebbe la gioia di veder nato a mezzanotte il Salvatore del mondo, ma nello stesso tempo sentì il rammarico nel vederLo nato in tanta povertà e miseria. Si rallegrò poi il nostro S. Giuseppe quando vide la schiera dei pastori, che il cielo mandava, per riconoscere e adorare il nato Messia, e ammirò la venuta dei re dell'Oriente, i quali presentarono i loro omaggi e doni al Signore. Giuseppe con immensa gioia nel suo spirito portò al tempio, fra le sue braccia, il nato Pargoletto, e fu testimone delle meraviglie che vi occorsero; ma non appena fu di ritorno a Betlemme, un angelo gli intimò la partenza verso l'Egitto, per sfuggire alle insidie del crudele Erode. Giuseppe obbedì all'istante, e svegliando Maria nel cuore della notte, Le fece preparare il Bambino per il viaggio e partì in terra straniera, dove vi rimase finchè l'angelo non gli diede l'ordine di tornare in Palestina.
Ritornata a Nazareth, la Santa Famiglia visse in una profonda ma invidiabile oscurità. Giuseppe alimentava col frutto delle sue fatiche il Bambino Gesù e la sua diletta sposa Maria, e godeva delle inesplicabili delizie che prova un'anima che vive in compagnia di Gesù e di Maria.
Religioso osservatore della Legge, ogni anno Giuseppe si recava a Gerusalemme con la santa Vergine per celebrarvi la festa di Pasqua. Accadde che, giunto il Fanciullo all'età di dodici anni, anch'Egli fu condotto con essi nella Città Santa, ma, terminata la festa, era usanza che le donne e gli uomini si separassero per la strada di ritorno, e che i fanciulli fossero accompagnati da chi preferivano; così, Giuseppe e Maria non si preoccuparono di conoscere con chi avesse voluto stare Gesù, pensando entrambi che il Fanciullo fosse con la Madre o con il padre. Invece, terminato il viaggio durato un giorno, all'arrivo in albergo i santi Genitori si accorsero di aver perduto Gesù, poichè nessuno seppe dire loro dove fosse il Fanciullo. Non è possibile descrivere il rammarico, il dolore, l'affanno, le lacrime e i sospiri di Maria e di Giuseppe per una perdita così improvvisa. Impiegarono tre giorni per cercarLo, con somma fatica, quando finalmente Lo trovarono nel tempio, che disputava in mezzo ai dottori della Legge; i santi Genitori non poterono non manifestarGli l'eccessivo dolore che aveva causato la lontananza del Figlio, ma la risposta del piccolo Gesù, così saggia, e la Sua dolce presenza rasserenò i loro cuori, e asciugò le loro lacrime. Ritornati a Nazaret, Gesù visse sottomesso a Giuseppe come a suo padre: queste parole esaltano, quanto mai si può dire, il merito straordinario e la santità eminente di Giuseppe, poichè il Figlio di Dio gli è stato soggetto, e Gesù lo stimò, lo amò e lo onorò come suo padre.
Dopo una vita santa tutta piena di riverenza e amore a Gesù e Maria, non potendo più resistere a così tanta gioia nell'aver la Santissima presenza del Figlio di Dio e della Madre di Dio, consumato dalle dolci violenze del suo amore, nel sessantesimo anno della sua vita Giuseppe spirò la sua anima immacolata fra le braccia di Gesù e di Maria, in mezzo alle melodie degli angeli. L'anima santa, accompagnata dal numeroso stuolo di angeli, volò come angelica colomba a consolare le anime di tutti quei giusti che, nel seno di Abramo, stavano aspettando il compimento dell'opera della Redenzione, ormai vicina. Quale preziosa morte è stata quella di S. Giuseppe, perchè morte di un uomo giusto e santo! Morte degna di una santa invidia, perchè seguita alla presenza di Gesù e di Maria!
Curiosità
E' cosa certa che molti santi risuscitarono quando risorse Gesù Cristo, nè si può mettere in dubbio che fra questi vi sia stato anche il suo caro padre Giuseppe, per rallegrarsi con la sua sposa e per partecipare alle glorie del Figlio. Né si dovrebbe errare nell'asserire, come confermò S. Francesco di Sales, che S. Giuseppe sia asceso al cielo nel giorno della trionfante Ascensione di Gesù, in corpo ed anima glorioso per tutta l'eternità: infatti, non esistono reliquie del suo corpo.
Benchè la Chiesa abbia da subito avuta una singolare venerazione per questo gran santo, il suo culto però non era così pubblico in quei secoli, pieni di oscurità e poco tranquilli. I pontefici Gregorio XV e Urbano VIII ne fecero una festa di precetto, e talmente andò dilatandosi la devozione a S. Giuseppe, che non vi fu ordine alcuno nella Chiesa che non avesse una venerazione particolare a S. Giuseppe: non c'è alcun vero fedele che non abbia con questo gran santo un'affettuosa confidenza. I miracoli che Dio opera in tutto il mondo per l'intercessione di S. Giuseppe, e i favori singolari che ricevono tutti coloro che lo invocano, fanno vedere sensibilmente che il Salvatore non nega nulla a quel santo che Egli ha sempre amato e rispettato come suo padre, e vuole che da noi sia onorato come tale.
Una di queste anime, che provarono gli effetti del patrocinio di S. Giuseppe, fu la serafina d'amore S. Teresa, la quale in questi ultimi tempi fu una dei primi che promovesse la venerazione di S. Giuseppe con pubblica solennità. Nulla diceva, nulla operava che non instillasse in qualcuno un particolare affetto per S. Giuseppe; è noto che, per questa sua particolare devozione, sia stata frequentemente liberata da forti dolori e pericolose infermità, provveduta di oro e argento necessari per il suo mantenimento, tolta da un evidente pericolo di annegare, liberata dal moto violento di una ruota che l'avrebbe gettata a terra col rischio di perdere la vita: per queste e altre grazie ricevute da questo suo Protettore, che lei chiamava "mio caro padre", si sforzò di promuovere la devozione di S. Giuseppe non solo nel suo ordine, ma in tutta la Chiesa, e nell'Europa.
Devono sperare in questo valido patrocinio tutti i devoti di S. Giuseppe non solo nel corso di questa misera vita, ma specialmente nell'ora della morte, dove tra quelle estreme agonie ritroveranno un buon amico preparato e pronto alla loro difesa, contro le insidie infernali.
A S. Giuseppe ognuno deve ricorrere per le proprie indigenze sia dell'anima che del corpo, e troverà in lui un pronto e universale benefattore: S. Teresa chiese tutto tramite l'intercessione di S. Giuseppe, e tutto prontamente ottenne.
Negli altri santi, Dio dispensò a misura i suoi doni, chi sopra una necessità, chi sopra un'altra; ma in S. Giuseppe, tutto ciò che negli altri santi si osserva in modo separato, in lui si scorge unito mirabilmente. Si tenga dunque per certo che, invocato, impetrerà ai peccatori il perdono, libererà gli ossessi dal demonio, restituirà agli infermi la salute, darà ai coniugi la pace e la fecondità, assisterà fedele alle partorienti, presterà agli amanti della castità la sua tutela, otterrà ai tentati la vittoria, porgerà ai poverelli il suo aiuto, recherà agli afflitti la consolazione, e soprattutto assisterà fedele alle ultime agonie della morte. Insomma, non vi sarà forza d'infermità così pertinace e mortifera, non necessità sì tormentosa, non pericolo sì evidente, non cosa alcuna sì disperata a cui S. Giuseppe, qualora sia invocato con viva fede, non possa e non voglia porgere prontissima la sua mano con il suo efficace patrocinio.
Quanto mai deve essere grande la nostra devozione verso S. Giuseppe, perchè non vi è santo più unito a Gesù e vicino a Maria, per essere egli stato padre dell'Uno e sposo dell'Altra, e il diletto di ambedue! Qualunque sia la nostra condizione, non possiamo dispensarci dal prendere S. Giuseppe come nostro protettore. Era egli di una famiglia reale; quale principe e grande del mondo può ricusare di offrirgli i suoi voti per renderselo propizio? Era sposo della Santissima Vergine; quali aiuti non devono attendere i coniugi per adempiere i doveri dello stato matrimoniale? Era non solo vergine, ma custode della verginità; quale protezione non devono attendersi quelli che amano il celibato? Era artigiano; quale fondamento di confidenza per coloro che vivono in questa condizione? Era povero, visse nell'oscurità e nell'umiliazione; qual persona sì oscura, sì abbietta, che non trovi in lui un vero padre?
S. Giuseppe è in particolare il protettore della buona morte; quale interesse non abbiamo di meritare colla nostra devozione il suo aiuto, e la sua benevolenza, affinché ci troviamo a quel punto estremo, e nel nostro decisivo passo, una fedele scorta per il cielo?
Diciamogli dunque con le parole della Chiesa e preghiamolo a compiacersi di essere nostro universale avvocato, affinchè quanto la nostra misera condizione non può ottenere, ci sia donato da lui mediante la sua validissima intercessione.
Veronica Tribbia