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Ascendenze filosofiche del modernismo - 2

Dall'empirismo inglese al cattolicesimo liberale 

Con Cartesio il qualunque seguace del libero esame si è visto consegnare lo strumento per aggredire con inaudita potenza le Sacre Scritture e la teologia cattolica. Ad esempio il biblicismo razionalista del tutto ateologico di Tubinga – poi ripreso dai modernisti – non è altro che l’applicazione coerente e completa del metodo cartesiano all’esegesi; un’operazione allora possibile solo in ambienti resisi autonomi dalla autorità apostolica ed il cui esito è lo sbriciolamento del sacro testo, una volta depurato di ellenismi, prodigi, misteri, e quant’altro risultasse sgradito al dotto esegeta.

Ora rivolgiamo la nostra attenzione all’empirismo inglese, da cui proviene il liberalismo in politica e l’utilitarismo in etica, sempre limitatamente agli elementi dei loro sistemi da cui il modernismo [1] ha derivato temi e soluzioni.

Empirismo inglese

Erede diretto del nominalismo, è l’empirismo, sistema per il quale la conoscenza umana si basa solamente sul ciò che cade sotto i sensi.

Locke e il liberalismo

L’empirismo trova la sua sistemazione in John Locke (1632 – 1704), di educazione puritana, studioso di logica, ebraico e medicina, membro della Royal Society, parlamentare, esule per oltre un decennio in Francia e poi in Olanda causa la sua opposizione agli Stuart.

Locke - al pari di Descartes - riteneva necessario si dovesse rifondare il sapere ab imo, accantonando i pilastri che sostenevano il pensiero corrente.La prospettiva di Locke è però diversa da Cartesio: mentre il turennese presupponeva l’esistenza di alcune verità innate (Dio, gli enti matematici, gli operatori logici) le quali rendono possibile la conoscenza, Locke all’opposto sostenne “che questa era una ipotesi incomprensibile, inutile ed inadeguata per spiegare la nostra conoscenza”. Per il filosofo inglese tutte le idee semplici derivano esclusivamente dall'esperienza, che a sua volta proviene dalle sensazioni e dalle riflessioni. Le idee semplici, combinate tra loro danno origini alle idee complesse. La conoscenza consiste nel percepire le relazioni tra le idee, di conseguenza “non va oltre le nostre idee che alla fine sono basate sugli effetti che le cose hanno sui nostri sensi”.

La mente è inizialmente una tabula rasa. Ne consegue che anche i principi della logica, in quanto sovrasensibili, devono essere rimessi in discussione ed empiricamente ritrovati e ridimostrati.  

Limiti alla ragione - Area grigia

Locke ritiene che la ragione sia in grado di eliminare del tutto la vasta area grigia su cui non esistono certezze. Su di essa eserciterà la sua capacità di giudizio fornendo una conoscenza che è solo probabile (judgement): il ragionevole si aggiunge così al razionale come sua forma attenuata.

Di contro l’empirismo, nel sostenere che il sapere umano è solo di carattere sperimentale, nega all’uomo la facoltà di conoscere ciò che trascende l’esperienza, le formedelle cose create – le essenze che le determinano pienamente e le fanno essere ciò che sono e non altro – essendo note solo a Dio. In questa svalutazione della ragione, l’empirismo dimostra di essere debitore del pensiero luterano (l’anima umana, corrotta totalmente dal peccato originale, è incapace di conoscere razionalmente la sostanza delle cose) [2].

L’empirismo in tal modo ridimensiona l’iperrazionalismo cartesiano, con alcuni benefici in campo gnoseologico, ma svalutando eccessivamente le capacità dell’intelletto umano: il carattere sperimentale della conoscenza e il velo che copre il reale, rendono il sapere un deposito sempre in fieri e quindi mai definitivamente certo.

A più forte ragione l’empirismo nega all’uomo la capacità di attingere alle cose dello spirito.

Dato che la ricerca di una causa ultima trascendente il reale è priva di senso, la metafisica è rifiutata in blocco. Si nega quindi la possibilità di emettere giudizi definitivi sulle grande questioni cosmologiche ed antropologiche e non si riconosce un contenuto veritativo alla religione.

Ma ciò non deve turbare, sostiene Locke: non è necessario conoscere ogni cosa ma solo quello che ci è utile.

Hume

Il filosofo scozzese David Hume (1711 – 1776) critica i due pilastri della metafisica, l'idea di sostanza e di causalità.

Egli nega non solo che le sostanze delle cose siano conoscibili (Locke), ma afferma che non abbiamo prova della loro esistenza, la realtà è una mera convinzione psicologica non dimostrabile. Anche l'io – che in fondo è una forma di sostanza – in termini empirici è assimilabile ad un palcoscenico virtuale su cui si affacciano passando le impressioni e le idee: l’io è unicamente un “fascio di percezioni”.

Lo stesso dicasi per la causalità: quello che vediamo è solo una successione temporale costante tra due eventi A e B, è l'abitudine che mi porta alla convinzione che se c'é B ci deve essere stato A.

Realtà e causalità non hanno fondamenta razionali, sono entrambe indimostrabili; ma poiché siamo convinti della loro esistenza, vanno accettate con un atto di fede.

La filosofia humiana, esito scettico dell’empirismo di Locke, identificando la realtà con la sua percezione, fenomenizza tanto l’oggetto quanto il soggetto.

Liberalismo politico 

Locke è anche il massimo teorico del liberalismo politico.

Il liberalismo ipotizza uno status naturae, in cui ogni individuo è legislatore, giudice ed esecutore delle punizioni contro chi attenta ai suoi diritti: la legge naturale infatti conferisce a chi lavora su qualcosa il diritto di proprietà. All’aumentare della complessità, gli uomini con un patto bilaterale cedono il potere ad un sovrano affinché garantisca loro quei diritti già esistenti nello stato di natura.

Il sovrano nel sottoscriverlo contrae dei precisi doveri, il primo dei quali è quello di garantire l'ordine tutelando i diritti naturali, la libertà di coscienza e di religione e le attività economiche.

Locke, mentre riconosce un diritto naturale, rifiuta il diritto divino dei re.
Il liberalismo si pone così in antagonismo all’assolutismo regio.  

Tolleranza - indifferenza religiosa

L’origine pattizia dello Stato esclude una fondazione metafisica: lo Stato liberale non è un’entità naturale e necessaria (si nega la tendenza dell’uomo alla socialità), ma solamente utile.

L’idea liberale nasce dalla necessità di far convivere in Gran Bretagna le opinioni religiose di anglicani, presbiteriani, calvinisti puritani – inclusi rifugiati ugonotti - e antitrinitari di varia estrazione (anabattisti, quaccheri, ecc.).

A salvaguardia dell'esigenza prammatica “che sola resta di fronte al nominalismo concettuale e al probabilismo dei giudizi”, diviene inevitabile porre a caposaldo dello Stato la tolleranza religiosa, l’unica capace di scongiurare il sorgere di conflitti motivati da inverificabili verità di fede. La società civile, frammentata in diverse chiese, viene regolata dal principio di tolleranza che mette le religioni sullo stesso piano (inferiore), di fatto svalutandole come religioni buone per il popolo [3].

Maria Adelaide Raschini ha evidenziato “il fondamentale agnosticismo” del liberalismo, sistema in cui “la tolleranza che si presenta come la veste formale del vivere civile è in realtà null'altro che il segno dell'indifferenza religiosa” [4]. Una posizione questa “illogica e ingiusta, poiché senza esaminare il valore delle varie forme religiose, le accomuna tutte nella stessa sorte” [5].

Senza affermarlo esplicitamente il liberalismo postula per le élite una concezione razionalista e adogmatica della divinità, una religione priva di contenuti dottrinali, emancipata dalla Rivelazione e che rigetta l’appartenenza ad una confessione, in quanto la verità non può essere posseduta da una particolare forma religiosa, né può essere raggiunta attraverso la metafisica, ma solo cercata dall’uomo in cammino verso la luce. Questa religione delle élite liberali è il deismo massonico.

L’indifferenza liberale verso le verità ultime favorisce – in alternativa al deismo –l’agnosticismo, sia nei confronti delle varie confessioni sia verso lo stesso fenomeno religioso.

La sacralizzazione della libertà intellettuale operata dal liberalismo a scapito della legge naturale e della Rivelazione e la conseguente emancipazione ed indipendenza dell’uomo e dello Stato da Dio e dalla sua Chiesa.

Corrado Gnerre ha notato come le due correnti che di fatto si contrapponevano – il razionalismo e l’empirismo – fossero entrambe l’esito necessario di un antropocentrismo radicale: se esiste solo quella realtà che può essere “pensata”, come afferma il razionalismo, o se invece esiste solo quella realtà che può essere sperimentata, come afferma l’empirismo, in ogni caso esiste solo ciò che può essere totalmente compreso dalla mente umana. “Tanto il razionalismo quanto l’empirismo innalzano l’uomo e la sua attività conoscitiva ad unici criteri per l’esistenza del vero.È l’uomo che deve decidere cosa è vero e cosa è falso. È l’uomo che deve decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. È l’uomo che deve decidere ciò che è bene e ciò che è male” [6].

Il liberalismo è dunque una filosofia antropocentrica che “concede il massimo spaziodi libertà”, nel concepire “la natura umana indipendente da qualsiasi relazione” con Dio o con gli altri esseri “per la dignità assoluta dell’individuo, che viene fatto a coincidere con la Divinità” [7].

Utilitarismo etico 

Locke

Il contrattualismo di Locke è la versione relativista dello statalismo di Hobbes (1588 –1679).

Il centro è il patto sociale, vantaggioso per il buon ordine del consorzio umano. Di qui si evince il principio cardine dell’etica lockiana: sono virtuose le azioni necessarie per la conservazione della società; mentre cattive e viziose sono quelle che turbano l’ordine della comunità (utilitarismo sociale).

In un suo scritto inedito il pensatore inglese individua in felicità e infelicità le due grandi molle delle azioni umane: un essere intelligente e libero segue naturalmente ciò che gli causa piacere, e fugge ciò che gli causa dolore.

Non desta meraviglia che nei vari paesi gli uomini ragionevoli, in maniera indipendente dai precetti divini predicati dal clero e dagli editti governativi e dalle sanzioni applicate dai giuristi, in funzione della felicità e infelicità procurata, abbiano sempre distinto le azioni in buone o cattive.
Questi giudizi variano al variare del contesto storico-geografico, tanto che in certi paesi o società certe azioni sono virtù, in altri vizi, in altri moralmente indifferenti.

Il passaggio da un bene e male meramente naturale, quale quello su descritto, a giudizi di valenza morale può avvenire solo in presenza di una legge superiore. Idee complesse – quali liberalità, avarizia, frugalità, ingordigia – rimangono modi di essere neutri. È solo la conformità o meno alla legge che le determina come virtù o come vizio.

Locke conclude dicendo che le esigenze di oggettività e di universalità comportano che ci deve essere un legislatore di tutta l’umanità fornito di potere e di volontà di premiare la virtù e punire il vizio; o meglio, come dicono i fratelli, “scavare oscure e profonde prigioni al vizio”.

L’etica lockiana, edonista nella motivazione e volontarista nell’obbligo, non dipende da principi assoluti, è un’etica di ricerca, tipica della Libera Muratoria, che infatti rivendica l’appartenenza all’Ordine del filosofo inglese: “il parallelo tra il Dio di Locke ed il GADU è palese” si afferma infatti nel sito del Rito Simbolico Italiano [8].

Hume

Hume esclude che la morale possa essere fondata sulla ragione, come pretendeva Cartesio (e su quale base poi?).

Per Hume il fine e la giustificazione delle norme di condotta sta nella soddisfazione del desiderio.

Il castello humiano crollò quando sorse la critica, fin troppo facile, che non si poteva negare vi fossero in ogni uomo passioni obiettivamente distruttive. I fautori della morale del desiderio furono allora costretti a distinguere tra passioni naturali e desideri artificiali e corrotti, di cui doveva essere responsabile il peccato originale (Calvino), la civiltà (Rousseau) o, come avrebbe poi detto Marx, la sovrastruttura.

Bentham

Secondo Jeremy Bentham (1748 – 1832), il fondatore della corrente utilarista, “la natura ha posto l'uomo sotto il dominio di due padroni, il dolore e il piacere. Sono soltanto loro a stabilire cosa dovremmo fare e a determinare ciò che effettivamente faremo”. Su queste basi Bentham forgiò così la sua formula: “Meta dev'essere il massimo piacere nel massimo numero possibile”, cioè per il maggior numero di persone (desiderio universalizzato) [9].

È superfluo sottolineare che questi ideali di piacere e soddisfazione di massa si pongono in netto contrasto con ogni pretesa di carattere trascendentale. Essi sono ostili alla rinuncia e all'ascesi, rifiutano come incomprensibili superstizioni le categorie di peccato e di colpa, di grazia e di redenzione. Questa moralità senza spirito è oggi diuturnamente celebrata da politici e opinionisti e ovinamente ripetuta dai loro imitatori, i chierici modernisti.

Si può osservare che i fini proposti nelle teorie di Bentham (e di Hume), non rendono conto di molti comportamenti: eroismo in guerra, sacrifici per curare poveri e malati, testimonianza fino al martirio della propria fede, ecc.

I seguaci più rigorosi dell’utilitarismo riconobbero il carattere aleatorio del principio di piacere/dolore e misero in luce altresì che, tra piacere personale e generale, la connessione è saltuaria e il conflitto talora inevitabile.

Derive liberali

Il liberalismo, come versione relativista del contrattualismo, si presta a successive elaborazioni centrate per lo più sulla concezione di Stato minimo, relativista nei valori, libertino nell’etica e libertario in economia.

Derive politiche

Il liberalismo anglosassonesi caratterizza per il più spinto relativismo, dove tutto e il contrario di tutto è posto su uno stesso piano di diritto, la verità e l’errore, il bene e il male.

Questo in linea teorica e per avere le mani libere. Perché storicamente il liberalismo ha dimostrato e dimostra invece una volontà totalizzante, imponendo i dettami delle sue élite come religione civile, con tanto di liturgia, festività, sacerdozio, premi e punizioni. E con un esercito di guardiani dell’ortodossia rivoluzionaria pronti a scatenarsi contro i refrattari al nuovo ordine.

Il vessillo della tolleranza indifferentista (di erasmiana origine), nella sua versione europea tutela il disprezzo ateistico e l’empietà, mentre nella forma neomessianica vigente negli Stati Uniti si è dato inizialmente il destino di portare nel resto del mondo i benefici del paradiso americano (libertà e democrazia).

Con la deriva americana verso il materialismo liberista (inevitabile, date le ascendenze calviniste), la missione assegnata all’America dal destino si è semplicemente dotata di nuovi contenuti (la lotta contro le discriminazioni razziali, religiosa e sessuali).

L’integrazione di tutte le religioni nell’onnitollerante calderone non soffre opposizioni e si fa beffe della logica. Gli americani possono seguire una delle tante religioni che si rifanno a Cristo, varie sette antitrinitarie oppure la religione di Satana. I satanisti hanno ottenuto di avere il loro cappellano nella Marina e poi nell’Esercito [10]. A Oklahoma City è stata autorizzata l’edificazione di un monumento a Satana nella piazza principale.

Del resto, nel sistema liberal-democratico, quale legittimità può avere una differenza statuale tra la chiesa di Cristo e la Chiesa di Satana? Non sono forse entrambe due credenze private e quindi non oggettive?

Già il primo nel 1889 la particolare forma di eresia americanista –per le sue caratteristiche di pragmatismo e multiconfessionalità – venne condannata da Leone XIII (lettera enciclica Testem benevolentiae).

Derive etiche 

Il ripiegamento empirista sul concreto sfocia nella sopravvalutazione del sentimento. 

La scuola emotivista, escludendo a priori che la ragione possa dare basi oggettive al consenso sulla giustezza o meno degli atti, afferma che le norme morali sono affermazioni apodittiche a sostegno della cui verità non può essere addotta alcuna ragione ulteriore.
Per questa corrente di pensiero i giudizi morali non sono altro che espressioni di una preferenza e di un atteggiamento del soggetto. Non esiste più “questo è bene, quest’altro è male”, bensì “io approvo questo, fallo anche tu”. I valori non esistono in sé, ma sono creati dalle decisioni.
La scelta di una particolare posizione non può essere più razionale di un’altra. 

L’io perde i confini, in quanto non ci sono criteri che possano inibirne la potenzialità giudicante. Di converso ogni giudizio dell’io può essere criticato, non potendo il soggetto accampare a suo sostegno alcun punto di vista. 

Gli epigoni emotivisti meno rigorosi chiamarono le intuizioni morali illuminazioni, conferendo ad esse un contenuto numinoso e tramutando l’impotenza a definire l’etica in liberazione iniziatica. Le connessioni della filosofia con la mistica occulta diventano evidenti. 

Con il ‘68 l’emotività sentimentalistica e irrazionale (con derive ecologiste, animaliste, ecc.) è divenuta l’etica di massa. 

Restano più che mai attuali alcune considerazioni di Piero Vassallo:“un incontrollabile e caotico sentimentalismo prende il luogo della ragione […] vige una falsa idea di mitezza, compassione gnostica. La radice del perdonismo oggi imperversante: la convinzione che sia possibile pacificare e armonizzare il bene e il male” [11]. Ai refrattari che osano turbare la sublime armonia dei contrari col loro persistere nella dottrina di sempre sono destinati gli strali delle autorità, corredati da epiteti in cui la tenerezza gnostica si muta in una parimenti gnostica invettiva al “vizio”.

Cristianesimo liberale 

Storicamente le élite liberali hanno privilegiato e continuano a privilegiare coloro che, all’interno del cristianesimo, operano per liberarlo dai dogmi e per sopprimere le gerarchie, trasmutandolo in una fede nei limiti della sola ragione e abbassandolo a precettistica etica.

In particolare i circoli e i club hanno pressato e pressano i cattolici ad operare una riforma analoga a quella protestante, atta ad emanciparli dall’autorità apostolica [12].

Il cattolicesimo liberale e il modernismo

Dai cedimenti degli intellettuali abbacinati dal pragmatismo anglosassone nasce l’ibrida creatura del cattolicesimo liberale, movimento che ha a sua volta generato il modernismo.

Il cattolicesimo liberale si proponeva di battezzare come cattoliche idee liberali quali l’indifferentismo religioso della politica (implicante l’estromissione della Chiesa dalla vita civile) e l’individualismo.

Principale esponente fu il bretone Félicité Robert de Lamennais (1782 – 1854) [13], mentre capifila in Italia furono Vincenzo Gioberti [14] (1801 – 1852) e Alessandro Manzoni (1785 – 1873).

Gregorio XVI nel 1832 condannò le idee di Lamennais con l'enciclica Mirari vos. Pio IX nel Sillabo [15] condannò quattro tesi cardine del liberalismo.

Nel voler coniugare il Cristianesimo con la modernità, il cattolicesimo liberale, oltre a cadere nella più palese contraddizione, esibisce in modo inverecondo un’imbelle arrendevolezza davanti alle potenze di questo mondo.

Il modernismo originario deriva dal sensimo inglese – filtrato dalla teologia di Tubinga – il rifiuto per tutto ciò che nei Vangeli rimanda al soprannaturale (dall’Incarnazione all’Ascensione, passando per i miracoli).

Il Concilio Vaticano II del liberalismo ha sposato l’indifferentismo religioso in politica: la gerarchia si è persino adoperata per cancellare i privilegi accordati dagli Stati cattolici alla Chiesa di Roma.

La religione conciliare è in cammino verso l’unificazione delle fedi nella indistinzione delle differenze. Ma l’indifferentismo religioso in teologia è “empio e assurdo, perché dando lo stesso valore a forme religiose in contrasto, mette Dio, che le rivelerebbe, in contraddizione con se stesso” [16].

Oreste Sartore

 


NOTE

[1] nelle sue tre manifestazioni: il movimento iniziale, la Nouvelle Théologie e la religione conciliare, un pastiche che sta soppiantando il cattolicesimo autentico ed integro

[2] don Curzio Nitoglia, Il Tradizionalismo Esoterico, sito dell’autore

[3] Naturalmente la tolleranza propugnata da Locke valeva solo per i seguaci delle chiese riformate, escludendo i cattolici.

[4] Maria Adelaide Raschini, Da Bacone a Kant, Milano 1973

[5] Card. Pietro Parente (1891 – 1986) citato da don Curzio Nitoglia in : Perché non possiam non dirci americanisti, 19 settembre 2014

[6] Corrado Gnerre, Il Settimanale di Padre Pio, 26 maggio 2013

[7] don Curzio Nitoglia, Dal Nominalismo al Modernismo passando per l’Empirismo, sito dell’autore

[8] Per questo paragrafo ho ripreso le considerazioni di Sesto Minore van Pelt, cfr. John Locke – Sull’etica in generale, sito del Rito Simbolico Italiano, ramo deista Massoneria, che crede nel Grande Architetto dell’Universo, pur facendo parte del Grande Oriente d'Italia

[9] Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, 1789

[10] v. Cecilia Gatto Trocchi, Occultismo, esoterismo, magia, satanismo. Analisi antropologica

[11] citazioni da Piero Vassallo, «Certamen V - VI», primavera 1995; «Certamen IX - X», Estate/Autunno 1998

[12] Era questo l’unico leit-motiv della sterminata Storia d’Italia di Montanelli e Gervaso, Milano 1965

[13] La parabola politica del Lamennais, inizialmente contro-rivoluzionario, lo vede abbracciare in successione il cattolicesimo liberale, il democratismo cristiano ed infine il socialismo. La parabola spirituale lo vede morire da apostata nel rifiuto dei sacramenti.

[14] Il Gioberti infine si convertì al calvinismo, v. Elena Bianchini Braglia, Dal risorgimento rivoluzionario all’aggiornamento conciliare, La Tradizione. Cattolica, Anno XXIV n. 3 2013

[15] Pio IX, Sillabo, appendice all'enciclica Quanta cura, 1864

[16] Card. Pietro Parente v. supra


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