Il Buon Samaritano

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In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

San Luca è stato chiamato l'Evangelista della Misericordia di Dio specialmente a causa delle Parabole che si trovano nel suo Vangelo, come quella del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo.

Quando leggiamo la Parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37) alla luce dei Padri della Chiesa, vediamo che questa Parabola parla della Misericordia di Dio nel contesto di tutta la storia della Salvezza, come di seguito vedremo.

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”.

Gerusalemme, che significa "visione di pace", rappresenta qui, secondo i Padri, il Paradiso terreno, il Giardino dell’Eden; Gerico invece, che significa "Luna", rappresenta il mondo in cui tutto è mutabile, instabile come la Luna stessa; l'uomo rappresenta Adamo e la sua discesa da Gerusalemme a Gerico è la caduta di Adamo tramite il Peccato Originale.

“L’uomo incappò nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e lo lasciarono tramortito.”

Questi briganti sono, nelle parole di sant'Ambrogio, gli "angeli della notte e delle tenebre" che, dopo il Peccato Originale, hanno spogliato Adamo dei doni sovrannaturali che aveva ricevuti da Dio e l'hanno lasciato nello stato della natura caduta, dove è difficile conoscere la verità, agire bene, compiere i nostri doveri e dove è facile essere attratti e sedotti dalle nostre emozioni.

Cosa succede poi nella Parabola?

“Un sacerdote lo vide e passò oltre, e così fece poi un levita.”

San Giovanni Crisostomo interpreta il sacerdote come il sacrificio dell'Antico Testamento, il levita come la Legge dell'Antico Testamento; né l'uno né l'altro può guarire l'uomo caduto e dunque, nella storia, tutti e due passano senza fermarsi.

“Un samaritano che percorreva la medesima strada si avvicinò a lui e vedendolo provò compassione per lui.”

Questo samaritano non è altri che Cristo stesso: anch'Egli scende da Gerusalemme a Gerico, ossia dal Paradiso a questo mondo, e porta con sé il rimedio di cui l'uomo caduto ha bisogno, che nessuno prima di Lui nell'Antico Testamento poteva dargli.

“Avvicinandosi, fasciò le ferite versandovi olio e vino e, mettendolo sul suo cavallo, lo condusse in un albergo ed ebbe cura di lui.”

Questa frase ci parla del rimedio portato dal Signore: l'olio e il vino sono i Sacramenti, l'olio simbolizza il Battesimo, la Cresima, il Sacerdozio e l'Estrema Unzione mentre il vino simbolizza la Santa Eucaristia; il fasciare simbolizza i Comandamenti; il cavallo, secondo tutti i Padri, è la sacra umanità di Nostro Signore mediante la quale siamo salvati.

Beda il Venerabile, commenta: "Fu conveniente che egli lo pose sul suo cavallo e lo guidò così, poiché nessuno che non sia unito a Cristo tramite il Battesimo entrerà nella Chiesa".

L'albergo, dunque, simbolizza la Chiesa e san Giovanni Crisostomo spiega: "L'albergo è la Chiesa che accoglie i viaggiatori, che sono stanchi del loro viaggio attraverso il mondo e oppressi dal peso dei loro peccati. Qui, il viaggiatore stanco viene sollevato quando depone il peso dei suoi peccati e viene ristorato con nutrimento salutare: questo è il significato delle parole ebbe cura di lui; tutto ciò che è fuori dall’albergo è conflittuale, dannoso e malvagio, mentre dentro l'albergo c'è solo pace e salute".

Quanto ai due danari, questi possono significare i Comandamenti della Carità verso Dio e verso il prossimo o, secondo altre interpretazioni, la promessa della vita presente e la vita futura.

In breve, Nostro Signore Gesù Cristo ci descrive in questa Parabola tutta la storia della nostra Salvezza: Adamo ha peccato ed è caduto, e con lui tutta l'umanità; Iddio alla vista della sua miseria è commosso per la Sua Misericordia, scende dal Cielo e assume la nostra umanità che diviene il mezzo della nostra salvezza; ci dona i Comandamenti e i Sacramenti, ci conduce nella Chiesa che ci dà il rifugio fin quando Egli tornerà. Tutta la Parabola parla della Misericordia di Dio, e questo esempio dovrebbe far nascere in noi la gratitudine verso Dio e il desiderio di amare Dio e il nostro prossimo come Dio ci ha amati.

“Ma chi è il mio Prossimo?” chiede lo scriba. La parabola ci insegna che il nostro Prossimo è colui che incontriamo sulla strada della nostra vita e che soffre.

Riflettiamo un attimo. C'è qualcuno a cui siamo vicino, qualcuno che abbiamo incontrato e che soffre, che ha bisogno di noi, che ci ha chiesto soccorso fisico, spirituale, un consiglio, una preghiera o semplicemente tempo per ascoltare le sue sofferenze e che non abbiamo ancora aiutato? Questa persona è il nostro Prossimo: non lo trascuriamo!

C'è un'altra visione ancor più profonda della Parabola: la persona sofferente è Cristo stesso. Stiamo quindi ben attenti ai nostri doveri perché, come Nostro Signore ci dice nel Vangelo di san Matteo: "Quando hai fatto questo buon atto ad uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo hai fatto a Me".

 

Padre Konrad Zu Loewenstein 


Documento stampato il 29/03/2024