Le imprese della Fede

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[…] Il successo e la ricompensa eterna l’avranno coloro che persevereranno fino alla fine. Non possiamo avere alcun dubbio che le imprese di tutti i servi di Cristo saranno loro ripagate nell’Ultimo Giorno, con abbondanti frutti.

Questo è un detto veritiero:-Egli ci rende assai più di quello che Gli prestiamo, e senza fallo. Ma io sto parlando di individui, di noi stessi, uno per uno. Nessuno tra noi sa per certo che egli sicuramente persevererà fino alla fine, tuttavia ognuno di noi, perché possa conquistarsi anche una minima possibilità di successo, deve avere il coraggio di rischiare. Per quanto riguarda i singoli individui, allora, è perfettamente vero che noi tutti dobbiamo certamente affrontare le imprese rischiose che mirano al cielo, senza tuttavia avere la certezza di raggiungere il successo per merito di esse. A dire il vero, questo è il significato proprio della parola « impresa », perché è ben strana impresa quella che non ha niente in sé di rischio, di paura, di pericolo, di ansietà, di incertezza. Sissignore; è proprio così; ed è in questo che consiste l’eccellenza e la nobiltà della fede; questa è la vera ragione per cui la fede si distingue dalle altre grazie, ed è onorato quale mezzo speciale della nostra giustificazione, perché la sua presenza implica che abbiamo il coraggio di affrontare un rischio.

[…] Il nostro Salvatore, in un passo del Vangelo di San Luca, vincola tutti noi alla necessità di fare con libera determinazione come loro. «Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro» (Lc 14,18).

E poi subito soggiunge: «Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). In tal modo Egli ci avvisava del sacrificio completo che dobbiamo fare noi. Noi rinunciamo a tutto per Lui, ed Egli ha il diritto di chiederci questo o quello, oppure di concederci qualche po’ di esso per un certo tempo, secondo il Suo buon volere. D’altro lato, il caso del giovane ricco, che si allontanò da Lui con gran tristezza, quando nostro Signore gli ordinò di rinunciare a tutto il suo se voleva seguirLo, è un esempio di un individuo che non aveva la fede sulla Sua parola per mettersi nell’impresa avventurosa di questo mondo per amore di quello che ha da venire.

Se, dunque, la fede ha da essere l’essenza di una vita Cristiana, e se essa ha da essere quella che ho descritto or ora, ne consegue che il nostro dovere consiste nel rischiare sulla parola di Cristo tutto quello che possediamo per quello che non possediamo, e nel farlo in maniera nobile e generosa, non, per vero, con leggerezza e in modo precipitoso, ma senza prenderci molta cura di quello che stiamo facendo, senza conoscere, né quello a cui rinunciamo, e neppure quello che andremo a guadagnarci. Incerti di quello che sarà la nostra ricompensa, incerti sull’entità del nostro sacrificio, per ogni rispetto appoggiandoci a Lui per servirLo, avendo fiducia in Lui che manterrà la Sua promessa, affidandoci a Lui che ci metta in grado di adempiere tutti i nostri propri voti, e così, rispetto ad ogni cosa, procedere senza troppa preoccupazione o ansietà per quanto riguarda il nostro futuro.

Ora oso dire che tutto quanto ho detto fino a questo momento mi sembra semplice e ineccepibile per la maggior parte di coloro che mi stanno a sentire; tuttavia, certamente, quando andrò oltre per trarre le illazioni pratiche che seguono subito dopo tutto questo, ci saranno coloro che, nel segreto del loro cuore, se non confessandolo apertamente, si tireranno indietro. La gente permette a noi, Ministri di Cristo, di continuare con le nostre prediche fin tanto che sappiamo limitarci alle verità in senso generale, fin tanto che non si vede implicata in esse e sia perciò tenuta ad agire in conformità. Allora si arresta di botto; si raccoglie in se stessa, si ritira e dice: « Non vedono questo,-oppure, non ammettono quello », e benché sia del tutto incapace di spiegare perché quello che noi diciamo non dovrebbe essere la conseguenza di quello che essa ha già ammesso, la qual cosa invece noi dimostriamo dover essere la logica conseguenza, ciò nonostante questa gente persiste nel dire che non vede il perché di questa conseguenza. Allora questa gente va in giro a cercar scuse, e dice che noi portiamo le cose troppo avanti e che siamo esagerati, e che dovremmo cercare di limitare e modificare quello che andiamo dicendo, che non teniamo abbastanza conto dei tempi, e delle stagioni, e simili banalità. Questo è quello che questa gente pretende; ed allora è stato opportunamente detto, « dove è volere è anche potere », poiché non esiste verità, quantunque assolutamente chiara alla quale gli uomini non possano sfuggire, chiudendo gli occhi; non esiste dovere, per quanto urgente, contro il quale essi non siano capaci di trovare mille e mille scuse per scansarlo, quando riguarda loro. Ed è certo che questi tali sono pronti a dire che noi spingiamo le cose troppo lontano, quando le indirizziamo troppo precisamente verso loro stessi.

Questa triste infermità degli uomini che si chiamano Cristiani, trova il suo esempio nell’argomento che sta immediatamente davanti a noi. Chi è colui che non ammette subito che la fede consiste nel mettersi in una impresa difficile sulla parola di Cristo, senza aver visto? Però, nonostante ciò, non possiamo forse chiederci molto seriamente, se gli uomini in generale, anche quelli della miglior specie, rischiano sul serio qualunque cosa sulla Sua verità?

Considerate per un istante. Ognuno di coloro che mi stanno ad ascoltare voglia porsi la domanda: quale posta ha egli puntato sulla verità della promessa di Cristo? Come verrebbe a trovarsi un tantino solo in perdita, supponendo (la qual cosa è impossibile), ma, pure supponendo che essa venisse meno? Sappiamo che cosa vuol dire giocarsi una posta in qualunque impresa audace di questo mondo. Arrischiamo la nostra proprietà in progetti che ci promettono un buon profitto; in progetti nei quali abbiamo fiducia, nei quali abbiamo fede. Che cosa abbiamo noi arrischiato per Cristo? Che cosa Gli abbiamo dato per cieca fiducia nella Sua promessa?[...]

Un commerciante che abbia imbarcato qualche sua proprietà in una speculazione che fallisce, non perde soltanto quello che si aspettava di guadagno, ma anche alquanto di quella sua proprietà che aveva arrischiato con la speranza del guadagno. Ed ecco il problema. Che cosa abbiamo noi arrischiato? Temo proprio che, se ci mettiamo ad esaminare la situazione, ci si accorgerà che non c’è nulla di quello che ci risolviamo a fare, nulla di quello che facciamo, nulla di quello che non facciamo, nulla di quello che evitiamo di fare, nulla di quello che scegliamo di fare, nulla di quello a cui rinunciamo, nulla di quello che perseguiamo, che non risolveremmo di fare, e faremmo, e non faremmo, ed eviteremmo, e sceglieremmo, e rinunceremmo, e perseguiremmo, se Cristo non fosse morto, e il cielo non fosse una promessa per noi.

Temo davvero che la maggior parte di coloro che si chiamano Cristiani, qualunque cosa possano professare di credere, qualunque cosa possano credere di sentire, qualunque calore, e illuminazione, e amore essi possano pretendere di possedere come cosa loro propria, proseguirebbero per la loro strada quasi come fanno ora, né molto meglio, né molto peggio, se credessero che il Cristianesimo fosse una favola. Quando sono giovani essi soddisfano le loro voglie o, almeno, vanno in cerca delle vanità del mondo; via via che il tempo passa, si mettono in qualche promettente carriera di affari, o qualche altra maniera di far danaro; poi si sposano e si sistemano; e quando il loro interesse coincide con il loro dovere, sembrano essere, e si credono di essere uomini rispettabili e religiosi. Crescono attaccati alle cose così come sono; cominciano a mostrare un certo zelo nel combattere il vizio e l’errore e seguono l’idea della pace verso tutti gli uomini. È una condotta questa che, fin dove può giungere, è giusta e degna di lode. Io dico soltanto che essa non ha necessariamente nulla affatto a che fare con la religione. In essa non c’è nulla che offra una qualsiasi prova della presenza di principi religiosi in coloro che la adottano; non c’è niente che non farebbero lo stesso, anche se non avessero nulla da guadagnarci sopra, all’infuori di quello che con essa ci guadagnano ora. Ora effettivamente qualcosa ci guadagnano, possono effettivamente gratificare tutti i loro desideri presenti, sono tranquilli ed ordinati, perché è nel loro interesse e di loro gusto esserlo; ma non arrischiano nulla, non rischiano, non sacrificano, non abbandonano nulla per la fede nella parola di Gesù Cristo.

[…] Ahimè, fratelli miei, che peccato che noi, di questo alto spirito soprannaturale non ne possediamo più! Come può essere che siamo così soddisfatti delle cose così come sono,-che siamo così desiderosi di essere lasciati in pace per goderci questa vita,-che troviamo tante scuse per scansarci se qualcuno insiste nel ricordarci la necessità di mirare a qualcosa di più alto, il dovere di portare la nostra Croce, qualora volessimo guadagnarci la Corona del Signore Gesù Cristo?

Lo ripeto. Che cosa sono le nostre imprese avventurose e i nostri rischi a fronte della verità della Sua parola? Poiché Egli dice chiaramente: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi primi» (Mt 19,29-30)

 

John Henry Newman (NEWMANFRIENSINTERNATIONAL.org)  


Documento stampato il 20/04/2024