S. Papa Pio X

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Aforisma 

Vi chiameranno papisti, retrogradi, intransigenti, clericali: siatene fieri!” 

La vita

Giuseppe Sarto nasce a Riese, in provincia di Treviso, il 2 giugno 1835. 
Secondogenito di dieci figli, Giuseppe viene cresciuto in una vera famiglia cristiana, dove impara a pregare e a parlare con Gesù. Ragazzo intelligente e volenteroso, Giuseppe aiuta spesso il professore nelle lezioni, quando c’è qualcuno che ha bisogno di ripetere o quando il maestro deve assentarsi. 

Impara alla svelta e molto bene anche il catechismo, gli piace molto essere un giovane cantore e serve così devotamente la S. Messa che la madre crede di vedere sull’altare un angelo. 
Col tempo, cresce in lui il desiderio di farsi prete, ma i genitori non possiedono abbastanza denaro per gli studi. Tuttavia, lo rincuora il parroco dicendo che se Dio lo chiama, sicuramente sistemerà tutto. 

Nel frattempo, come ogni ragazzo, Giuseppe si dedica maggiormente alla scuola e ai giochi, organizzando varie competizioni con gli amici e pregando insieme a loro nel Santuario di Cendrole dedicato alla Madonna Assunta. 
In casa i lavoretti non mancano, Giuseppe aiuta sempre volentieri i genitori e a fine giornata la famiglia si riunisce tutta per pregare e parlare seriamente.

A dieci anni Giuseppe riceve il Sacramento della Cresima, per poi ricevere a dodici anni, secondo l’uso dell’epoca, la Santa Comunione. In questa occasione, Giuseppe promette in cuor suo a Gesù di farsi prete. 
Alla mamma, egli confessa la sua promessa, di cui ella è molto contenta, ma il padre è contrario poiché a casa serve manodopera e gli studi costano troppo. Il parroco di Riese interviene e Giuseppe potrà imparare il latino dal vicario della parrocchia e andare tutti i giorni in Collegio a Castelfranco. 

Ecco che per il ragazzino comincia una nuova vita, dura ma piena di gioia, perché sa che quella è la strada che Dio ha scelto per lui. 
Così tutti i giorni Giuseppe percorre sette chilometri mattino e sera da Riese a Castelfranco, talvolta fermandosi da un’altra famiglia di Castelfranco per la notte, quando il tempo è cattivo, oppure torna a casa, va in chiesa per la lezione di latino e fa giocare i fratellini. 

Lo studio piace a Giuseppe, procede nel migliore dei modi e gli insegnanti lo stimano. A quindici anni gli studi a Castelfranco finiscono e la sua decisione di diventare prete si fa sempre più sicura. Spesso si esercita a celebrare la Santa Messa e anche a preparare le omelie. 
Resta sempre il problema delle spese per gli studi in seminario e il parroco chiede al cardinale arcivescovo di Venezia una borsa di studio per il suo protetto. 

Giuseppe passa il suo esame per entrare in seminario e nel 1850 riceve la talare; resterà a Padova otto anni, dal 1850 al 1858. 
Giuseppe si impegna subito a insegnare il catechismo e a dirigere il coro. 

Purtroppo, gli inizi degli studi sono segnati da un grande dolore: la morte del padre. Alla tristezza si aggiunge l’incertezza: chi adesso procurerà il pane alla famiglia? Converrebbe che torni a Riese, ma la sua vocazione? 
Giuseppe ne discute con la madre e alla fine decidono di affidarsi alla Divina Provvidenza, così Giuseppe può riprendere gli studi. In seminario, Giuseppe organizza le ricreazioni, ama conoscere e approfondire il pensiero di Gesù e la storia della Chiesa. Inoltre, appassionato di musica, diventa maestro del coro ed esige esecuzioni perfette. Durante le vacanze, a Riese, passeggia spesso con il vice parroco, senza trascurare né la preghiera né il lavoro. 

Intanto il sacerdozio si avvicina: nel 1857 diventa suddiacono, nel febbraio 1858 diacono, infine sacerdote il 18 settembre 1858. 
La sua prima sede è Tombolo, dove il suo vescovo lo incarica di andare come vice di un parroco impossibilitato a muoversi liberamente a causa di una malattia alle gambe. Tombolo non ha una buona fama: è una cittadina di circa 4000 abitanti, fatta principalmente da mandriani e mediatori. 

Il parroco, don Costantini, è un sant’uomo e vede subito le doti di don Giuseppe, il quale gli chiede spesso consiglio specialmente per le omelie. 
Gli abitanti di Tombolo si affezionato subito al nuovo parroco, così buono, che dà tutto quello che ha senza pensarci due volte. Egli sa anche che a volte la gente se ne approfitta della sua bontà, ma non gli importa: dando ai poveri si dà a Gesù Cristo. 

Buono e accogliente con tutti, don Giuseppe lo è ancora di più con i ragazzi con i quali gioca spesso a bocce. A volte però i suoi compagni offendono Dio con le bestemmie, quando si è nella foga del gioco. Allora don Giuseppe li separa e tira loro uno schiaffo sonante. 
Egli tiene molto ai suoi ragazzi, con i quali apre una scuola serale per combattere il loro analfabetismo. A poco a poco, la scuola si trasforma in una scuola di canti religiosi e la formazione dei ragazzi li porta ad essere veri uomini cristiani. 

Insieme ai suoi giovani diventa il mobiliare della sua scuola, date le sue doti di eccellente artigiano. Ma la sua occupazione principale è lo studio della scienza divina: a notte tarda il suo lume è ancora acceso e a volte dorme solo quattro ore. Legge e commenta il Vangelo, le opere dei padri della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino. Egli vive continuamente in presenza di Dio. In particolar modo, durante la Santa Messa, sembra di veder Gesù Cristo stesso! 
Don Giuseppe prepara molto accuratamente le omelie, sempre molto apprezzate da tutti, e tanto da acquistare la stima del vescovo, che lo nomina parroco di Salzano nel 1867. 

Sapendo che la gente di quel posto è ignorante religiosamente, don Giuseppe decide di insegnare ai fanciulli il catechismo in modo semplice e chiaro. Ha anche intenzione di fare catechismo agli adulti ogni domenica. Ma pensa anche ad altro: con i vice parroci, organizza in chiesa conferenze con il contraddittorio; a ogni domanda egli risponde con passione e si conquista anche la presenza delle parrocchie vicine. Tutto ciò a gloria di Dio. 
Riesce anche a ristrutturare la chiesa, contando sempre sulla Divina Provvidenza. Organizza giornate di adorazione, insegna al coro una vera musica sacra ridando così splendore al servizio divino. 

L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono lo stesso comandamento. Don Giuseppe dà l’esempio. La sua carità è inesauribile. A volte prende la carne del suo stesso piatto pur di sfamare la povera gente! 
Ciò preoccupa molto le sue sorelle, trasferitesi con lui dopo la sua nomina a Salzano. Non sanno più come farlo mangiare soddisfacentemente quando invita i confratelli. 

L’abnegazione del parroco si è manifestata particolarmente durante il periodo di colera del 1873. Il medico non riesce a curare tutta la gente, così don Giuseppe sta accanto a loro prendendosi cura delle loro anime. Ci sono molti morti e la gente per paura di contagiarsi a volte lascia don Giuseppe da solo, persino per il trasporto delle bare e per la sepoltura. 
Don Giuseppe cerca sempre il modo migliore di aiutare la sua gente, organizza una piccola cassa rurale per aiutare coloro in difficoltà economica e sviluppare il senso dell’aiuto reciproco. Più cose fa più gliene chiedono: le autorità comunali gli affidano la gestione dell’orfanotrofio, delle scuole e dell’ospizio. Ma per lui la fatica è niente e ci mette tutta la sua passione affinché regni ovunque lo spirito di carità. 

Gli anni passano, tutti gli abitanti di Salzano amano il loro parroco, ormai con loro da otto anni, ma la sua salute è fortemente scossa. Egli non ne tiene conto, ma le sue sorelle sì. Intanto la sua fama è arrivata sino al vescovo di Treviso, che ha bisogno di un direttore per il seminario. 
Don Giuseppe supplica il vescovo di lasciarlo a Salzano, ma niente da fare. Don Giuseppe diventa monsignore. Nella diocesi si occupa anche dei preti e dei seminaristi: tiene molto alla loro formazione e tutti sono felici di ascoltare le sue parole. Oltre a formarli, li confessa, parlando ai penitenti in modo molto familiare, volendo conoscere anche le loro storie per aiutarli maggiormente. 

È esigente soprattutto per quanto riguarda il rispetto di Dio e la pietà. Una volta riprese dei seminaristi che avevano fatto male il segno di Croce dicendo “Non va bene che il segno della croce, che ci ricorda la nostra redenzione, assomigli a un gesto fatto come per cacciare le mosche.” Durante la ricreazione è allegro e felice, vuole che a tavola ci si distragga evitando conversazioni troppo serie. 
Intanto il monsignore è chiamato ai più alti incarichi. Nel 1879, alla morte di monsignor Zanelli, viene eletto vice capitolare. Si parla sempre di più di un possibile vescovo Sarto e nel 1884, viene chiamato dal suo vescovo, mons. Apollonio e ordinato vescovo il 16 novembre 1884. Siccome occorreva l’autorizzazione del governo italiano affinché un nuovo vescovo potesse entrare nella sua sede, mons. Sarto ne approfitta per andare a trovare la mamma a Riese. Infine lascia Treviso dopo aver ottenuto il permesso governativo per trasferirsi a Mantova. Ma qui c’è tanto da fare: le persone non sono tanto credenti, i preti poco ferventi e il seminario vuoto. Come prima cosa, mons. Sarto riempie il seminario, scegliendo professori eccellenti e santi. Insegna musica sacra e il solfeggio ai preti, ritornando a una vera musica da chiesa. Nello stesso tempo in cui ridà slancio al seminario, mons. Sarto visita le sue parrocchie, spopolate per la mancanza di fede. Riunisce in un sinodo i suoi preti e dopo tre giorni di discussione si mettono a punto tutti i bisogni spirituali della diocesi. 

Il vescovo si preoccupa molto per il catechismo, vuole che si faccia regolarmente e lo fa personalmente per far vedere agli altri preti come si insegna. Con loro è molto esigente, li vuole santi e fedeli. La carità del vescovo si estende non solo ai cristiani ma anche a tutti i gli altri, perdona le offese ricevute e aiuta a morire da cristiano chi ne ha bisogno. 
In occasione del centenario della morte di San Luigi Gonzaga, anno 1891, mons. Sarto prepara grandi feste, vuole che questo Santo si conosca e che il suo messaggio passi nelle anime dei giovani. 

La sicurezza della sua dottrina, il suo senso dell’organizzazione e l’inesauribile carità, gli procurano una fama fino in Vaticano, e viene nominato, controvoglia, cardinale il 12 giugno 1893. Ancora una volta le procedure diplomatiche lasciano un intervallo di tempo di quindici mesi, e il novello cardinale torna, per l’ultima volta, ad abbracciare la mamma, che morirà quattro mesi dopo. 

L’arcivescovo si trasferisce a Venezia, dove è accolto con tanto entusiasmo. I suoi primi atti sono manifestazioni di deferenza verso Venezia e i suoi costruttori. Fa visita alle autorità, pur sapendo che la maggior parte gli è ostile, e ai membri del governo con grande delicatezza. 
Come al solito, vuole conoscere i preti, per i quali istituisce conferenze scientifiche dove si possono perfezionare nelle conoscenze umane, veglia sull’insegnamento del catechismo, convoca i sinodi e riorganizza i seminari. 

Il Cardinale trova che ci sia poca devozione verso l’Eucaristia, così chiede che il V congresso eucaristico nazionale italiano venga fatto a Venezia. È una festa stupenda, con gli abitanti sulle gondole nel Canal Grande e in testa c’è il Cardinale che tiene alto il Santissimo; oltre alle grandi feste, va anche a visitare i carcerati e distribuisce la Comunione ad alcuni di essi. 
A Venezia viene chiamato il Cardinale dei poveri. La sua generosità è sempre grande, dà a tutti senza rimanere indifferente verso nessuno. Si preoccupa anche degli operai, le cui situazioni spesso erano miserevoli e li aiuta con tutto se stesso. 

Oltretutto, sviluppa gruppi parrocchiali di uomini e giovani per la votazione dei veri cristiani, che ha una rilevanza importante anche verso i comuni, i quali reintrodurranno il catechismo nelle scuole. 
All’inizio del ventesimo secolo, si chiede al Cardinale di benedire la Madonna del Monte Grappa, a 1784 metri di altezza, e nonostante egli non sia abituato alla montagna, va a compiere il santo uffizio in groppa ad una multa bianca, seguito da tantissimi pellegrini con tanto di torce accese. Due anni dopo, il 20 luglio 1903 muore Papa Leone XIII e i Cardinali vengono chiamati per il conclave. Naturalmente anche il Cardinal Sarto parte per Roma, ma è così sicuro di tornare a Venezia che lascia il suo tavolo di lavoro pieno di carte e corrispondenze. Anche al suo segretario, che si adopera a preparare le valigie, dice sorridendo: “Perché portare tante cose? Un viaggio a Roma non è una partenza per l’America!”. 

A Roma il Cardinale alloggia nel seminario lombardo e si diverte a confondersi gioiosamente con i seminaristi. Intanto, si svolgono riunioni tra i Cardinali; a lui capita di incontrare il cardinale Lecot, arcivescovo di Bordeaux, il quale, vedendo che il Cardinale Sarto non sa il francese, gli dice “ Voi sicuramente non sarete Papa, per esserlo bisogna conoscere la nostra lingua!” Sorridendo, il Cardinal Sarto risponde : “Sia ringraziato Dio!”. 
Il venerdì 31 luglio, il conclave inizia. Ci sono 62 cardinali, quindi per essere eletto Papa occorrono almeno 42 voti. Dopo aver pregato e richiamato i Cardinali a fare la scelta per il bene della Chiesa, iniziano gli scrutini. Il Cardinale Sarto ottiene subito prima cinque, poi dieci voti. Ma non se ne preoccupa, tanto nessuno lo conosce. Ma la sera dopo ottiene 24 voti. “Io sono incapace, dimenticatemi!” protesta, ma più è contrario, più la sua umiltà attira simpatia nei suoi confronti. Ma per eleggerlo bisogna assicurarsi il suo consenso. Il segretario del conclave, mons. Merry del Val, ha l’incarico di parlargli di proposito. Lo trova piangente, prostrato, davanti all’altare della cappella. Il Cardinale ripete il suo rifiuto: egli non è né degno né capace. Altri allora gli vanno incontro e insistono, allora il Cardinale mormora: “Sia fatta la volontà di Dio e la vostra”. I voti aumentano, finché ne ottiene 50. Alla domanda del decano “Accettate?” risponde: “Accetto come una croce”; “ Quale nome sceglierete?”, “Sarà Pio, come coloro che hanno tanto sofferto”. 

Allora i baldacchini di tutti i Cardinali si abbassano, salvo quella di Pio X che subito rivestito della talare bianca, si reca a benedire la folla radunata in piazza San Pietro e si ritira dalle acclamazioni. 
Il pesante compito del nuovo Papa inizia. È prevista un’udienza del corpo diplomatico, dopodiché vanno a trovarlo anche gli amici e i suoi fratelli. 

L’incoronazione del pontefice è fissata al 9 agosto nella basilica di San Pietro. 
I nuovi onori che lo circondano non gli fanno perdere la sua umiltà. Gli è difficile abituarsi e all’inizio del suo pontificato chiede di non essere portato sulla “sedia”. Tuttavia la tradizione è quella, quindi si rassegna. Lo stesso vale per l’appartamento, non lo vuole troppo bello, né vuole che ci siano le guardie a sorvegliarlo. La notte le rimanda tutte a letto. 

Pio X tratta i visitatori come amici. Rialza coloro che sono impacciati nella genuflessione… e un giorno gli capita di dare un aiuto un po’ particolare. Un vescovo francese, finita l’udienza, gli chiede di benedire alcuni oggetti, ma un movimento brusco rovescia il pacchetto per terra. Ed ecco che il Papa aiuta il monsignore a raccogliere tutto. 
Pio X non sopporta la solitudine, vuole che a tavola ci siano ospiti, chiunque essi siano. Egli passeggia ogni giorno nei giardini del Vaticano, dove si ferma alla grotta di Lourdes per dire il Rosario. 

Il Papa erige un’enciclica nella quale c’è l'essenziale del suo pensiero. La sua azione sarà, come dice San Paolo “Tutto instaurare in Cristo.” Sia augura anche che tutti gli Stati riconoscano i diritti di Dio e della Chiesa. Su questo riceverà molte pene, soprattutto da parte della Francia. Infatti, già da quando salì sul trono di Pietro, la Francia ha chiuso molte congregazioni religiose e scuole. Con dolcezza, Pio X cerca di evitare una rottura, ma alla fine la Francia chiude tutti i rapporti diplomatici con la Santa Sede, il che dà un dispiacere grandissimo al Papa, perché amava la Francia con tutto il cuore siccome è la figlia primogenita della Chiesa. 
Poi, il parlamento francese vuole separare la Chiesa dallo Stato: i preti non sono più pagati dal governo e i beni della Chiesa devono essere trasferiti ad associazioni governative. 

Così, nel 1906, i beni della Chiesa sono confiscati: vescovadi, parrocchie, tutto è venduto. La Chiesa è diventata poverissima e a questo proposito Pio X dice: “Ho voluto, non i beni, ma il benessere della Chiesa di Francia.”: Pio X ha preferito la libertà della Chiesa dallo Stato piuttosto che la sicurezza materiale. Troppo tardi il ministro francese riconoscerà questa cosa: “Egli lavorava per l’avvenire”. I preti dovranno vivere adesso con le offerte generose dei fedeli: questa è l’origine del “denaro del culto” che ogni anno, in Francia, viene offerto al parroco. 
Pio X è chiamato il Papa dell’Eucarestia: egli insiste molto sull’importanza della Comunione affinché nei cuori aumenti l’amore per Gesù. 

Così Pio X dice ai cattolici di comunicarsi spesso, anche tutti i giorni possibilmente. Per i bambini, il Papa decide che potranno accostarsi al Sacramento non appena sapranno distinguere l’Eucarestia dal pane ordinario. La gioia dei fanciulli è grande nel poter ricevere Gesù così presto. Molti scrivono al Papa per ringraziarlo, altri fanno ancora meglio: organizzano un pellegrinaggio a Roma per vederlo e ringraziarlo. Quale gioia per loro ricevere direttamente dal Santo Padre la Comunione! E con quale attenzione ascoltano le sue parole: “Per mezzo della Comunione voi diventate piccoli Apostoli di Gesù Cristo.” 
Ecco che ha inizio una nuova Crociata Eucaristica, che realizza il desiderio del Papa: i piccoli crociati vivono pienamente il loro motto, “prega, comunicati, sacrificati, sii apostolo”. Questa rappresenta la migliore milizia dell’Azione Cattolica, che esiste ancora oggi. 

Ma l’Eucarestia non è soltanto la Comunione, è anche la Messa e il Papa vuole che sia ben partecipata, in modo particolare chiede di dire nel momento della consacrazione le parole dell’apostolo Tommaso “Mio Signore e Mio Dio” che rappresentano un atto di adorazione e di amore verso Gesù-Eucarestia. 
Un elemento che aiuta alla concentrazione è senza dubbio la musica sacra, che fino a quel tempo diventava quasi un’esibizione concertistica che distraeva il fedele anziché aiutarlo nella preghiera. Come soluzione il Papa vuole canti di musica veramente sacra, come quella che si canta nelle abbazie benedettine o dai monaci. 

Sorge un’altra preoccupazione: la difesa della fede contro l’eresia. Stava sorgendo infatti un gruppo di cattolici comprendenti anche preti che volevano cambiare la dottrina: trovano che questa non è più di “moda”, la Chiesa deve adeguarsi all’epoca in cui vive, deve seguire i successi della scienza e applicarli alla dottrina. Questa eresia si chiama “modernismo”. Ma purtroppo questo errore attrae molte persone. 
Il Papa risponde con fermezza con l’enciclica del 1907, “Pascendi”, in cui ricorda chiaramente che la fede si appoggia sulla Parola di Dio che ci viene trasmessa dalla Chiesa di Gesù Cristo. La Lettera fa impressione: per molti è una chiara luce sulle incertezze, altri esitano, altri ancora rifiutano la Verità. Pio X ne è terribilmente dispiaciuto e prega affinché quelle anime riconoscano il proprio sbaglio. 

In questa confusione il Papa vuole dei sacerdoti ben preparati e con una dottrina sicura. Fa revisionare i seminari in modo da avere professori veramente competenti e santi. Inoltre si adopera per gli istituti cattolici e fonda a Roma un collegio specializzato nello studio della Bibbia. 
Pio X lavora a lungo alla redazione della sua “Estrazione al clero”, con la quale vuole richiamare i preti sull’importanza del loro ministero e pone come modello il Santo Curato d’Ars, nominato da lui stesso patrono dei sacerdoti. 

Punta molto sulla preghiera e sull’insegnamento del catechismo, scrivendone uno da diffondere in tutta Italia, semplice, chiaro, preciso: Il Catechismo di S.Pio X. 
Il Papa è particolarmente favorevole a tutti coloro che vogliono migliorare la situazione degli operai e appoggia un gruppo di giovani francesi di nome “Sillon”, che vuole diffondere il vigore cattolico tra tutti gli operai. Col tempo però il gruppo prende una brutta piega, trasformandosi in un movimento politico. Il Papa allora ordina lo scioglimento del gruppo ricordando che politica e religione sono due cose diverse che non bisogna confondere. Il movimento allora si sottomette al Papa, dando esempio di obbedienza e fiducia verso di lui. 

Tutte le sue qualità fanno aumentare attorno a lui una reputazione di santità. Molti si aspettano da lui miracoli e sono numerosi quelli che si attribuiscono a lui vivente. Un esempio è l’episodio del cardinal Herrera che, gravemente malato, ricevette una benedizione dal nuovo papa dopo il Conclave, e guarì non appena ricevette il contatto della sua mano. Altri episodi riguardano invece i bambini, uno riguardante una bambina cieca, che ricomincia a vedere quando il Papa, ripetendo lo stesso atto di Gesù, le bagna gli occhi con la saliva; un altro bambino invece, era paralitico e il papa lo fa alzare dolcemente e cominciano a camminare insieme. 
Ai miracoli segue la vecchiaia, ormai il Papa è anziano e molto affaticato, ma conosce le circostanze di tutto il mondo e prevede una guerra sanguinosa. Infatti, il 2 agosto 1914 la guerra è dichiarata e il Papa chiede ai cattolici di pregare molto perché trionfi il Principe della Pace. Lui stesso si offre in sacrificio a Dio per risparmiare tante vite. Il Signore accetta la sua offerta e Pio X rende l’anima a Dio il 20 agosto 1914. 

Al suo funerale accorrono moltissimi fedeli non per pregare per lui, ma per pregarlo. La sua tomba è conservata nelle grotte vaticane. Il numero di persone che chiede la sua beatificazione aumenta sempre di più e infine, nel 1951 viene proclamato beato da Pio XII e il 29 maggio 1954 santo dallo stesso Papa. 


Elisabetta Tribbia


Documento stampato il 29/03/2024