Home / Rubriche / Sermoni di J.H.Newman / Le sofferenze fisiche di Nostro Signore

Le sofferenze fisiche di Nostro Signore

1. Le sofferenze fisiche di Gesù superano quelle di qualsiasi altro martire, perché Egli così volle. Ogni pena del corpo dipende, tanto nel suo essere sentita quanto nell'essere sentita in questa o in quella misura, dalla natura dell'anima che vive in quel corpo. I vegetali non sentono, perché non hanno un'anima vivente, uno spirito. Le bestie sentono più o meno nella misura che intendono. L'uomo sente più degli animali perché ha un'anima; l'anima di Cristo sentì in maniera più intensa di quella di qualunque altro uomo, perché era innalzata all'unione personale con il Verbo di Dio. Cristo sentì il dolore corporeo con più acutezza di qualsiasi altro uomo, così come l'uomo sente il dolore con più acutezza di qualsiasi altro animale.

2. È sollievo al dolore il poterne allontanare il pensiero. Ecco perché i soldati in battaglia spesso nemmeno si accorgono di essere feriti. Così pure, nelle febbri alte sembra che si soffra moltissimo; eppure, dopo, non si ricorda che un certo qual dolore e una irrequietezza generica. L'eccitazione e l'entusiasmo sono un gran sollievo al dolore corporeo; così i selvaggi muoiono legati al palo, cantando tra i tormenti: è una specie di ubriacatura mentale. Ancora: un dolore momentaneo in confronto è più sopportabile; il dolore continuato è assai più pesante, e se noi non serbassimo memoria del dolore sofferto nell'ultimo minuto e del dolore che stiamo soffrendo, questo sarebbe più facile a sopportare; ma quello che rende penosa la seconda trafittura è che c'è stata una prima trafittura; e quello che rende la terza trafittura ancora più penosa è che ce n'è stata una prima e una seconda; il dolore sembra che aumenti appunto perché si protrae. Ora, Cristo soffrì, non come in delirio, non sotto un'eccitazione: guardò in faccia il dolore! Offrì tutta la sua anima a questo dolore e lo accolse, per così dire, direttamente nel suo petto, e tutto quello che patì lo patì con piena coscienza.

3. Cristo non volle bere alla coppa drogata che gli veniva offerta nell'intento di offuscargli la mente. Volle serbare la percezione piena del dolore. L'anima era talmente concentrata sulle sue sofferenze da non esserne distratta; ed era talmente attiva da ricordare il passato e prevedere il futuro, e tutta la Passione era, per così dire, concentrata in ogni singolo istante della Passione; tutto quello che aveva sofferto e tutto quello che doveva soffrire serviva a rendere maggiore ciò che stava soffrendo. Tuttavia, internamente, la sua anima si manteneva calma, ragionevole, non eccitata, sì da restare remissiva, e accogliere tutto intero il peso del dolore, priva d'ogni potere di scacciarlo da sé. La cognizione della sua innocenza e la consapevolezza che le sue sofferenze avrebbero avuto una fine, potevano sorreggerlo; ma egli represse questo conforto e distolse i suoi pensieri da tali sollievi, pur di poter soffrire in maniera assoluta e perfetta.

[…]

4. Le sofferenze di nostro Signore furono tanto grandi perché era in sofferenza anche la sua anima. Ce lo dimostra il fatto che la sua anima cominciò a soffrire prima ancora che incominciasse la passione corporea, come vediamo nell'agonia dell'orto. La prima angoscia che si impossessò del suo corpo, non proveniva dall'esterno, non dalla flagellazione, non dalle spine, non dai chiodi, ma dalla sua anima. La sua anima era in tale stato di angoscia che Egli la paragonò alla morte: “La mia anima è triste sino alla morte” (Mt 26, 38). L'angoscia era tale che, per così dire, schiantava tutto il suo corpo. Era una trafittura che gli toccava il cuore; come nel diluvio i flutti della grande piena si ruppero, le cataratte del cielo si apersero. Il sangue, sgorgando dal suo cuore torturato, si aprì una strada da tutte le parti, formò mille nuovi canali, invase tutte le aperture dei pori, e alla fine si posò sulla pelle in spesse gocciole, le quali cadevano pesantemente a terra.

5. Egli restò in questa viva morte dal giorno della sua agonia nell'orto; e come la sua prima agonia gli venne dall'anima, così l'ultima. Come la flagellazione e la croce non furono l'inizio delle sue sofferenze, così non ne furono la fine. L'agonia della sua anima, non quella del suo corpo, gli procurò la morte. I suoi persecutori restarono sorpresi a sentire della sua morte. Come era morto? Quel cuore, affranto dall'agonia, tormentato, il quale all'inizio si era levato in modo tremendo nel rifluire violento del sangue che scoppiava da tutti i suoi pori, alla fine si spezzò. Si spezzò ed Egli morì. Si sarebbe spezzato subito se Egli non lo avesse impedito. Alla fine venne il momento. Egli spirò e il suo cuore si spezzò.

6. O cuore tormentato, ti spezzò l'amore, il dolore e il timore. La vista del peccato umano, la percezione del peccato umano, il sentirlo su di Te; lo zelo per la gloria di Dio, l'orrore nel vedere il peccato tanto vicino a Te, l'impressione di schifo e di offesa della sua impurità, la profonda vergogna, il disgusto, l'aborrimento e il senso di rivolta che il peccato ispira, la profonda pietà per le anime che il peccato trascina a precipizio nell'Inferno, tutte queste sensazioni insieme, Tu permettesti che Ti assalissero. Ti desti in loro potere, e furono la tua morte. Quel cuore forte, nobile in tutto, generoso al massimo, tenero all'estremo, unicamente puro, fu ucciso dal peccato.


John Henry Newman (Dal libro MEDITAZIONI E PREGHIERE – Casa editrice Jaca Book)