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La spina aggiunta alla corona imposta sul capo di Cristo. Una conseguenza pregressa della legge Cirinnà sulle coppie di fatto

Mercoledì 11 maggio 2016, il Parlamento italiano ha definitivamente varato la legge Cirinnà: ossia una legge che, elevando le convivenze (anche omosessuali) alla dignità di “famiglie”, in realtà abbassa la famiglia al livello delle convivenze; una legge che, rovesciando dalla base il diritto di famiglia, “cambierà il volto della società”, come hanno ammesso anche alcuni ministri in carica.  Ora molti, con giusta preoccupazione, si chiedono quali ne saranno le conseguenze nel prossimo futuro. Comunque sia, quella legge ha già prodotto una conseguenza nel lontano passato: una conseguenza che ha aggravato la Passione del nostro Signore e Redentore.

Secondo un’antica tradizione, i tipi di sofferenza inflitti a Gesù Cristo corrispondono a relativi tipi di peccati, commessi dall’umanità ribelle ed espiati dal Redentore subendo al suo posto quegli specifici patimenti. Ad esempio, la flagellazione ha espiato i peccati di lussuria, mentre i peccati di superbia sono stati espiati dall’imposizione della corona di spine – corona che cinse non solo le tempie ma anche l’intero capo del Redentore, come conferma il reperto della Sindone (Mc. 15, 17-19; Mt. 27, 29-30).

Poiché oggi il mondo cattolico tende a ridurre tutto all’aspetto strettamente individuale e privato, ci si dimentica che i peccati possono essere commessi anche da una classe, da una istituzione o da una nazione; in tali casi si tratta di peccati collettivi, sociali, pubblici. Ad esempio, un peccato di superbia, che eleva l’uomo ponendolo al di sopra di Dio, può essere commesso da una nazione intera nella persona dei suoi pubblici rappresentanti. Ciò accade soprattutto quando questa nazione si rifiuta di riconoscere che il Creatore, Legislatore e Redentore dell’umanità (e quindi anche della società) ha pieno e assoluto diritto ad essere ufficialmente riconosciuto come Re, o almeno rispettato nelle Sue leggi fondamentali, promulgate innanzitutto dal Decalogo e insegnate dal tradizionale Magistero ecclesiastico. Se poi questa nazione era un tempo cristiana, o addirittura è nata come tale per influenza della Chiesa stessa, allora questa nazione commette un peccato di pubblica apostasia dalla Fede ricevuta.

Orbene, l’11 maggio 2016 è stato commesso appunto un peccato sociale e istituzionale. Nella persona dei suoi rappresentanti parlamentari “democraticamente eletti”, non sotto costrizione di una minaccia esterna ma per libera e sovrana volontà, il popolo italiano ha sancito che il sapiente ordinamento divino, riguardante la famiglia come cellula e modello della società, non deve più valere nel diritto pubblico e nella organizzazione statale. In tal modo, la nazione italiana ha nuovamente violato almeno due dei divini Comandamenti e ha aggiunto una nuova offesa alla divina bontà e provvidenza, dopo quelle costituite dalla passate leggi sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, l’aborto, la fecondazione artificiale, etc. Del resto, il decreto Cirinnà è logica conseguenza della offensiva antifamiliare iniziata appunto con la legge divorzista (1970).

Così facendo, il Parlamento italiano ha ripetuto il grido emesso duemila anni fa dalla Sinagoga ribelle, proclamando “non abbiamo altro Re che Cesare!” (Mt. 27, 15), ossia – tradotto in termini moderni – non riconosciamo altro sovrano e legislatore che il “popolo”, o meglio chi lo seduce, inganna e manovra contro Dio. Il Parlamento ha anche proclamato “non vogliamo che Costui regni su di noi!”, perché il Cristo “si è fatto chiamare Figlio di Dio” (Mt. 27, 7) al posto del Popolo (democraticamente) Eletto, ponendosi quindi sopra la sovranità popolare, pretendendo di reprimere le passioni sociali liberate dopo due millenni di “superstizione e tirannia”. Con una differenza, rispetto a quanto avvenuto durante il processo: mentre allora Pilato cedette per paura ammettendo che in tal modo permetteva un delitto, oggi i parlamentari sedicenti cristiani hanno osato votare liberamente una legge iniqua presentandocela come “parzialmente giusta” o “preventivamente migliore” rispetto a un’altra peggiore che rischiava di passare. Il povero Pilato non avrebbe potuto neanche immaginare simili sofismi per giustificare un tradimento della giustizia!

Con il proclama e con il rinnegamento che ripetono quelli della ribelle Sinagoga di allora, i rappresentanti ufficiali del popolo italiano hanno aggiunto una nuova spina alla derisoria e crudele corona già imposta sul capo del Redentore: una spina che Gli sarà concretamente inflitta dalla pubblica amministrazione quando dovrà applicare la legge Cirinnà. Questa ennesima spina non solo porta al culmine l’offesa osata, ma anche rischia di esaurire la pazienza di un Dio finora propenso a sopportare il ripudio e a rinviare la giusta punizione di un popolo ingrato, ribelle e apostata. E’ infatti certo che una colpa collettiva esige una punizione altrettanto collettiva di quel popolo che l’ha commessa, o che non ha saputo né voluto opporsi a quei suoi rappresentanti che l’hanno commessa.

Di questa nuova spina, anche la Conferenza Episcopale Italiana ne porta la responsabilità oggettiva. Invece d’impedire il varo di una legge iniqua come quella appena approvata, essa ha impegnato tempo, parole e scritti in battaglie secondarie o superflue o addirittura dannose. Non c’è da sperare che ora l’episcopato organizzi pubbliche preghiere e penitenze per riparare all’iniquità anticristiana e alla ignavia cristiana, visto che non ha fatto nulla per impedirla, anzi ha tentato di delegittimare quei movimenti cattolici che hanno almeno provato ad opporvisi. Su una Gerarchia come questa, che reputa la difesa della “biosfera” ben più importante di quella della sanità naturale e soprannaturale della famiglia, rischia di piombare la punizione preannunciata dalla Madonna nel “terzo segreto” di Fatima: una punizione forse poco misericordiosa, ma molto salutare.

 

Guido Vignelli (riscossacristiana.it)