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Per crucem ad lucem

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. (Mt 16, 24-28)

Una delle conseguenza del peccato di Adamo nel Paradiso è che con lavori penosi l’uomo trae dalla terra il suo sostento di tutti i giorni (Gen. 3,17). E qui Nostro Signore mette bene in chiaro che per seguirLo non c’è altra via che non sia quella della croce. Dopo aver rinunciato a se stesso, ognuno troverà una croce fatta da Dio su misura, e deve caricarla con amore: sono le sofferenze che la vita presenta con tanta frequenza, a volte nell’ora e nel modo più inatteso. L’uomo potrà accettare ben o male le tribolazioni, conformandosi o meno ai piani del Creatore, ma da queste nessun figlio di Adamo sfugge. Soprattutto non si libera dalle sofferenze chi opta per seguire il seducente sentiero dei piaceri e delle passioni sfrenate, poiché questo conduce inevitabilmente alla più dura schiavitù. “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”, insegna Nostro Signore (Gv 8, 34). In un primo momento il vizio può portare alla fruizione di una gioia fugace, seguita però sempre da amarezza, disillusione e frustrazione.

Il nostro Redentore non ci chiede soltanto l’accettazione della sofferenza, ma l’amore alla sua Croce. Abbracciati ad essa, parteciperemo al dolore di Cristo, in questo mondo, in attesa della felicità eterna; e questa ricompensa è inestimabile! Rinunciare a se stessi e prendere la propria croce, ci domanda Gesù. Ma risulta difficile mettere in pratica ciò che è così semplice da dire. Questa penosa rinuncia comporta diverse fasi. All’inizio, si aprono i nostri occhi alla bellezza della vita soprannaturale e cominciamo a vedere con incanto un’altra dimensione della realtà, che si configura a noi con profondità, sapore e colore sconosciuti, poiché passiamo a considerare tutte le cose in funzione della vita eterna. In questa tappa, visitati dalla grazia sensibile, siamo disposti ad abbandonare tutto per seguire Gesù. Cominciamo seriamente a superarci e a restituire tutto a Dio, amandoLo più di noi stessi. È l’entrata nel Regno di Dio, dove l’anima docile comincia a regnare con Lui sulle sue passioni, sullo spirito del mondo e quello del male.

In un determinato momento però, molte volte senza colpa da parte nostra, la grazia è solita rendersi meno percettibile fin quasi a sparire. Ognuno si sente, allora, come era prima di intraprendere la via della santità, ma senza perdere la visione delle cose acquisite con la prima conversione. Così, si imbatte in un panorama che esige dall’anima un eroismo prima insospettato: essa ha bisogno di agire in accordo con la realtà presentata dalla grazia, ma senza averla presente in forma sensibile. Se non è vigile, la persona comincia a ricadere, in base all’inclinazione della sua natura, in una certa debolezza. Assente la sensibilità, è giunta l’ora della generosità, che si concretizza solo se c’è una vita interiore seria, profonda, innaffiata con molta preghiera, perché questa dedizione ci costa enormemente. C’è, secondo San Giovanni della Croce, una triplice notte buia – dei sensi, dell’intelligenza e della volontà – per la quale passano tutti quelli cercano la perfezione. In questa fase della vita spirituale, rinunciare a se stessi consiste nel mantenersi nella fedeltà ai buoni propositi, purificandosi così dai propri affetti terreni e preparandosi al Cielo. Perché, con la sofferenza, l’anima si apre al soprannaturale.

Durante i periodi di aridità, di solito ci viene la tentazione di cedere in questo o quel punto, di giustificare con ragionamenti le trasgressioni ai Comandamenti di Dio, alle quali ci spinge la concupiscenza, come pure di cercare un mezzo termine spurio tra le vie del mondo e quelle della virtù. Sperimentando nel nostro intimo la legge dei sensi, del pragmatismo e dell’egoismo, siamo tentati di cercare un modus vivendi con i nostri difetti, invece di combatterli. Che fare nei periodi di difficoltà? Come riuscire a superare la notte buia e risentire i raggi del sole della consolazione spirituale? Il Signore ci ha fornito due aiuti imbattibili, due armi invincibili: il rifugio presso il Santissimo Sacramento e il ricorso alla Madonna per mezzo del Rosario. Quante volte abbiamo fatto ricorso a questi due aiuti?

Mons. Joao Scognamiglio Cla Dias* 

(Fonte: rivista ARALDI DEL VANGELO) 

 


Mons. Joao Scognamiglio Cla Dias, canonico onorario della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, è fondatore dell' Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio Araldi del Vangelo, della Società Clericale di Vita Apostolica Virgo Flos Carmeli e della Società Femminile di Vita Apostolica Regina Virginum. Attualmente è Superiore- Generale di Virgo Flos Carmeli e degli Araldi del Vangelo