Home / Rubriche / Il Libraio / Il linguaggio della Tradizione e quello del Vaticano II/4

Il linguaggio della Tradizione e quello del Vaticano II/4

Per aiutarci a riscoprire l'insegnamento della vera Chiesa cattolica e smascherare quello sviato e perverso della neo chiesa cosiddetta "conciliare", giova leggere alcuni scritti di un grande difensore della Fede: padre Roger Thomas Calmel. Continuiamo la quarta breve riflessione (con sottolineature per evidenziare i concetti fondamentali) tratta dal testo Breve apologia della Chiesa di sempre... 

P.Elia


I primi venti Concili con le loro definizioni, protette dai relativi anatemi, hanno esplicitato, senza modificarlo, il dato della Rivelazione. Queste esplicitazioni concernenti il mistero dell'unico Dio in tre Persone, l'Incarnazione, la Vergine Maria, il peccato originale, insomma questi sviluppi della nostra Fede sono rigorosamente omogenei alla Parola di Dio. Nicea o Efeso, Calcedonia o Orange (sinodo provinciale tenuto nel 529 le cui decisioni furono riprese dal Concilio di Trento) dicono la stessa cosa che dicono i quattro Evangeli, gli Atti degli Apostoli, le Epistole e l'Apocalisse.

Questi Concili la dicono di fronte a nuovi errori, servendosi di termini nuovi, che, senza fare il minimo torto al linguaggio delle Sacre Scritture, hanno il pregio di circoscriverne il contenuto con la massima precisione ed onestà. I venti primi Concili non rischiano di ingannare, perché usano il mezzo per non ingannare, che è quello di definire la verità. Inoltre questi Concili, non contenti di definire, spinti come da un eccesso di franchezza, mentre formulano la proposizione di Fede si prendono la pena di esprimere con esattezza anche la proposizione opposta, per poterla meglio condannare con un solenne anatema. […] 

Dopo di che c'è solo da aprire il Vaticano II per costatare che i Padri hanno decisamente rotto con questa Tradizione dal linguaggio netto e senza equivoci. […] Perchè meravigliarcene d'altronde? Si sa da un pezzo che sono testi di compromesso. Si sa anche che una frazione modernista avrebbe voluto imporre una dottrina eretica. Impedita di raggiungere questo scopo, è riuscita tuttavia a far approvare dei testi informali. Questi testi presentano per il modernismo il doppio vantaggio di non poter essere accusati di affermazioni apertamente eretiche e nondimeno di poter essere interpretati in un senso opposto alla Fede

Ci attarderemo noi a combattere direttamente questi testi? Vi abbiamo pensato. Ma la difficoltà è che tali testi non offrono appigli all'argomentazione: sono troppo vaghi. Mentre vi sforzate di mettere alle strette una formula che vi sembra inquietante, ecco che nella stessa pagina ne trovate un'altra affatto irreprensibile. Mentre cercate di puntellare la vostra predicazione o il vostro insegnamento con un testo conciliare solido, impossibile da distorcere, adatto a trasmettere al vostro uditorio il contenuto tradizionale della Fede e della morale, vi accorgete ben presto che il testo da voi scelto, ad esempio sulla Liturgia o sul dovere delle società verso la vera Religione, è insidiosamente indebolito da un secondo testo, che, in realtà, svigorisce il primo mentre aveva l'aria di completarlo. I decreti si succedono alle costituzioni senza offrire alla mente, salvo eccezioni rarissime, una presa sufficiente. 

Ci si obietta che, per la pastorale e per ricondurre all'ovile gli sviati, il metodo delle definizioni e delle condanne non è buono. Benissimo. Ma ne esiste un altro che sia tale? Senza definizioni, si condurranno gli erranti solo al vago e al pressapoco. Ed io non vedo come si si possa pretendere così di fare della pastorale, di cercare il bene delle anime, la verità per la mente, la conversione per il cuore.

Certo, ogni qualvolta avrò a che fare con un “fratello separato”, spiegherò quanto meglio possibile il contenuto della Fede; cercherò di scoprire il sistema migliore di approccio in modo di andargli incontro esattamente là dove nascono le sue difficoltà. La spiegazione, però, sarà guidata e contenuta dalla definizione. Per spiegare il dato rivelato non mi servirò necessariamente dello stile impersonale ed astratto, che è proprio delle definizioni; mi sforzerò di adattarmi al mio interlocutore, ma starò anche attento a che l'adattamento non si ripercuota sulla definizione per toglierle il benchè minimo della sua incisività. Piegare, poco che sia, sotto il pretesto dell'adattamento pastorale, la formula dogmatica che si cerca di spiegare, significa allontanare proprio da ciò verso cui ci si sforza di condurre.

(Brano tratto da Breve apologia della Chiesa di sempre


PADRE ROGER THOMAS CALMEL. Sacerdote dell'Ordine dei Predicatori, nato l'11 maggio 1914 e battezzato due giorni dopo, a Sauveterre-la-Lèmance. Richiamato a Dio il 3 maggio 1975, nel trentottesimo anno della sua profesisone religiosa e trentacinquesimo del suo sacerdozio. Sepolto il 5 maggio 1975 a Saint-Prè du Coeur Immaculè.