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Nei prossimi, in qualunque stato si trovino, altro amar non si deve, che Dio

Nessun Cristiano può mettere in dubbio che da noi non si debbano amare la Madre Santissima di Dio, e gli altri Santi, od Angeli, od uomini, come nostri prossimi. Essi sono tali, poiché appartengono con noi alla stessa società, quantunque tali non siano per sangue, e per natura.

Da cui quel precetto, che ci comanda di amare i nostri prossimi (congiunti), similmente ad amar quelli (non congiunti) ci stringe.

Ora chi è, che bene ami se stesso, se non colui, il quale ama Dio? In verità Dio solo è quel bene, per cui noi possiamo diventar buoni, e felici. Se questo Bene Sommo ci manca, tutti gli altri ci sono inutili. Se Lo possediamo, tutti gli altri ci sono profittevoli. “Che siamo noi - dice S. Agostino – se siamo privi di Dio? E che altro dobbiamo in noi, fuorché Dio stesso, amare, o perché già Lo possediamo, oppure perché speriamo quando che sia di possederLo?”.

Se noi ci troviamo ancora nelle miserie di questa vita, amiamo Dio in noi, desiderando con tutto il cuore nostro, ch’Egli si trovi in noi in mezzo a queste circostanze. E se siamo già ammessi a godere della pace nella patria, Lo amiamo, perché Lo possediamo.

Ma siccome noi non dobbiamo altro in noi amare, fuorché Dio solo, così nient'altro ancora dobbiamo amare nei prossimi. “Poiché colui che ama Dio - dice S. Agostino - non può disprezzare il precetto, che Egli ci dà, di amare il prossimo; e colui, che santamente, e spiritualmente ama il prossimo, che altro ama in lui, se non Dio?

Noi amiamo il prossimo ancor mortale, quando coi benefizi, colle istruzioni e colle correzioni ci sforziamo di condurlo a servire Dio; e lo amiamo già raccolto nella sicurezza, e nell'immortalità della patria, rallegrandoci con lui dell'inestimabile ventura che egli ha di possedere Dio, e prendiamo parte con lui dei ringraziamenti, con cui benedirà in eterno l'Autore della sua Beatitudine.

Ugone di San Vittore spiega eccellentemente, come sia che noi non dobbiamo ad altra cosa indirizzare il nostro amore amando noi stessi ed i prossimi, se non a Dio, adoperando a tal scopo il paragone del favo, il quale non si ama per se stesso, ma per il miele che contiene, ovvero che è a contener atto. “Si ama - dice egli - il miele per se stesso, ma non si ama il favo, se non per il miele. Perciò se non se ne vede (di miele) nelle piccole cellette, che ne dovrebbero essere ripiene, ci offende il loro vuoto, e in tale stato ci dispiacciono. Noi brameremmo di trovarvi il miele, che amiamo, e se le api industriose ne lo riempiono di bel nuovo, ci torna il favo a piacere. Nella stessa maniera voi amate il Signor Dio vostro, perché Egli è la Dolcezza, la Bontà, e la Verità medesima: ma amate il vostro prossimo, perché egli è capace di essere di tal dolcezza, bontà, e verità ripieno. Se ritrovate queste cose in lui, voi dovete queste divine qualità in lui, e lui ancora per quelle divine qualità amare. Che se lo ritrovate vuoto di questi soli suoi veri beni, vi rincresca che egli ne sia privo, e bramate che a lui vengano, ed in lui entrino, acciocché possedendo i suoi veri beni, sia veramente buono, giacché non lo può essere altrimenti. Amate dunque Dio, perché Egli è la stessa Bontà. Amate il prossimo, perché egli diventa partecipando di una tal bontà buono; e se non lo è ancora diventato (buono), perché di quella (bontà) non partecipa, amatelo, acciocché tale diventi, quale può essere senza fallo. Vi sono anche coloro i quali non possono divenir buoni: né si debbono da noi amare, né ci sono prossimi, ma remoti, e stranieri”.

Queste parole di Ugone di S.Vittore ci dimostrano chiaramente che noi non dobbiamo in noi stessi, e nei prossimi altra cosa amare, fuorché Dio.


Monsignor Giovanni Neercassel, vescovo castoriense